Cassazione Penale, Sez. 3, 07 giugno 2019, n. 25325 - Plurime violazioni in materia di sicurezza. Nessuna estinzione delle contravvenzioni


 

 

Presidente: CERVADORO MIRELLA Relatore: LIBERATI GIOVANNI Data Udienza: 15/02/2019

 

Fatto

 


1. Con sentenza del 18 maggio 2018 la Corte d'appello di Messina, provvedendo sulla impugnazione proposta dall'Imputato nei confronti della sentenza del 6 ottobre 2017 del Tribunale di Messina, con cui E.F. era stato dichiarato responsabile, quale titolare dell'impresa individuale omonima, di plurime violazioni alle disposizioni in materia di igiene e sicurezza del lavoro (di cui agli artt. 18, comma 1, lett. A, C et D; 36; 37; 17, comma 1, lett. B; 96, comma 1, lett. G; 134, comma 1, d.lgs. 81/2008; 4 l. 628/61), venendo conseguentemente condannato alla pena di otto mesi di arresto, ha riconosciuto all'imputato il beneficio della sospensione condizionale della pena, confermando nel resto la sentenza impugnata.
2. Avverso tale sentenza l'imputato ha proposto ricorso per cassazione, affidato a un unico articolato motivo.
Ha, anzitutto, denunciato la violazione e l'erronea applicazione dell'art. 55, comma 5, lett. c) ed d), d.lgs. 81/2008, in relazione agli artt. 18, 36 e 37 del medesimo d.lgs. 81/2008 e dell'art. 4 l. 628/61, e la contraddittorietà e la manifesta illogicità della motivazione, ai sensi dell'art. 606, comma 1, lett. b) et e), cod. proc. pen., per la erroneità della affermazione della configurabilità dei reati di cui ai capi b), c) et d) ascrittigli, nonostante l'avvenuta trasmissione agli organi accertatori, entro i termini assegnati a tale scopo, dei documenti attestanti le informazioni fornite al lavoratore indicato nelle imputazioni (circa i rischi conseguenti allo svolgimento delle lavorazioni), e la formazione ai fini della sicurezza, in quanto la trasmissione di tale documentazione avrebbe dovuto determinare l'estinzione di tali reati, non rilevando la mancanza di data e di sottoscrizione da parte del datore di lavoro in tali documenti, rilevando esclusivamente la loro sottoscrizione da parte del lavoratore e il rispetto del termine assegnato in sede di accertamento ispettivo per l'invio di tale documentazione. In particolare era stata fornita la prova della consegna dei dispositivi di protezione, con la conseguente estinzione della violazione di cui al capo b), e cioè del reato di cui all'art. 18, comma 1, lett. d), d.lgs. 81/2008.
Ha lamentato anche il mancato rilievo da parte della Corte d'appello della estinzione per prescrizione dei reati contestati, esclusa sulla base del rilievo che si trattava di reati permanenti e che la cessazione della permanenza era avvenuta solamente con la pronuncia della sentenza di primo grado, benché per alcune condotte la permanenza fosse cessata con la trasmissione dei documenti attestanti la consegna dei dispositivi di protezione, l'adempimento degli obblighi formativi e la diffusione delle informazioni in materia di sicurezza.
 

 

Diritto

 


