Cassazione Civile, Sez. Lav., 30 maggio 2019, n. 14795 - Esposizione ultradecennale ad amianto


Presidente: MANNA ANTONIO Relatore: BERRINO UMBERTO Data pubblicazione: 30/05/2019

 

Fatto

 

 

 

La Corte d'appello di Messina (sentenza del 16.5.2014), pronunciando sull'impugnazione proposta avverso la sentenza n. 4238/2010 del giudice del lavoro del Tribunale della stessa sede, ha riformato parzialmente la gravata decisione ed ha rigettato le domande proposte nei confronti dell'Inps dai ricorrenti che avevano lavorato presso il cantiere navale della società SMEB. Questi ultimi avevano chiesto il riconoscimento dell'aumento pensionistico per esposizione ultradecennale all'amianto in applicazione dei benefici di cui all'art. 13 della legge n. 257/1992 (sulla scorta del fatto che l'Inail aveva rilasciato le attestazioni previste dalla legge fino al 31.12.1990), nonché la condanna dell'Inps ad operare l'incremento della prestazione pensionistica per il periodo successivo fino al 7.10.2003, ovvero fino alla data di cessazione dei relativi rapporti di lavoro.
Il primo giudice aveva dichiarato improponibili le domande dei ricorrenti per decadenza, ad eccezione di quelle formulate da Q.P. e L.F., ritenute, invece, infondate.
La Corte territoriale ha condiviso il ragionamento del primo giudice, secondo cui anche nel caso in cui la domanda amministrativa fosse stata proposta prima del 2 ottobre 2003, data di entrata in vigore della nuova disciplina di cui alla legge n. 326 del 2003, la stessa avrebbe dovuto essere riproposta nel termine di 180 giorni, decorrente dall'entrata in vigore del D.M. 27.10.2004, in base alla previsione degli artt. 47, comma 5, del D.L. n. 269/2003 (convertito nella legge n. 326/03) e 3, comma 132, della legge n. 350/2003, contenendo la prima delle suddette norme una disposizione transitoria rivolta a tutta la platea dei lavoratori interessati al beneficio di cui all'art. 13 della legge n. 257/1992.
Ne conseguiva, secondo la Corte di merito, che non potevano valere ad impedire la predetta decadenza le domande avanzate dagli appellanti nel periodo antecedente all'entrata in vigore del DM 27.10.2004 che aveva, invece, previsto che le stesse dovessero essere proposte entro il predetto termine di 180 giorni. Né a tal fine poteva valere l'elenco delle domande depositato presso l'Inail il 15.6.2005, trattandosi di un documento che non conteneva alcun riferimento alle domande dei singoli lavoratori, né alcuna specificazione sulla data in cui le stesse sarebbero state proposte. Ne conseguiva il rigetto delle domande, posto che la ravvisata decadenza aveva colpito il diritto stesso ai reclamati benefici previdenziali. Infine, quanto alla posizione di Q.P., che aveva proposto appello autonomo, dovevano trovare conferma le osservazioni del primo giudice sulla carenza di prova in ordine alla qualificata esposizione al rischio.
Avverso tale sentenza sono stati proposti quattro distinti ricorsi in cassazione da parte dei ricorrenti di cui in epigrafe, illustrati da memorie.
Avverso ognuno dei predetti ricorsi resiste l'Inps con controricorso.
 

 

Diritto

 


