Cassazione Penale, Sez. 4, 13 giugno 2019, n. 26082 - Esplosione in un camino dell'area ristoro interna al cantiere. Nessuna efficienza causale delle condotte trasgressive degli imputati


 

I giudici di merito hanno ritenuto sussistenti le condotte trasgressive di specifiche prescrizioni cautelari positivizzate, ma hanno ritenuto anche che tali trasgressioni non abbiano avuto efficienza causale; detto altrimenti, l'eventuale comportamento alternativo lecito non avrebbe evitato il verificarsi dell'evento.
L'argomentazione è in linea con l'insegnamento di questa Corte, secondo il quale in tema di reati colposi, l'addebito soggettivo dell'evento presuppone che il comportamento diligente avrebbe certamente evitato il suo verificarsi o avrebbe avuto significative probabilità di determinare un evento lesivo meno grave.
A tanto i ricorrenti contrappongono che la gravità delle condotte poste in essere dagli imputati determina ex sé la loro responsabilità; e che non è possibile escludere che, qualora eseguito un preventivo controllo, l'evento non si sarebbe verificato: "un preventivo controllo, un'ispezione dell'area e messa in sicurezza dell'ambiente avrebbe ragionevolmente condotto alla scoperta del recipiente metallico allocato all'Interno della canna fumaria del camino". Ma la Corte di Appello ha accertato l'inverso, sulla scorta di un puntuale percorso ricostruttivo: ha rilevato che la redazione del PSC e del POS non avrebbero evitato lo scoppio perché sarebbe comunque sfuggita la presenza del citato recipiente, atteso che il compendio testimoniale indicava la totale assenza di segni esterni che lasciassero presagire la presenza della caldaia all'interno della canna fumaria.


 

 

Presidente: FUMU GIACOMO Relatore: DOVERE S. Data Udienza: 27/02/2019

 

 

 

Fatto

 

1. Con sentenza emessa in data 30 ottobre 2017, la Corte d'Appello di Napoli ha confermato la pronuncia del Tribunale di Ariano Irpino che aveva assolto I.M., M.R.e B.R. dai reati di omicidio colposo in danno di C.G. e di C.P., e di lesioni personali colpose in danno di L.V. e di C. S., loro ascritti in qualità rispettivamente di amministratore unico, direttore dei lavori e coordinatore per la progettazione e l'esecuzione, responsabile di cantiere della ditta "BETON Calcestruzzi Napoletana" s.r.l., e commessi, secondo la prospettazione dell'accusa pubblica, con colpa generica nonché con colpa specifica consistita nell'omessa valutazione del rischio degli impianti esistenti e nella mancanza di un piano di sicurezza per l'utilizzo dei locali nei quali si verificò il sinistro.
2. Secondo il convergente accertamento compiuto nei gradi di merito, C.G., C.P., L.V. e C. S., lavoratori alle dipendenze della BETON Calcestruzzi Napoletana, avevano acceso un fuoco nel camino posto in un locale che, interno al cantiere presso il quale operavano, veniva impiegato dagli operai per il ristoro e il consumo dei pasti. L'accensione del fuoco aveva determinato l'esplosione di un contenitore metallico di acqua calda sito all'interno della canna fumaria del camino e il conseguente ferimento dei quattro lavoratori. Secondo la ricostruzione fattuale operata nei giudizi di merito, l'esplosione avrebbe potuto essere evitata se l'impianto fosse stato corredato di un vaso di espansione, il quale avrebbe assicurato che l'acqua surriscaldata o il vapore sarebbero fuoriusciti dalla canna fumaria in sicurezza.
Pertanto agli imputati sono state ascritte una generica negligenza, imperizia e imprudenza e la violazione della disciplina per la prevenzione degli infortuni sul lavoro; segnatamente, la mancata verifica dell'idoneità del Piano Operativo di Sicurezza per i locali ove avvenne il sinistro; l'incompletezza del documento di valutazione dei rischi: la mancata designazione del Responsabile del Servizio Prevenzione e Protezione e dei lavoratori incaricati di attuare le misure attinenti alla prevenzione incendi e alla gestione delle emergenze; l'omessa formazione e informazione dei lavoratori sui rischi specifici connessi all'attività lavorativa. Tuttavia, dopo aver ritenuto accertata la violazione della normativa speciale di settore di cui al d.lgs. n. 494/1996 e il mancato adempimento degli obblighi inerenti la sicurezza ivi previsti, in sede di merito è stata esclusa la penale responsabilità degli imputati con la formula "perché il fatto non sussiste", perché ritenuto non provato il nesso eziologico tra le condotte degli imputati e i gravi eventi.
La Corte d'Appello, in particolare, ha fondato la pronuncia di assoluzione sul fatto che la condotta alternativa lecita, individuata nella redazione del Piano Operativo di Sicurezza e del Piano di Sicurezza e Coordinamento, non avrebbe in ogni caso impedito l'esplosione e gli eventi conseguenti; ed ha ritenuto non ascrivibile agli imputati una condotta omissiva a titolo di colpa generica, non potendo gli stessi riconoscere la fonte di rischio.
3. Avverso detta sentenza propongono ricorso per la sua cassazione, ai soli effetti civili, OMISSIS, le parti civili costituite, a mezzo del difensore di fiducia avv. Nello P..
3.1 Con un primo motivo denunciano la violazione dell'art. 125 cod. proc. pen. evidenziando il contrasto tra la motivazione della sentenza e il dispositivo della stessa, che riporta l'espressione "conferma la condanna", laddove invece nella motivazione si legge che la Corte d'Appello ritiene di "confermare la sentenza assolutoria di primo grado".
3.2 Con un secondo motivo lamentano vizio di motivazione in ordine alla esclusione dei profili di colpa generica e colpa specifica in capo agli imputati, dolendosi dell'infondatezza di quanto oggetto della motivazione. I ricorrenti asseriscono la sussistenza del nesso causale fra la condotta omissiva e l'evento, rappresentando che ciascun imputato ha contribuito - con la propria condotta - al verificarsi del sinistro, non essendo peraltro stato accertato dalla Corte di Appello che un comportamento conforme alla normativa avrebbe realmente portato ad evitare l'evento.
 

