Categoria: Cassazione penale
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Cassazione Penale, Sez. 4, 08 maggio 2019, n. 19391 - Caduta dall'alto. Obbligo di adibire il lavoratore alle mansioni per le quali viene assunto e formato. Responsabilità del datore di lavoro anche se l'ordine di salire sul tetto è stato dato da altri


 

 

La Corte territoriale non ha mancato di soffermarsi sugli obblighi facenti capo all'imputato derivanti dalla posizione di garanzia propria del datore di lavoro sottolineando i precisi obblighi di vigilanza e di controllo che lo rendono responsabile degli eventi causalmente connessi alla violazione di cautele doverose nell'ambiente lavorativo, tra le quali quella di adibire i dipendenti unicamente alle mansioni per le quali sono stati assunti, formati ed informati, di non esporli a rischi per l'incolumità personale in assenza di dispositivi di protezione e di adottare ogni misura antinfortunistica che si renda necessaria in relazione alle prestazioni lavorative affidate ed alle condizioni dell'ambiente di lavoro.
E' poi di tutta evidenza - come ben sottolineato nella sentenza impugnata - che ad escludere la responsabilità dell'imputato non vale neppure il fatto che l'ordine al dipendente di salire sul tetto sia stato dato in quella particolare circostanza dal padre, avendo il datore di lavoro il preciso obbligo di intervenire preventivamente per evitare anche una condotta imprudente del lavoratore e pure, nella specie, del soggetto preposto al negozio.
In tema di infortuni sul lavoro, infatti, l'errore sulla legittima aspettativa che non si verifichino condotte imprudenti dei lavoratori non è invocabile da parte del datore di lavoro, il quale, per la sua posizione di garanzia, risponde dell'infortunio sia a titolo di colpa diretta, per non aver negligentemente impedito l'evento lesivo ed eliminato le condizioni di rischio, che a titolo di colpa indiretta, per aver erroneamente invocato a sua discriminante la responsabilità altrui, qualora le misure di prevenzione siano risultate inadeguate (così Sez.4, n. 16890 del 14/03/2012, Rv.252544, richiamata in Sez.4, n.3787 del 17/10/2014, Rv.261946).


Presidente: PICCIALLI PATRIZIA Relatore: MENICHETTI CARLA Data Udienza: 16/04/2019

 

 

 

Fatto

 

 

 

1. Con sentenza in data 15 gennaio 2018 la Corte di Appello di Trieste confermava la condanna resa dal Tribunale di Udine nei confronti di T.S., quale responsabile del reato di lesioni colpose, aggravate dalla violazione di norme antinfortunistiche, ai danni del lavoratore O.DB., sostituendo la pena detentiva con la multa e concedendo il beneficio della non menzione, in aggiunta a quello della sospensione condizionale già applicato in prime cure; la condanna riguardava altresì le contravvenzioni di cui agli arti. 148 e 159, comma 1 lett.a), artt.18, comma 1 lett.c) e 55, comma 4, lett.c), ed ancora arti.251, comma 1 lett.b) e 262, comma 1 lett.a), del D.Lgs.n.81/2008, per aver consentito l'esecuzione di lavori su coperture prive delle necessarie caratteristiche di resistenza, senza aver adottato alcun presidio di protezione individuale e collettiva, per non aver tenuto conto delle capacità e condizioni del lavoratore in relazione alla salute ed alla sicurezza, e per aver consentito l'esecuzione di un lavoro comportante esposizione all'amianto in assenza di idonei dispositivi di protezione delle vie respiratorie.
2. Secondo la prospettazione accusatoria, che aveva trovato puntuale riscontro all'esito dell'istruttoria dibattimentale, il O.DB., assunto con mansioni di commesso e venditore presso il mobilificio Treti Arredamenti corrente in Tricésimo, il giorno 19.6.2013 era stato mandato dal padre dell'Imputato T.P. (la cui posizione è stata definita separatamente) sul tetto dell'immobile al fine di sistemarlo in quanto vi erano state infiltrazioni di acqua; sicché lo stesso, salito sul tetto senza alcun dispositivo di protezione, aveva iniziato "grattare" le lastre di amianto per poi "rattoppare" le fessure con materiale vario incollato per mezzo di silicone: nel corso di tale operazione improvvisamente una delle lastre si era spezzata ed aveva determinato la caduta al suolo del O.DB. da un'altezza di circa 5 metri, con conseguenti gravi lesioni personali.
3. Ha proposto ricorso per cassazione l'imputato, tramite il difensore di fiducia, denunciando, con un unico ampio motivo, il difetto di motivazione dell'impugnata sentenza. Sostiene che tutto il sistema probatorio utilizzato dai giudici di merito per giungere al giudizio di colpevolezza è costituito esclusivamente da quanto riferito dalla persona offesa; che l'imputato, legale rappresentante della ditta Treti Arredamenti corrente in Tavagnacco, e datore di lavoro del dipendente infortunato, assunto con le mansioni di addetto alla vendita, non era a conoscenza del fatto che il proprio padre, T.P., gestore di fatto di altro punto vendita sito a pochi chilometri in comune di Tricésimo, ove si era verificato l'infortunio, utilizzasse il O.DB. in modo improprio, adibendolo ad altre mansioni; in particolare, deduce che il giorno dell'evento non sapeva che il dipendente fosse stato incaricato delle operazioni di manutenzione del tetto di copertura.
Formula quindi richiesta di annullamento dell'impugnata sentenza.
 

