Cassazione Penale, Sez. 4, 21 maggio 2019, n. 22079 - Caduta dell'artigiano dal camion durante le attività di scarico. Principio di effettività e datore di lavoro di fatto


 

 

Presidente: CIAMPI FRANCESCO MARIA Relatore: NARDIN MAURA Data Udienza: 20/02/2019

 

 

 

Fatto

 

 

 

1. Con sentenza del 10 maggio 2018 la Corte di appello Bologna ha parzialmente riformato, dichiarando il reato estinto per intervenuta prescrizione e confermando le stauitizioni la sentenza del Tribunale di Reggio Emilia con cui M.C., nella sua qualità di legale rappresentante della TIL Tetti Legno s.r.l. e datore di lavoro di fatto di C.A., è stato ritenuto responsabile del reato di cui all'art. 113, 590, comma 1A e 3A cod. pen. per avere colposamente cagionato lesioni personali gravi a quest'ultimo, perché con imprudenza, negligenza ed imperizia ed in violazione delle norme di prevenzione e sicurezza dei luoghi di lavoro ed in particolare degli artt. 36 bis comma 1 e 7 dell'art. 6 comma 2A in relazione all'art. 5 comma 1A lett. a) d. lgs. 626/1994, ometteva di attuare le misure tecniche organizzative per ridurre al minimo le operazioni di scarico dei mezzi, ometteva di cooperare nell'attuazione delle misure di prevenzione e protezione sui luoghi di lavoro dai rischi incidenti sull'attività lavorativa oggetto dell'appalto, anche coordinando gli interventi relativi allo scarico di materiali dai mezzi ed ai lavori in altezza, così provocando l'infortunio.
2. Il fatto nella sua materialità, per come descritto dalle sentenze di merito può essere così descritto: M.C., legale rappresentante della TIL Tetti Legno s.r.l., che operava nel cantiere GEA s.p.a. committente di lavori di costruzione di un fabbricato, quale impresa subappaltatrice dalla Cisa Legno s.r.l., incaricata della posa in opera della copertura in legno, nell'ambito della costruzione di un fabbricato commissionato dalla GEA s.p.a, in data 14 maggio 2007, dava disposizioni a C.A., formalmente artigiano, chiamato per l'esecuzione dei lavori dall'imputato, insieme a D.A., di scaricare il camion della Transcoop, incaricata dalla Cisa Legno, su cui erano caricate travi di legno, confezionate in pacchi. Il C.A. saliva sul mezzo per iniziare lo scarico, privo di mezzi di protezione, e cominciava a passare le funi sotto i pacchi, al fine di poterli agganciare alla gru. Nel corso dell'operazione, un travetto di legno utilizzato dal C.A. per fare leva su una confezione di legname, si rompeva ed il lavoratore, perdendo l'equilibrio rovinava a terra, da un'altezza di m. 3,50 riportando una lesione esposta biossea alla gamba sinistra, da cui derivava una malattia di durata superiore a quaranta giorni e l'indebolimento permanente dell'arto.
3. Avverso la sentenza della Corte di appello propone ricorso per cassazione l'imputato, a mezzo del suo difensore, affidandolo ad un unico motivo.
4. Con la doglianza fa valere, ex art. 606, primo comma, lett. e) il vizio di motivazione in ordine alla ritenuta sussistenza di un rapporto di lavoro di fatto fra il M.C. ed il C.A., ritenuto dalla sentenza impugnata. Riportato il contenuto dell'atto di appello, nella parte in cui contesta l'affermazione di responsabilità dell'imputato, osserva che la decisione non fornisce risposta al gravame proposto contro la sentenza del giudice di primo grado che individuava nel solo M.C. il datore di lavoro di fatto del C.A. (assolvendo Omissis, nelle rispettive qualità di legale rappresentante della GEA s.p.a, direttore tecnico di cantiere, titolare dell'impresa individuale appaltatrice dei lavori di costruzione del fabbricato e capocantiere incaricato dalla GEA di scaricare il camion, orginariamente individuati dall'imputazione come soggetti, in cooperazione colposa con l'imputato avevano cagionato l'infortunio). In particolare, infatti, con l'atto di appello ci si era doluti che la sentenza di prima cura: avesse ritenuto la sussistenza di un rapporto di esclusività fra il C.A. ed il M.C., mentre il primo lavorava anche per altre imprese, tanto è vero che aveva svolto il corso per la sicurezza presso la Cisa Legno, appaltatrice dell'opera di copertura, che aveva assolto gli obblighi di formazione ed informazione dell'infortunato (così come altri artigiani operanti in cantiere); avesse omesso di assegnare la dovuta rilevanza alla circostanza che la competenza a scaricare il camion apparteneva alla GEA, come risultante dal P.O.S. della Cisa Legno e confermato dal teste Pucci; che l'aver concordato con il C.A. che questi avrebbe scaricato il camion, non può essere tecnicamente considerato un 'ordine'; che l'avere il M.C. telefonato alla Cisa legno prima dell'operazione di scarico, non è elemento da cui possa ricavarsi la responsabilità del sinistro, posto che né alla Cisa, né all'imputato competeva lo scarico del mezzo; che nessuna cautela poteva comunque essere adottata, non essendo il camion entrato in cantiere, non potendo entrarvi, sicché chi avesse eseguito lo scarico non poteva utilizzare l'imbracatura, non essendovi supporto stabile; che, dunque, l'unico modo di svolgere le operazioni in sicurezza era quella di 'stare attento' raccomandazione rivolta dal M.C. al C.A., nell'occasione; che lo stesso C.A. aveva riconosciuto che se per scaricare i pacchi di legname vi fossero stati i "quadrotti" il sinistro non sarebbe avvenuto. Osserva che a queste sollecitazioni la Corte d'appello non aveva fornito risposta, limitandosi ad affermare principi astratti, intrinsecamente incontestati, ma del tutto svincolati dall'istruttoria. Allega gli atti istruttori richiamati con l'atto di appello e conclude per l'annullamento della sentenza impugnata.
 

