Cassazione Civile, Sez. 6, 14 maggio 2019, n. 12753 - Infortunio ad un occhio. Non basta il fatto che il datore di lavoro fornisca i DPI


 

 

L’art. 4, comma 4, lettera d), del d.lgs. n. 626 del 1994 prevede che il datore di lavoro è tenuto a fornire ai lavoratori i necessari strumenti di protezione, ma la successiva lettera f prevede anche che egli debba richiedere l’osservanza da parte dei lavoratori delle norme vigenti; mentre la possibilità di delegare le funzioni di prevenzione e protezione non fa venire meno la responsabilità del datore di lavoro (art. 8, comma 10, d.lgs. cit.). Ne consegue che, ove anche fosse stato realmente delegato il compito di controllare il rispetto della normativa di sicurezza ad un soggetto diverso dall’amministratore della società, ciò non escluderebbe la responsabilità di quest’ultimo e della società che egli rappresenta (art. 1228 cod. civ.). Il datore di lavoro nel caso in esame quindi, non poteva invocare a propria scusante, in sede civile, la delega delle funzioni di controllo e la sentenza impugnata, proprio a causa di tale errore, non ha accertato se vi furono o meno le omissioni di controllo dei dipendenti.


 

 

Presidente: DE STEFANO FRANCO Relatore: CIRILLO FRANCESCO MARIA Data pubblicazione: 14/05/2019

 

Fatto

 


1. F.I. subì un infortunio sul lavoro, consistente nel danno ad un occhio, nel mentre stava svolgendo un’attività alle dipendenze della società Cave San Basilio, il cui amministratore unico era J.F..
Il processo penale, nel cui ambito il F.I. si costituì parte civile, vide la condanna dello J.F. per il reato di lesioni personale colpose aggravate sia in primo che in secondo grado, con conseguente riconoscimento di una provvisionale in favore della parte civile.
La sentenza penale di condanna emessa dalla Corte d’appello di Torino venne però annullata dalla Corte di cassazione la quale dichiarò il reato estinto per prescrizione, annullò gli effetti civili della condanna e rinviò la causa, ai sensi dell’art. 622 cod. proc. pen., davanti al giudice civile di appello, affinché fosse accertata la sussistenza del danno e fossero regolate le relative spese.
2. A seguito di tale sentenza F.I. convenne in giudizio, davanti alla Corte d’appello di Torino in sede civile, J.F. e la s.r.l. Cave San Basilio, per sentirti condannare al risarcimento del danno, sostenendo di aver sempre lavorato sotto le direttive ed il potere disciplinare del primo.
Si costituirono in giudizio entrambi i convenuti, chiedendo il rigetto della domanda.
La Corte d’appello di Torino, con sentenza del 9 marzo 2017, ha rigettato la domanda ed ha condannato l’attore al pagamento del 50 per cento delle spese dei giudizi penati e di quello civile, compensate quanto all’altra metà.
Ha ritenuto la Corte territoriale, ai fini che qui interessano, che, essendo stato dichiarato estinto per prescrizione il reato contestato allo J.F., la sentenza penale di condanna (poi annullata) poteva essere tenuta in considerazione come fonte di libero convincimento. Doveva quindi darsi per pacifico che l’incidente fosse avvenuto mentre il danneggiato stava utilizzando un flessibile senza occhiali di protezione durante un’attività di lavoro dipendente (anche se non regolare) e che non poteva essere negata l’esistenza di un rapporto di lavoro subordinato. Era da ritenere dimostrato, inoltre, che i dispositivi di protezione erano stati consegnati ai dipendenti ed era stata eseguita una corretta attività di informazione.
Ciò premesso, la Corte ha tuttavia escluso che i convenuti potessero essere ritenuti responsabili dell’accaduto, perché, pur rivestendo J.F. il ruolo di amministratore unico della società, il soggetto realmente preposto alla vigilanza ed al quotidiano controllo dei lavoratori era, in realtà, J.U., padre del convenuto. Pertanto, rivestendo quest'ultimo il ruolo di preposto, non era possibile ravvisare in capo a J.F. la commissione di un illecito penale, essendo stato dimostrato che i dispositivi di protezione erano stati consegnati e che non vi era stata alcuna omissione di controllo sui dipendenti, posto che a tale attività non era adibito J.F..
3. Contro la sentenza della Corte d’appello di Torino propone ricorso F.I. con atto affidato ad un solo motivo.
J.F. e la s.r.l. Cave San Basilio non hanno svolto attività difensiva in questa sede.
Il ricorso è stato avviato alla trattazione in camera di consiglio, sussistendo le condizioni di cui agli artt. 375, 376 e 380-bis cod. proc. civ., e non sono state depositate memorie.
 

