Categoria: Cassazione penale
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Cassazione Penale, Sez. 4, 21 maggio 2019, n. 22096 - Caduta dal tetto del capannone. Il committente, anche quando non si ingerisce nella loro esecuzione, rimane obbligato a verificare l'idoneità dell'impresa e dei lavoratori autonomi scelti


 

 

 

Presidente: MENICHETTI CARLA Relatore: MONTAGNI ANDREA Data Udienza: 19/04/2019

 

 

 

Fatto

 

1. La Corte di Appello di Napoli, con la sentenza indicata in epigrafe, per quanto rileva in questa sede, confermava la sentenza di condanna del Tribunale di Napoli, Sezione distaccata di Marano, in data 14.10.2013, nei confronti di R.N., in ordine al reato di cui all'art. 589 cod. pen. Al prevenuto, nella sua qualità di committente dei lavori di rifacimento del tetto del capannone adibito a vivaio, si ascrive di avere colposamente provocato la morte del lavoratore C.A., dipendente della impresa esecutrice; ciò, per non aver verificato in alcun modo l'idoneità tecnico-professionale della ditta alla quale aveva affidato i lavori, di talché il dipendente cadeva a terra da una altezza di otto metri, a causa della rottura di un elemento della copertura, riportando un grave politraumatismo causa del decesso.
La Corte territoriale rilevava che l'imputato R.N. era non solo il proprietario ma anche l'unico detentore della tettoia ove si sono svolti i lavori. Al riguardo, il Collegio evidenziava che la difesa non aveva confutato la circostanza che R.N. avesse stipulato con la società Publivision Agency un contratto di affitto del tabellone pubblicitario allocato sul tetto, in un periodo successivo di due anni rispetto alla data del sinistro. Oltre a ciò, in sentenza si precisa che il carpentiere M. Domenico aveva dichiarato di avere ricevuto l'incarico di svolgere i lavori di manutenzione della tettoia solo dal R.N..
2. Avverso la richiamata sentenza della Corte di Appello di Napoli ha proposto ricorso per cassazione R.N., a mezzo del difensore.
La parte richiama il contenuto dell'atto di appello e rileva che la Corte territoriale ha reso una motivazione inesistente, insufficiente ed illogica, pure omettendo di soffermarsi sul secondo motivo affidato all'impugnazione di merito.
Ciò posto, con il primo motivo il ricorrente denuncia la violazione di legge.
Osserva che illegittimamente i giudici hanno ritenuto sussistente l'aggravante ex art. 3, comma 8, d.lgs. 494/1996, laddove detta ipotesi integra in astratto la condotta delittuosa contestata. Osserva che In tal modo si è verificata una violazione dell'alt. 61 cod. pen. L'esponente sottolinea che detta aggravante è stata elisa dal giudizio di equivalenza con le attenuanti generiche. Chiede, pertanto l'annullamento della sentenza impugnata.
Con il secondo motivo si deduce il vizio motivazionale in merito alla ritenuta committenza delle opere e la violazione della legge processuale.
L'esponente rileva che la Corte di Appello ha posto una equivalenza tra la qualità di proprietario e quella di committente dei lavori, fondando l'addebito su una sorta di ammantata responsabilità oggettiva.
Osserva che in sentenza si confonde la locazione dell'area della copertura, sulla quale venne posizionato il tabellone pubblicitario di proprietà della Publivision con la locazione del predetto tabellone. L'esponente rileva che il conduttore pagava un corrispettivo proprio per la locazione di ampia parte della copertura, ove era stato installato il tabellone pubblicitario di proprietà della Publivision. L'esponente rileva che erroneamente il Collegio ha escluso che l'area di copertura del capannone fosse stata oggetto di locazione.
Sotto altro aspetto, il ricorrente osserva che la Corte di Appello ha affermato che R.N. rivestiva la qualità di committente dei lavori sulla base delle dichiarazioni del coimputato M., omettendo di verificare la sussistenza di riscontri estrinseci, ex art. 192, comma 3, cod. proc. pen.
L'esponente rileva che la Corte di merito non ha chiarito le ragioni per le quali ha ritenuto che l'intervento di siliconatura dei fori di allocazione delle staffe di sostegno del tabellone pubblicitario fossero stati commissionati da R.N., anziché dalla Publivision.
Il ricorrente contesta il travisamento delle assunte prove dichiarative, laddove la Corte di Appello ha affermato che fu R.N. ad accogliere l'C.A. e a consegnargli la scala per l'accesso al tetto.
Con il terzo motivo viene dedotta la violazione di legge e l'omessa pronuncia sulle questioni che erano state affidate al secondo motivo dell'atto di appello.
L'esponente sottolinea che, con l'atto di appello, aveva contestato la sussistenza del profilo di colpa derivante dalla ritenuta inadeguatezza della ditta M. ad eseguire le opere di riparazione della copertura. Osserva che la Corte territoriale ha omesso ogni considerazione al riguardo. Rileva che l'idoneità tecnico-professionale della ditta M. era già stata acciarata in precedenza, posto che proprio tale ditta era stata incaricata di effettuare l'installazione del tabellone pubblicitario sul tetto del vivaio per conto della Publivision.
Con il quarto motivo il ricorrente deduce il travisamento della prova. Osserva che i giudici hanno valorizzato fatti irrilevanti, come la circostanza che fu R.N. ad accogliere l'C.A..
 