1. Il ricorso è manifestamente infondato.
2. La Corte d'appello di Messina ha escluso l'estinzione per prescrizione delle contravvenzioni contestate al ricorrente, in considerazione della natura permanente delle stesse, richiamando l'orientamento di cui alla sentenza n. 46340 del 2011 di questa stessa Sezione terza (Sez. 3, n. 46340 del 27/10/2011, Farano, Rv. 251342), sottolineando l'incompletezza dell'adempimento alle prescrizioni impartite all'imputato in occasione del primo accesso ispettivo compiuto presso il cantiere di Rometta, dove era intento al lavoro un dipendente dell'impresa individuale di cui l'imputato è titolare, assunto senza la preventiva visita medica di idoneità (capo A), privo dei necessari dispositivi di protezione individuale (capo B), privo di adeguata informazione dei rischi specifici della attività svolta (capo C), sfornito di adeguata formazione in materia di salute e sicurezza sui luoghi di lavoro (capo D).
Si tratta di valutazione corretta, censurata in modo generico dal ricorrente, che, a fronte di quanto evidenziato nella motivazione della sentenza impugnata (circa la mancata sottoposizione del lavoratore a visita medica; la mancata informazione del medesimo lavoratore sui rischi, stante l'insufficienza del documento trasmesso, peraltro oltre i termini assegnati in sede di accesso ispettivo; la mancata formazione del medesimo lavoratore ai fini della sicurezza sul lavoro; la consegna dei dispositivi di protezione oltre i termini assegnati), si è limitato ad affermare di aver consegnato i dispositivi di protezione il 19 giugno 2013 e l'adeguatezza della documentazione trasmessa, omettendo di considerare quanto esposto nella sentenza impugnata circa la tardività e l'incompletezza di tali adempimenti, come tali inidonei a provocare l'effetto estintivo di cui all'art. 24, comma 1, d.lgs. 19 dicembre 1994, n. 758 (applicabile anche a seguito dell'entrata in vigore del d.lgs. 81/2008., cfr. Sez. 3, n. 38942 del 28/09/2011, Del Basso, Rv. 251323), in quanto avvenuti in modo parziale e, comunque, oltre i termini assegnati in sede di accesso ispettivo.
La tardività dell'adempimento di alcune prescrizioni, quale quella relativa alla consegna dei dispositivi antinfortunistici, accertata il 19 giugno 2013, esclude che al momento della pronuncia della sentenza di secondo grado, e cioè il 18 maggio 2018, fosse decorso il termine massimo di prescrizione di tale contravvenzione, pari a cinque anni, cosicché altrettanto correttamente la Corte territoriale ne ha escluso l'estinzione per prescrizione.
Ne consegue, in definitiva, la manifesta infondatezza delle doglianze sollevate dall'imputato, essendo cessata solamente con la pronunzia della sentenza di primo grado la permanenza delle altre contravvenzioni (in relazione alle quali l'adempimento alle prescrizioni impartite dagli accertatori è stato giudicato parziale, capi C, D, E, o mancante, capi A, F, G, H, I).
Il ricorso in esame deve, dunque, essere dichiarato inammissibile, essendo correttamente stata esclusa l'estinzione delle contravvenzioni contestate al ricorrente per adempimento delle prescrizioni, ai sensi dell'art. 24, comma 1, d.lgs. 19 dicembre 1994, n. 758 , o per decorso del tempo.
L'inammissibilità originaria del ricorso esclude il rilievo della eventuale prescrizione verificatasi successivamente alla sentenza di secondo grado, giacché detta inammissibilità impedisce la costituzione di un valido rapporto processuale di impugnazione innanzi al giudice di legittimità, e preclude l'apprezzamento di una eventuale causa di estinzione del reato intervenuta successivamente alla decisione impugnata (Sez. un., 22 novembre 2000, n. 32, De Luca, Rv. 217266; conformi, Sez. un., 2/3/2005, n. 23428, Bracale, Rv. 231164, e Sez. un., 28/2/2008, n. 19601, Niccoli, Rv. 239400; in ultimo Sez. 2, n. 28848 del 8.5.2013, Rv. 256463; Sez. 2, n. 53663 del 20/11/2014, Rasizzi Scalora, Rv. 261616).
Alla declaratoria di inammissibilità del ricorso consegue, ex art. 616 cod. proc. pen., non potendosi escludere che essa sia ascrivibile a colpa del ricorrente (Corte Cost. sentenza 7-13 giugno 2000, n. 186), l'onere delle spese del procedimento, nonché del versamento di una somma in favore della Cassa delle Ammende, che si determina equitativamente, in ragione dei motivi dedotti, nella misura di euro 2.000,00.
 

 

P.Q.M.

 


Dichiara inammissibile il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle spese processuali e della somma di euro 2.000,00 in favore della Cassa delle Ammende.
Così deciso il 15/2/2019