 

Diritto

 


1. Il ricorso prospetta un motivo infondato e deve perciò essere rigettato.
2. Occorre innanzi tutto ribadire che il controllo del giudice di legittimità sui vizi della motivazione attiene alla coerenza strutturale della decisione, di cui si saggia l'oggettiva tenuta sotto il profilo logico-argomentativo, restando preclusa la rilettura degli elementi di fatto posti a fondamento della decisione e l'autonoma adozione di nuovi e diversi parametri di ricostruzione e valutazione dei fatti (ex multis, Sez.l, n.53600 del 24/11/2016, Rv.271635; Sez.3, n.12110 del 19/03/2009, Rv.243247).
Con particolare riferimento alle dichiarazioni della persona offesa dal reato - cui non si applicano le regole dettate dall'art.192, comma terzo, cod.proc.pen. - queste possono essere legittimamente poste da sole a fondamento dell'affermazione di penale responsabilità dell'imputato, previa verifica, più penetrante e rigorosa rispetto a quella cui vengono sottoposte le dichiarazioni di qualsiasi testimone e corredata da idonea motivazione, della credibilità soggettiva del dichiarante e dell'attendibilità intrinseca del suo racconto (Sez.2, n.43278 del 24/09/2015, Rv.265104).
In tema di valutazione della prova testimoniale, costituisce poi principio consolidato quello secondo il quale l'attendibilità della persona offesa dal reato costituisce una questione di fatto, che ha la sua chiave di lettura nell'insieme di una motivazione logica, che non può essere rivalutata in sede di legittimità, salvo che il giudice sia incorso in manifeste contraddizioni (Sez.2, n.7667 del 29/01/2015, Rv.262575).
3. Ciò posto, si osserva che la Corte territoriale si è soffermata in maniera corretta ed esaustiva sul tema della credibilità della persona offesa - questione già sottoposta al suo esame dalla difesa dell'imputato con l'atto di appello - ritenendo assolutamente veritiero quanto sostenuto dal O.DB. circa la prassi di affidare a lui mansioni diverse da quelle di addetto alla vendita, ed in particolare il compito di salire sul tetto per la manutenzione dell'immobile, in assenza di qualsiasi informazione e presidio antinfortunistico, con periodicità che si era ripetuta nel tempo con una media di cinque interventi all'anno.
A tale convincimento i giudici di Trieste sono pervenuti con argomentazioni del tutto logiche, prima tra tutte la consapevolezza da parte del T.S., titolare della ditta, delle condizioni dell'immobile di Tricésimo, ed, in particolare, delle problematiche legate allo stato di fatiscenza della copertura di amianto, realizzata oltre quaranta anni prima e dalla quale già in precedenza si erano manifestate infiltrazioni di acqua piovana fino all'interno del negozio, ed ancora la mancata deduzione ed allegazione da parte dell'imputato stesso di aver commissionato in precedenza a ditte specializzate del settore opere di manutenzione e riparazione del tetto: di qui la ineccepibile deduzione che tutto veniva fatto dall'unico dipendente del negozio - come da questi immediatamente dichiarato e ribadito durante lo svolgimento del processo - di volta in volta incaricato, secondo il bisogno contingente, di lavorazioni del tutto estranee alle mansioni per le quali era stato assunto.
Dunque la circostanza che T.S. fosse informato di quanto accadeva nel negozio di Tricésimo appare acclarata in fatto e sorretta da motivazione congrua e convincente, immune dal denunciato vizio ed incensurabile in questa sede.
4. La Corte territoriale non ha poi mancato di soffermarsi sugli obblighi facenti capo all'imputato derivanti dalla posizione di garanzia propria del datore di lavoro - questione peraltro non espressamente sollevata nell'odierno ricorso - sottolineando i precisi obblighi di vigilanza e di controllo che lo rendono responsabile degli eventi causalmente connessi alla violazione di cautele doverose nell'ambiente lavorativo, tra le quali quella di adibire i dipendenti unicamente alle mansioni per le quali sono stati assunti, formati ed informati, di non esporli a rischi per l'incolumità personale in assenza di dispositivi di protezione e di adottare ogni misura antinfortunistica che si renda necessaria in relazione alle prestazioni lavorative affidate ed alle condizioni dell'ambiente di lavoro.
E' poi di tutta evidenza - come ben sottolineato nella sentenza impugnata - che ad escludere la responsabilità dell'imputato non vale neppure il fatto che l'ordine al dipendente di salire sul tetto sia stato dato in quella particolare circostanza dal padre, avendo il datore di lavoro il preciso obbligo di intervenire preventivamente per evitare anche una condotta imprudente del lavoratore e pure, nella specie, del soggetto preposto al negozio.
In tema di infortuni sul lavoro, infatti, l'errore sulla legittima aspettativa che non si verifichino condotte imprudenti dei lavoratori non è invocabile da parte del datore di lavoro, il quale, per la sua posizione di garanzia, risponde dell'infortunio sia a titolo di colpa diretta, per non aver negligentemente impedito l'evento lesivo ed eliminato le condizioni di rischio, che a titolo di colpa indiretta, per aver erroneamente invocato a sua discriminante la responsabilità altrui, qualora le misure di prevenzione siano risultate inadeguate (così Sez.4, n. 16890 del 14/03/2012, Rv.252544, richiamata in Sez.4, n.3787 del 17/10/2014, Rv.261946).
5. A dette considerazioni segue il rigetto del ricorso e la condanna del ricorrente al pagamento delle spese processuali.
 

 



P.Q.M.

 



Rigetta il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle spese processuali. Così deciso in Roma il 16 aprile 2019