1. Nel procedimento r.g. n. 18211/2014 proposto da G.M. ed altri 16 ricorrenti i motivi di censura sono i seguenti: violazione e/o falsa applicazione delle norme di cui all'art. 13, comma 8, della legge n. 257/92, all'art. 47, commi 5 e 6, del D.L. n. 269/03, convertito con legge n. 326/03, e agli artt. 1, commi 2, 3 e 9 del D.M. (Ministero del Lavoro e delle Politiche Sociali) n. 16179 del 27.10.2004, in relazione all'art. 360, comma 1, n. 3 c.p.c.; violazione e/o falsa applicazione delle norme di cui agli artt. 115, 421, comma 2, e 437 c.p.c., all'art. 13, comma 8, della legge n. 257/92, all'art. 47, commi 5 e 6, del D.L. n. 269/03, convertito con legge n. 326/03, e agli artt. 1, commi 2, 3 e 9 del D.M. (Ministero del Lavoro e delle Politiche Sociali) n. 16179 del 27.10.2004, in relazione all'art. 360, comma 1, n. 3 c.p.c.
In sintesi, i ricorrenti sostengono che il termine iniziale per proporre la domanda amministrativa in questione era quello dell'entrata in vigore del D.L. n. 269/03, convertito nella legge n. 326/03, e non quello, erroneamente indicato dai giudici di merito, della pubblicazione del D.M. 27/10/2004, meramente attuativo della norma primaria; quindi, dal disposto di quest'ultimo decreto si deduce, secondo la presente tesi difensiva, che i lavoratori di cui all'art. 1, comma 2, avrebbero dovuto presentare la suddetta domanda nel termine di 180 giorni dalla sua pubblicazione qualora non vi avessero già provveduto; in definitiva, essi ricorrenti, diversamente da quanto ritenuto nell'impugnata sentenza, non erano incorsi nella decadenza in questione, avendo presentato domanda all'Inail tempestivamente il 30.3.2004; inoltre, il materiale probatorio da essi prodotto in giudizio era sufficiente per l'accoglimento delle domande volte al conseguimento del benefici contributivi di cui trattasi.
2. Nel procedimento n. 19350/2014, promosso da F. ed altri 29 ricorrenti, i medesimi si lamentano della violazione e/o falsa applicazione delle norme di cui all'art. 13, comma 8, della legge n. 257/92, all'art. 47, commi 5 e 6, del D.L. n. 269/03, convertito con legge n. 326/03, e agli artt. 1, commi 2, 3 e 9 del D.M. (Ministero del Lavoro e delle Politiche Sociali) n. 16179 del 27.10.2004, in relazione all'art. 360, comma 1, n. 3 c.p.c.
Si assume, in pratica, che l'obbligo di ripresentare la domanda amministrativa in questione entro il termine di 180 giorni dalla pubblicazione del previsto decreto ministeriale è disposto non a decorrere da tale decreto, che è meramente attuativo della norma primaria, bensì direttamente da quest'ultima, vale a dire dall'art. 47, comma 5, del d.l. n. 269/03, convertito nella legge n. 326/03; in quest'ultima norma il riferimento alla data di pubblicazione del D.M. attuativo è fatto esclusivamente per stabilire il termine finale e non quello iniziale per la proposizione della domanda amministrativa di cui trattasi; una volta accertata la tempestività delle domande amministrative, secondo i ricorrenti il materiale probatorio versato in atti era sufficiente per l'accoglimento delle domande volte al conseguimento dei benefici contributivi oggetto del contendere.
3. Nel procedimento promosso da M.A. ed altri 14 ricorrenti vengono esposti i seguenti motivi di censura: violazione e falsa applicazione dell'art. 47, comma 5, del d.l. n. 269/03, conv. in L. n. 326/03, e degli artt. 1 e 3 del Decreto del Ministero del Lavoro e delle Politiche Sociali del 27.10.2004 (in Gazz. Uff. n. 295 del 17/12/2004), in relazione all'art. 360, comma 1, n. 3 c.p.c.; violazione dell'art. 116 c.p.c., in relazione all'art. 360, comma 1, n. 4, c.p.c.; omesso esame circa un fatto decisivo per il giudizio che è stato oggetto di discussione tra le parti, ai sensi dell'art. 360, comma 1, n. 5 c.p.c., nonché violazione di legge.
In concreto, i ricorrenti deducono che, contrariamente a quanto affermato nell'impugnata sentenza, le loro domande amministrative erano state tempestive proposte, essendo state spedite con lettere raccomandate del 30.3.04, del 31.3.04, del 2.4.04, del 6.4.04 e del 28.9.04, cioè in un periodo addirittura antecedente a quello in cui era stata prevista la loro rinnovazione; in ogni caso, le domande erano state reiterate all'Inail in data 14.6.2005 ai fini del rilascio dell'attestazione dell'esposizione al rischio di amianto; inoltre, le domande contenevano tutti i dati utili ai fini del loro accoglimento, ma la Corte di merito aveva omesso di pronunziarsi al riguardo.
