Categoria: Cassazione civile
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Cassazione Civile, Sez. 6, 31 maggio 2019, n. 15042 - Malattia professionale e rendita al coniuge superstite. Dies a quo per la decorrenza del termine triennale di prescrizione


Presidente: DORONZO ADRIANA Relatore: CAVALLARO LUIGI Data pubblicazione: 31/05/2019

 

Fatto

 


che, con sentenza depositata il 2.5.2017, la Corte d'appello di Firenze ha confermato la pronuncia di primo grado che aveva rigettato per intervenuta prescrizione la domanda di M.G. volta a conseguire la rendita spettantele quale coniuge superstite di G.P., deceduto per malattia professionale contratta a seguito di esposizione ad amianto;
che avverso tale pronuncia M.G. ha proposto ricorso per cassazione, deducendo un motivo di censura; che l'INAIL ha resistito con controricorso;
che è stata depositata proposta ai sensi dell'art. 380-bis c.p.c., ritualmente comunicata alle parti unitamente al decreto di fissazione dell’adunanza in camera di consiglio; che la ricorrente ha depositato tardivamente memoria;
 

 

Diritto

 


che, con l'unico motivo di censura, la ricorrente denuncia violazione dell'art. 112, T.U. n. 1124/1965, per avere la Corte di merito ritenuto che il termine di prescrizione decorresse da data anteriore alla CTU disposta nel corso di altro giudizio che aveva accertato il nesso di causalità tra l'attività svolta dal defunto coniuge e la malattia che lo aveva condotto al decesso; 
che è consolidato il principio di diritto secondo cui, a seguito di Corte cost. n. 206 del 1988, la manifestazione della malattia professionale, rilevante quale dies a quo per la decorrenza del termine triennale di prescrizione di cui all'art. 112, T.U. n. 1124/1965, può ritenersi verificata quando la consapevolezza circa l'esistenza della malattia, la sua origine professionale e il suo grado invalidante siano desumibili da eventi obiettivi esterni alla persona dell'assicurato, che debbono costituire oggetto di specifico accertamento da parte del giudice di merito (cfr. da ult. Cass. n. 2842 del 2018), fermo restando che rileva all'uopo l'oggettiva possibilità che l'esistenza della malattia ed i suoi caratteri di professionalità ed indennizzabilità siano conoscibili in base alle conoscenze scientifiche del momento, non anche il grado di conoscenze e di cultura del soggetto interessato (Cass. n. 598 del 2016);
che l'accertamento di fatto, necessariamente presuntivo, circa la sussistenza degli elementi necessari ai fini del momento di decorrenza della prescrizione è incensurabile in sede di legittimità se non nei ristretti limiti dell'art. 360 n. 5 c.p.c. (cfr. Cass. n. 16728 del 2006 e successive conformi);
che, nella specie, i giudici territoriali hanno confermato sul punto la pronuncia di primo grado, ritenendo anch'essi che la consapevolezza del nesso causale tra l'esposizione nociva ad amianto, la malattia da cui era affetto il de cuius e il suo grado invalidante indennizzabile dovesse farsi risalire al momento in cui era stata presentata la domanda amministrativa dell'8.1.2002, circa un mese dopo la morte del coniuge dell'odierna ricorrente; 
che, trattandosi di ipotesi di cosiddetta doppia conforme in fatto, ex art. 348-ter, 5° comma, c.p.c., non è ammesso il controllo sulla ricostruzione di fatto operata dai giudici di merito, sicché il sindacato di legittimità è possibile soltanto ove la censura deduca che la motivazione manchi del tutto o sia articolata su espressioni o argomenti tra loro manifestamente ed immediatamente inconciliabili, perplessi o obiettivamente incomprensibili (arg. ex Cass. n. 26097 del 2014);
che, non avendo parte ricorrente mosso alcuna censura del genere, essendosi piuttosto lamentata della contraddittorietà e insufficienza della motivazione in relazione agli elementi di fatto acquisiti al processo e del cattivo uso delle presunzioni, la censura si rivela inammissibile;
che il ricorso, pertanto, va dichiarato inammissibile, provvedendosi come da dispositivo sulle spese del giudizio di legittimità, che seguono la soccombenza;
che, in considerazione della declaratoria d'inammissibilità del ricorso, sussistono i presupposti per il versamento, da parte della ricorrente, dell'ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello dovuto per il ricorso;
 

 

P. Q. M.

 


La Corte dichiara inammissibile il ricorso e condanna parte ricorrente alla rifusione delle spese del giudizio di legittimità, che si liquidano in € 2.200,00, di cui € 2.000,00 per compensi, oltre spese generali in misura pari al 15% e accessori di legge. Ai sensi dell’art. 13, comma 1-quater, del d.P.R. n. 115 del 2002, dà atto della sussistenza dei presupposti per il versamento da parte della ricorrente dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a  quello dovuto per il ricorso a norma del comma 1 -bis dello stesso art. 13.
Così deciso in Roma, nell'adunanza camerale del 19.2.2019