 

Diritto

 


4. I ricorsi sono infondati.
4.1. Quanto al primo motivo, esso è manifestamente infondato. Dalla motivazione della sentenza impugnata emerge, infatti, incontrovertibilmente la natura assolutoria della decisione, che esclude la penale responsabilità degli imputati per insussistenza del fatto e nel dispositivo della stessa si legge chiaramente che la Corte d'Appello "conferma la sentenza emessa dal Tribunale di Ariano Irpino", anch'essa assolutoria. L'asserito contrasto oggetto della doglianza si riferisce al dispositivo letto in udienza dalla Corte di Appello che ha avuto i seguenti termini: "conferma la condanna inflitta con sentenza emessa dal Tribunale di Ariano Irpino". La difformità tra dispositivo letto in udienza e dispositivo in calce alla motivazione non è però causa di nullità della sentenza; quest'ultima ricorre nei soli casi in cui difetti totalmente il dispositivo. Tale difformità è sanabile mediante il procedimento di correzione dell’errore materiale (cfr. Sez. 6, n. 18372 del 28/03/2017 - dep. 11/04/2017, Giugovaz, Rv. 269852).
Alla correzione ha provveduto la Corte di Appello con ordinanza del 6.11.2017, precedente alla proposizione del ricorso.
I ricorrenti non hanno censurato la legittimità di tale ordinanza, alla quale non hanno fatto cenno alcuno.
4.2. Il secondo motivo di ricorso è infondato.
Occorre dare atto ai ricorrenti che la motivazione impugnata affastella affermazioni tra loro apparentemente contraddittorie. Da un canto si afferma che ricorrono le condotte trasgressive contestate nell'imputazione ma che la responsabilità deve essere esclusa per l'insussistenza della causalità della colpa: invero, il comportamento alternativo lecito non sarebbe valso ad evitare l'evento: Dall'altro si esclude tanto la colpa generica che la colpa specifica.
Si tratta però di una contraddizione apparente - che in ogni caso vale a rendere i ricorsi non inammissibili - perché una più attenta lettura permette di cogliere una maggiore coerenza.
I giudici di merito hanno ritenuto sussistenti le condotte trasgressive di specifiche prescrizioni cautelari positivizzate, ma hanno ritenuto anche che tali trasgressioni non abbiano avuto efficienza causale; detto altrimenti, l'eventuale comportamento alternativo lecito non avrebbe evitato il verificarsi dell'evento.
L'argomentazione è in linea con l'insegnamento di questa Corte, secondo il quale in tema di reati colposi, l'addebito soggettivo dell'evento presuppone che il comportamento diligente avrebbe certamente evitato il suo verificarsi o avrebbe avuto significative probabilità di determinare un evento lesivo meno grave (cfr. Sez. 4, n. 31980 del 06/06/2013 - dep. 23/07/2013, Nastro, Rv. 256745).
A tanto i ricorrenti contrappongono che la gravità delle condotte poste in essere dagli imputati determina ex sé la loro responsabilità; e che non è possibile escludere che, qualora eseguito un preventivo controllo, l'evento non si sarebbe verificato: "un preventivo controllo, un'ispezione dell'area e messa in sicurezza dell'ambiente avrebbe ragionevolmente condotto alla scoperta del recipiente metallico allocato all'Interno della canna fumaria del camino". Ma la Corte di Appello ha accertato l'inverso, sulla scorta di un puntuale percorso ricostruttivo: ha rilevato che la redazione del PSC e del POS non avrebbero evitato lo scoppio perché sarebbe comunque sfuggita la presenza del citato recipiente, atteso che il compendio testimoniale indicava la totale assenza di segni esterni che lasciassero presagire la presenza della caldaia all'interno della canna fumaria. Sicché l'assunto dei ricorrenti non si confronta con la motivazione resa dalla Corte di Appello, si pone come meramente antagonista alla ricostruzione operata dalla stessa e sollecita questa Corte ad una rivalutazione del merito, preclusa al giudice di legittimità.
Per altro aspetto, i ricorrenti non colgono la decisività del giudizio operato dalla Corte, ai fini dell'accertamento di una colpa generica, quanto alla non riconoscibilità del rischio e contrappongono quelle stesse asserzioni meramente antagoniste già riportate, che affermano dove la Corte nega e tratteggiano un quadro fattuale difforme da quello ritenuto dai giudici di merito; peraltro con mera reiterazione di quanto già proposto in quelle sedi.
5. In conclusione i ricorsi devono essere rigettati ed i ricorrenti condannati al pagamento delle spese processuali.
 

 

P.Q.M.
 

 

Rigetta i ricorsi e condanna i ricorrenti al pagamento delle spese processuali. Così deciso in Roma il 27.2.2019.