4. C.G. deduce, nel procedimento da lui instaurato, il vizio di violazione e/o falsa applicazione delle norme di cui all'art. 13, comma 8, della legge n. 257/92, all'art. 47, commi 5 e 6, del D.L. n. 269/03, convertito con legge n. 326/03, e agli artt. 1, commi 2, 3 e 9 del D.M. n. 16179 del 27.10.2004, contestando la decisione impugnata laddove è stata affermata la decadenza del diritto ai benefici in esame sulla base del rilievo che nessuno dei lavoratori aveva proposto la domanda all'Inail, prevista dall'art. 47 del d.l. 269/03, entro il termine di 180 giorni dalla data di pubblicazione del D.M. 27/10/04; in realtà, aggiunge il ricorrente, il riferimento alla data di pubblicazione del predetto decreto attuativo era stato fatto esclusivamente per stabilire il termine finale, e non anche quello iniziale, per la proposizione della domanda amministrativa; infine, secondo la tesi del ricorrente, il materiale probatorio versato in atti era sufficiente per l'accoglimento della domanda.
5. Osserva la Corte che i predetti motivi possono essere esaminati congiuntamente essendo tra loro strettamente connessi.
La questione da risolvere è se la ravvisata decadenza, scaturente dalla mancata proposizione delle domande amministrative nel termine dei 180 giorni, di cui alle citate disposizioni di legge, potesse essere applicata anche ai casi, come quello di specie, in cui le domande amministrative, seppur riferite al periodo di esposizione antecedente al 2.10.2003, erano state tuttavia proposte nel corso del 2004 e prima dell'entrata in vigore del D.M. di attuazione del 27.10.2004.
Orbene, con Ordinanza n. 14895 del 16/7/2015 della Sezione sesta Lavoro di questa Corte si è affermato che << In tema di benefici previdenziali in favore dei lavoratori esposti all'amianto, la decadenza speciale dall'azione giudiziaria, prevista dall'art. 47, comma 5, del d.l. n. 269 del 2003, conv. con modif. in L. n. 326 del 2003, non è applicabile anche a coloro che rientrano nel regime previgente, di cui all'art 13, comma 8, della L. n. 257 del 1992, ed in particolare ai lavoratori esclusi in virtù del comma 6 bis dell'art. 47 della I. n. 326 cit. Ne consegue che il d.m. attuativo del 27 ottobre 2004, laddove all'art. 1 ha riferito il termine di decadenza anche ai suddetti lavoratori, è in contrasto con la fonte primaria, sicché va disapplicato>>.
6. In effetti, il D.M. 27 ottobre 2004 all'art. 1 ha previsto quanto segue: "1. I lavoratori che, alla data del 2 ottobre 2003, sono stati esposti all'amianto per periodi lavorativi non soggetti all'assicurazione obbligatoria contro gli infortuni sul lavoro e le malattie professionali gestita dall'I.N.A.I.L. hanno diritto ai benefici previdenziali derivanti da esposizione ad amianto, alle condizioni e con le modalità stabilite dal presente decreto. 2. Ai lavoratori che sono stati esposti all'amianto per periodi lavorativi soggetti all'assicurazione obbligatoria contro gli infortuni sul lavoro e le malattie professionali, gestita dall'I.N.A.I.L., che abbiano già maturato, alla data del 2 ottobre 2003, il diritto al conseguimento dei benefici previdenziali di cui alla L. 27 marzo 1992, n. 257, art. 13, comma 8, e successive modificazioni, si applica la disciplina previgente alla medesima data, fermo restando, qualora non abbiano già provveduto, l'obbligo di presentazione della domanda di cui all'art. 3 entro il termine di 180 giorni, a pena di decadenza, dalla data di entrata in vigore del presente decreto".
Con riguardo all'ultimo inciso ed alla portata del "generale" obbligo di presentazione della domanda all'I.N.A.I.L. nel previsto termine decadenziale di 180 giorni si rileva che le pronunzie più recenti di questa Corte (Cass. n. 24998/2014, n. 5928/2015), muovendo dall'assunto che tale D.M.£ fonte regolamentare meramente attuativa delle disposizioni di cui al D.L. n. 269 del 2003, art. 47 conv. nella L. n. 326 del 2003, hanno ritenuto che lo stesso non può che muoversi nel solco tracciato dalla legge e che il riferimento, per l'applicazione della disciplina previgente, a coloro che abbiano già maturato, alla data del 2 ottobre 2003, il diritto al conseguimento dei benefici previdenziali di cui alla L. 27 marzo 1992, n. 257 e successive modificazioni, art. 13, comma 8, va necessariamente inteso come riferimento a coloro che abbiano già maturato il diritto a pensione. Ed allora, la suddetta natura di fonte meramente attuativa ha come conseguenza ulteriore che, quando trovi applicazione il regime antecedente la riforma del 2003, l'interessato non è 