 

Diritto

 


1. Il ricorso è manifestamente infondato.
2. Con il gravame non si contestano le modalità di accadimento dell'evento, ma unicamente la qualità di datore di lavoro di fatto, su cui la sentenza impugnata, pronunciandosi sull'azione civile, fonda la dichiarazione di colpevolezza di M.C.. La sua responsabilità, al contrario, dovrebbe essere esclusa. E ciò, da un lato, perché C.A. era effettivamente e non solo formalmente un artigiano, tant'è vero che aveva lavorato anche per altre imprese operanti nel medesimo cantiere, dall'altro, perché quello che il Collegio aveva considerato un 'ordine', impartito dall'imputato alla persona offesa, non poteva dirsi tale, posto che lo scarico del mezzo non era di competenza della sua impresa, né dell'impresa dalla quale erano stati subappaltati i lavori, non potendo, in ogni caso, predisporsi alcun presidio, per le condizioni concrete di scarico.
3. Ora, la sentenza, contrariamente a quanto sostenuto dall'imputato, risponde alle censure introdotte con l'atto di appello, richiamando in primo luogo il principio di effettività che connota il rapporto con chi svolge concretamente il lavoro assegnato.
La giurisprudenza di legittimità, invero, ha chiarito in plurime occasioni che "In materia di prevenzione degli infortuni sul lavoro, in base al principio di effettività, assume la posizione di garante colui il quale di fatto si accolla e svolge i poteri del datore di lavoro, del dirigente o del preposto. (Fattispecie relativa all'assunzione di fatto degli obblighi di garanzia del datore di lavoro o del preposto da parte del dipendente che dirigeva personalmente gli operai in cantiere, dando indicazioni al lavoratore infortunato circa le modalità di esecuzione dei lavori, in difformità da quanto previsto nel piano operativo di sicurezza). (Sez. 4, n. 50037 del 10/10/2017 - dep. 31/10/2017, Buzzegoli e altri, Rv. 27132701; nonché ex multis: Sez. 4, n. 24136 del 06/05/2016 - dep. 10/06/2016, P.C., Di Maggio e altri, Rv. 26685401; Sez. 4, n. 22246 del 28/02/2014 - dep. 29/05/2014, Consol, Rv. 25922401).
4. Nel caso di specie non è dubbio, né viene negato dal ricorrente, che il M.C. abbia richiesto al C.A. di provvedere allo scarico dell'automezzo su cui erano caricati i pacchi di legname da utilizzare per le opere appaltate alla Cisa legno e da questa subappaltate all'impresa Til Tetti Legno s.r.l.. Il fatto che lo scarico del camion non fosse di competenza di quest'ultima società, né dell'appaltatrice Cisa Legno, come sottolinea il M.C., non lo esime affatto dalla responsabilità, ma aggrava ulteriormente la sua posizione, poiché egli ha assunto un ruolo di fatto, non formalmente incombente su di lui, al di fuori di deleghe specifiche, così prendendo su di sé responsabilità altrimenti distribuite fra le aziende operanti nel cantiere.
5. Ciò premesso, la sentenza coerentemente conclude che, in assenza della possibilità di predisporre i presidi necessari per provvedere allo scarico della merce, quali l'imbracatura ad un sostegno stabile che impedisse la caduta, anche laddove si volesse ipotizzare la concorrente responsabilità dell'autista responsabile delle modalità di carico, il M.C., al fine di evitare rischi derivanti dall'attività, avrebbe semplicemente dovuto astenersi dal dare direttive al C.A. affinché questi desse inizio alle operazioni. Debbono, dunque, ritenersi integrate sia la colpa generica, avendo imprudentemente il M.C. dato disposizioni al C.A., di operare in altezza, in assenza della possibilità di fornirgli adeguate misure di protezione, che la colpa specifica per l'omessa adozione delle cautele individuali prescritte dall'art. 36 bis d.lgs. 626/1994.
6. Non può dirsi sussistente, dunque, il vizio lamentato con il ricorso, relativo all'insufficienza della motivazione avendo la Corte territoriale dato risposta al motivo di appello proposto confermando, ai fini civili, la responsabilità del M.C. nella causazione del sinistro.
L'assenza di effettivo confronto con il contenuto della sentenza impugnata comporta la declaratoria di inammissibilità del ricorso, con conseguente condanna del ricorrente al pagamento delle spese processuali ed al versamento della somma di euro duemila in favore della cassa delle ammende, oltre che alla rifusione delle spese sostenute dalla costituita parte civile che liquida in complessivi euro 2.500,00 oltre accessori come per legge.
 

 

P.Q.M.

 


Dichiara inammissibile il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle spese processuali ed al versamento della somma di euro duemila in favore della cassa delle ammende, nonché alla rifusione delle spese sostenute dalla costituita parte civile che liquida in complessivi euro 2.500,00 oltre accessori come per legge.
Così deciso il 20/02/2019