 

Diritto

 

1. Con l’unico motivo di ricorso si lamenta, in riferimento all’art. 360, primo comma, n. 3), cod. proc. civ., violazione e falsa applicazione dell'art. 2087 cod. civ. e degli artt. 4, 8, 8-bis, 9 e 10 del decreto legislativo 19 settembre 1994, n. 626 in materia di infortuni sul lavoro. Rileva il ricorrente che la circostanza secondo cui J.U. svolgeva funzioni di direttore dei lavori non farebbe comunque venire meno la responsabilità di J.F. come legale rappresentante della società.
1.1. Il motivo è fondato.
1.2. La sentenza impugnata, con un accertamento non più modificabile in questa sede, ha rilevato che erano stati osservati, da parte della società datrice di lavoro, gli obblighi attinenti alla consegna dei dispositivi di sicurezza per i lavoratori e che era stata anche fornita a questi ultimi un’adeguata opera di informazione. Muovendo da tale premessa, la sentenza ha però affermato — seguendo una logica di carattere penalistico, non applicabile in sede civile — che non vi era la prova della commissione, da parte di J.F., di un illecito penale e che non vi era stata «omissione di controllo dei lavoratori dipendenti in merito al concreto utilizzo di tali dispositivi (occhiali di protezione), in quanto tale controllo non competeva a J.F. in qualità di amministratore unico della società, bensì al direttore dei lavori J.U., preposto al cantiere».
Tale ragionamento non è condivisibile.
Ed infatti, l’art. 4, comma 4, lettera d), del d.lgs. n. 626 del 1994 prevede che il datore di lavoro è tenuto a fornire ai lavoratori i necessari strumenti di protezione, ma la successiva lettera f prevede anche che egli debba richiedere l’osservanza da parte dei lavoratori delle norme vigenti; mentre la possibilità di delegare le funzioni di prevenzione e protezione non fa venire meno la responsabilità del datore di lavoro (art. 8, comma 10, d.lgs. cit.). Ne consegue che, ove anche fosse stato realmente delegato il compito di controllare il rispetto della normativa di sicurezza ad un soggetto diverso dall’amministratore della società, ciò non escluderebbe la responsabilità di quest’ultimo e della società che egli rappresenta (art. 1228 cod. civ.). J.F., quindi, non poteva invocare a propria scusante, in sede civile, la delega delle funzioni di controllo e la sentenza impugnata, proprio a causa di tale errore, non ha accertato se vi furono o meno le omissioni di controllo dei dipendenti.
1.3. In tal senso è la giurisprudenza di questa Corte alla quale l’odierna pronuncia intende dare continuità.
La sentenza 18 maggio 2007, n. 11622, infatti, ha già affermato che l’accertato rispetto delle normative antinfortunistiche non esonera il datore di lavoro dall’onere di aver adottato tutte le cautele necessarie ad impedire il verificarsi dell’evento; principio che vale in massimo grado nei confronti dei lavoratori apprendisti, per intuitive ragioni (il principio è stato sostanzialmente confermato dalla sentenza 24 gennaio 2012, n. 944).
Né può giovare a favore del datore di lavoro quanto affermato dalla sentenza 11 aprile 2013, n. 8861, secondo cui va esclusa la responsabilità del datore di lavoro per l’infortunio occorso al lavoratore qualora l’infortunio si verifichi per un comportamento del dipendente che presenti i caratteri della abnormità e dell’assoluta imprevedibilità. Nel caso oggi in esame, infatti, la Corte torinese ha fondato la pronuncia di rigetto della domanda risarcitoria senza richiamare in alcun modo il principio di cui a tale sentenza, bensì sul fatto puro e semplice che non fosse J.F. il soggetto preposto al controllo dei dipendenti.
2. Il ricorso, pertanto, è accolto e la sentenza impugnata è cassata. 
Il giudizio è rinviato alla Corte d’appello di Torino, in diversa composizione personale, la quale deciderà attenendosi a quanto indicato nella presente pronuncia.
Al giudice di rinvio è demandato anche il compito di liquidare le spese del presente giudizio di cassazione.
 

 

P.Q.M.

 


La Corte accoglie il ricorso, cassa la sentenza impugnata e rinvia alla Corte d’appello di Torino, in diversa composizione personale, anche per la liquidazione delle spese del giudizio di cassazione.
Così deciso in Roma, nella camera di consiglio della Sesta Sezione Civile - 3, il 21 febbraio 2019.