 

Diritto

 


1. Il ricorso che occupa muove alle considerazioni che seguono.
2. Il primo motivo è inammissibile.
La Corte regolatrice ha da tempo chiarito che l'art. 589, comma 2, cod. pen., prevede, come circostanza aggravante del reato di omicidio colposo, che il fatto sia commesso con violazione delle norme sulla disciplina della circolazione stradale o di quelle per la prevenzione degli infortuni sul lavoro (cfr. Sez. 4, n. 537 del 14/03/1967, Biscetti, Rv. 10508801).
La giurisprudenza di legittimità ha infatti ripetutamente affermato che la violazione di specifiche norme di prevenzione contro gli infortuni, da parte dei soggetti destinatari, costituisce uno specifico profilo di colpa nei reati contro l'incolumità personale (lesioni o omicidio colposo) ed integra l'aggravante speciale della violazione della normativa antinfortunistica (cfr. Sez. 4, n. 7152 del 23/03/1987, Addeo, Rv. 17614001).
Per quanto riguarda poi il caso di infortuni sul lavoro verificatisi in esecuzione di un contratto di appalto o di prestazione di opera, si è precisato che il committente, anche quando non si ingerisce nella loro esecuzione, rimane comunque obbligato a verificare l'idoneità tecnico - professionale dell'impresa e dei lavoratori autonomi prescelti in relazione ai lavori affidati, dovendosi, peraltro, escludere che la non idoneità possa essere ritenuta per il solo fatto dell'avvenuto infortunio, in quanto il difetto di diligenza nella scelta dell'impresa esecutrice deve formare oggetto di specifica motivazione da parte del giudice (Sez. 4, n. 44131 del 15/07/2015, Heqimi, Rv. 26497501).
Come si vede, non sussiste altrimenti la dedotta violazione di legge, posto che, secondo diritto vivente, la violazione di norme antinfortunistiche vale ad integrare i profili di colpa specifica rilevanti ai fini della sussistenza della circostanza aggravante di cui all'art. 589, comma 2, cod. pen.
3. I restanti motivi di ricorso, che è dato esaminare congiuntamente, si pongono ai limiti della inammissibilità.
Giova ricordare che la Corte di Appello ha chiarito che la società Publivision era proprietaria solo del tabellone pubblicitario installato sul tetto del vivaio; e che il contratto di locazione stipulato dalle parti riguardava la porzione di tetto ove insisteva il tabellone, porzione detenuta dall'odierno ricorrente. Quanto poi alla circostanza che fu R.N. a commissionare le opere al M., funzionali a risolvere i problemi di infiltrazioni di acqua dalla copertura, preme evidenziare che la Corte di Appello, nel richiamare le dichiarazioni del coimputato M., ha fatto espresso riferimento alle concordanti indicazioni rivenienti dalle propalazioni dei testimoni E. e M., i quali hanno riferito che R.N. aveva invano contattato la Publivision, lamentando il verificarsi di infiltrazioni di acqua provenienti dal punto ove era stato posizionato il tabellone. Come si vede, il ragionamento probatorio sviluppato dalla Corte di Appello, soddisfa pure i parametri di cui all'art. 192, comma 3, cod. proc. pen.
Infine, deve rilevarsi che la Corte di Appello insindacabilmente, ha osservato che R.N., nel momento in cui indirizzava C.A. sul tetto, omise di sincerarsi del fatto che l'operaio fosse concretamente attrezzato per l'effettuazione dei lavori in quota e non fece alcun accenno alla vetustà del manufatto ed ai pericoli connessi al calpestio dell'area.
E bene, le conformi valutazioni espresse dai giudici di merito risultano immuni dalle denunziate aporie e si collocano nell'alveo dell'insegnamento espresso dal diritto vivente, rispetto alla responsabilità del committente.
La giurisprudenza di legittimità, invero, ha da tempo chiarito che, in materia di responsabilità colposa, il committente di lavori dati in appalto deve adeguare la sua condotta a due fondamentali regole di diligenza e prudenza: a) scegliere l’appaltatore e più in genere il soggetto al quale affida l’incarico, accertando che la persona, alla quale si rivolge, sia non soltanto munita dei titoli di idoneità prescritti dalla legge, ma anche della capacità tecnica e professionale, proporzionata al tipo astratto di attività commissionata ed alle concrete modalità di espletamento della stessa; b) non ingerirsi nella esecuzione dei lavori (Sez. 3, n. 2329 del 20/01/1992, Stravato ed altri, Rv. 18917301). Nell'alveo di tale insegnamento, si è successivamente affermato che, in materia di infortuni sul lavoro, il committente ha l’obbligo di verificare l’idoneità tecnico-professionale dell’Impresa e dei lavoratori autonomi prescelti in relazione anche alla pericolosità dei lavori affidati. In applicazione del richiamato principio è stata ritenuta la responsabilità dei committenti, in relazione alla morte di un lavoratore edile precipitato al suolo dall’alto della copertura di un fabbricato; ciò in quanto, pur in presenza di una situazione oggettivamente pericolosa, i committenti si erano rivolti ad un artigiano, ben sapendo che questi non era dotato di una struttura organizzativa di impresa che gli consentisse di lavorare in sicurezza (Sez. 3, n. 35185 del 26/04/2016, Marangio, Rv. 26774401).
4. Al rigetto del ricorso, che conclusivamente si impone, segue la condanna del ricorrente al pagamento delle spese processuali oltre alla rifusione delle spese sostenute dalle costituite parti civili, liquidate in dispositivo.

 



P.Q.M.
 

 


Rigetta il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle spese processuali, nonché alla rifusione delle spese sostenute dalle parti civili costituite OMISSIS liquidate in complessivi euro 4.000,00 oltre accessori di legge.
Così deciso in Roma il 19 aprile 2019