soggetto al termine decadenziale (180 gg.) introdotto dal D.L. n. 269 del 2003, che interessa solo determinate categorie di lavoratori. Il D.M., in sostanza, riferendo il termine di 180 giorni anche ai lavoratori ai quali si applica la disciplina previgente per effetto, in particolare, della L. 24 novembre 2003, n. 326, art. 47, comma 6 bis, (e cioè a coloro che abbiano già maturato, alla data del 2 ottobre 2003, il diritto al conseguimento dei benefici previdenziali di cui alla L. 27 marzo 1992, n. 257, art. 13, comma 8) ha introdotto - da fonte secondaria avente un ambito di contenuti limitato alla mera attuazione della specifica disciplina introdotta con il D.L. n. 269 del 2003 - un istituto eccezionale (quale è sicuramente la decadenza speciale) in contrasto con la fonte primaria (che, da una parte, non prevede espressamente la possibilità per tale fonte secondaria di una portata innovativa rispetto all'assetto ordinamentale come delineato negli aspetti principali e, dall'altra, non solo non prevede analoga decadenza speciale ma anzi contiene una espressa previsione di esclusione - art. 47, comma 6 bis cit. -). Laddove il D.M. ha, dunque, adottato una disposizione in contrasto con il contenuto dello stesso art. 47 e con il regime transitorio da quest'ultimo previsto, lo stesso deve essere disapplicato.
7. Orbene, dalla sentenza impugnata emerge che nella fattispecie l'Inail aveva rilasciato le attestazioni previste dalla legge limitatamente al periodo compreso tra l'inizio dei singoli rapporti di lavoro fino al 31.12.1990, per cui i ricorrenti avevano chiesto la condanna dell'Inps ad operare l'incremento della prestazione pensionistica per il periodo successivo e fino al 7.10.2003. Inoltre, risulta dalla sentenza che gli appellanti avevano attivato il procedimento amministrativo nel corso del 2004 e, comunque, prima dell'entrata in vigore del DM 27.10.2004, seppur pochi mesi dopo l'entrata in vigore della legge n. 326/03, il tutto con riferimento alla situazione di esposizione al rischio amianto che si era per essi concretizzata fino al mese di ottobre del 2003. Sarebbe, oltretutto, discriminatorio ritenere - una volta condiviso il predetto orientamento di legittimità sulla insussistenza di un obbligo di presentazione delle domande da parte di coloro che avevano già maturato, alla data del 2 ottobre 2003, il diritto al conseguimento dei benefici previdenziali di cui trattasi - che per coloro i quali avevano, comunque, proposto la domanda nell'arco temporale compreso tra l'entrata in vigore della nuova norma di cui all'art. 47, comma 5, della legge n. 326 del 2003 e l'emanazione del relativo DM di attuazione dovesse valere l'obbligo di ripresentarla a pena di decadenza entro i 180 giorni dall'emanazione di tale decreto, tanto più che la citata fonte primaria non contemplava un obbligo di riproposizione delle stesse istanze a pena di decadenza, come, invece, ritenuto nell'impugnata decisione.
8. In definitiva, non possono esservi dubbi sul fatto che, stante la natura eccezionale della causa di decadenza in esame e l'impossibilità di una sua applicazione analogica a casi non espressamente disciplinati, una domanda proposta, come nella fattispecie, dopo l'entrata in vigore della nuova legge, allorquando non era dato ancora conoscere il momento di emanazione del decreto di attuazione, non poteva non avere una propria efficacia e non poteva non essere valutata a prescindere dalla sua eventuale successiva ripresentazione, non potendosi far discendere dalla mancata riproposizione della stessa un effetto di decadenza non contemplato dalla norma primaria nei termini intesi dalla Corte territoriale.
In conclusione, i ricorsi sono fondati e possono essere accolti, con conseguente cassazione dell'impugnata sentenza e con rinvio del procedimento, anche per le spese, ad altro giudice che si individua nella Corte d'appello di Catania.
 

 

P.Q.M.

 

La Corte accoglie i ricorsi, cassa l'impugnata sentenza e rinvia la causa, anche per le spese, alla Corte d'appello di Catania.
Così deciso in Roma il 5 febbraio 2019