Categoria: Cassazione penale
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Cassazione Penale, Sez. 4, 04 luglio 2019, n. 29274 - Caduta mortale di un lavoratore a causa del cedimento della copertura di un capannone e responsabilità di un CSE


Presidente: CAPPELLO GABRIELLA Relatore: PEZZELLA VINCENZO Data Udienza: 12/06/2019

 

Fatto

 


1. La Corte di Appello di Perugia, pronunciando nei confronti dell'odierno ricorrente I.F., con sentenza del 23/3/2018 confermava la sentenza, appellata dall'imputato, emessa in data 27/5/2016 dal GUP presso il Tribunale di Perugia che, all'esito di giudizio abbreviato, lo aveva condannato alla pena di mesi 8 di reclusione, previo riconoscimento delle attenuanti generiche e con applicazione dei doppi benefici di legge, per il reato di cui all'art 589 co. 2 cod. pen. perché nelle qualità di responsabile dei lavori, coordinatore per la progettazione (CSP) e per l'esecuzione (CSE), per colpa generica e specifica, in violazione dell'art 2087 cod. civ. e delle sotto specificate norme di prevenzione cagionava la morte dell'operaio D.I., che cadeva da un'altezza di circa 7-8 metri a causa del cedimento della copertura in cemento armato di un capannone sulla quale stava lavorando per il montaggio di una nuova copertura metallica indispensabile per l'installazione di pannelli fotovoltaici.
L'operaio precipitava da detta altezza mentre stava camminando sul tetto in amianto per raggiungere una prolunga elettrica a cui avrebbe dovuto collegare alcuni attrezzi alimentati a corrente elettrica.
In particolare, al I.F. veniva contestata la violazione dell'art. 92 comma 1 lettera a del D.Lgs. 81/08 e s.m.i. in quanto, nella qualità sopra indicata, avrebbe omesso di verificare, con opportune azioni di coordinamento e di controllo, l'applicazione, da parte della ditta Imper Car Ecology System srl, delle disposizioni di pertinenza contenute nel PSC e le corrette procedure di lavoro. Nello specifico, avrebbe omesso di contestare alla detta Imper Car Ecology System srl la mancata realizzazione dei parapetti sulle coperture, dell'impianto elettrico di cantiere, l'installazione della recinzione di cantiere e l'installazione della segnaletica di cantiere. Inoltre, non avrebbe contestato, sempre all'Imper Car Ecology Sysyem, che stava operando nel cantiere senza rispettare le procedure di lavoro indicate nel proprio POS, in particolar modo per ciò che concerne l'installazione e l'utilizzo delle linee vita. Ed infine che nel cantiere era presente in qualità di subappaltatrice la ditta EURO PAVIMENTI dei F.lli N., ditta che non era stata oggetto né di verifica dell'idoneità tecnico professionale, né di verifica della documentazione tecnica necessaria per l'esecuzione dei lavori, né delle necessarie azioni di coordinamento e neppure oggetto di notifica preliminare. In Perugia Ponte Valleceppi il 16/6/2012
2. Avverso tale provvedimento ha proposto ricorso per Cassazione, a mezzo del proprio difensore di fiducia, I.F., deducendo i motivi di seguito enunciati nei limiti strettamente necessari per la motivazione, come disposto dall'art. 173, comma 1, disp. att., cod. proc. pen.
Con un primo motivo deduce violazione di legge in relazione agli artt. 40, 43, 589, comma 2 cod. pen. e 92 del D.Lgs. 81/2008.
Il ricorrente si duole della ritenuta responsabilità penale avvenuta a suo dire sulla base di una valutazione errata delle disposizioni normative volte a delineare il reato omissivo improprio, individuando gli obblighi gravanti sulle varie posizioni di garanzia.
Lamenta inoltre la violazione dei criteri di prevedibilità in concreto dell'evento e di esigibilità personalizzata del comportamento alternativo lecito ai fini della rilevanza penale della violazione di regole cautelari.
La sentenza impugnata non avrebbe tenuto conto della specifica funzione del responsabile della Sicurezza e del coordinatore dei lavori, attribuendogli obblighi più ampi appartenenti ad altre figure come quella del datore di lavoro.
La Corte distrettuale avrebbe ritenuto sussistente la responsabilità del coordinatore per l'esecuzione delle opere per non aver esercitato i propri poteri impeditivi, in assenza della situazione tipica prevista dalla norma, alla cui presenza può ritenersi rilevante l'eventuale inerzia.
Il ricorrente passa, quindi, a descrivere e definire il ruolo del responsabile della sicurezza e coordinatore per l'esecuzione dei lavori, richiamando i principi affermati in merito da questa Corte tra cui quello che afferma che la funzione di vigilanza riguarda la generale configurazione delle lavorazioni e non la puntuale e stringente vigilanza, momento per momento, demandata alle figure operative.
Evidenzia che la presenza nel cantiere non deve essere quotidiana ma limitata a momenti della lavorazione qualificati e identificati a monte, al momento della progettazione ed organizzazione del lavoro, ritenuti topici rispetto al concreto esercizio della funzione di controllo, con il presupposto della collaborazione e dell'affidamento sulle altre figure operative tenute ad una presenza costante e penetrante nel cantiere.
Pertanto, l'accertamento dell'attività del coordinatore non dovrà ricercare i segni di una presenza diuturna, ma le tracce di azioni di coordinamento, informazione, verifica e la loro adeguatezza sostanziale.
Si richiama sul punto la sentenza di questa Corte n. 27165/2016.
Nel caso che ci occupa, rileva il I.F., la corte di appello avrebbe ritenuto che, anche in assenza di elementi da cui si potesse desumere l'avvenuta modifica delle condizioni operative nel cantiere, sia relativamente all'avanzamento delle opere che in relazione alle imprese esecutrici presenti in cantiere, il coordinatore per la sicurezza doveva comunque attivarsi per verificare l'effettiva attuazione delle disposizioni di sicurezza contenute nel POS e nel PSG. Ritenendo, tra l'altro, irrilevanti le prove fornite dalla difesa in relazione all'avvenuta verifica in data 12 giugno 2012 dello stato di avanzamento dei lavori e del concreto rispetto delle prescrizioni del piano di sicurezza nonché in relazione al corretto e diligente coordinamento svolto dal responsabile per la sicurezza, sulla base degli elementi in suo possesso, rispetto alla prosecuzione del lavoro sul secondo capannone.
Si definisce erronea l'affermazione della sentenza impugnata laddove evidenzia il mancato rispetto dell'obbligo di verifica concreta delle imprese e dei lavoratori operanti nel cantiere, dal momento che, secondo la tesi difensiva, il coordinatore per l'esecuzione delle opere non deve garantire la propria presenza costante sul cantiere ma deve intervenire solo nei momenti topici della lavorazione.
Il ricorrente ritiene che non essendo emerso dai dati oggettivi acquisiti che il I.F. fosse stato informato dello stato di avanzamento dei lavori e dell'inizio delle opere nel secondo capannone, lo stesso I.F. non aveva alcun obbligo di intervento diretto sul cantiere, né in termini prescrizioni né di verifica propedeutica. Sostanzialmente, il I.F., al momento dell'Incidente non aveva alcun obbligo di intervento o di coordinamento o, quantomeno non era esigibile da parte dello stesso alcuna attività in quanto egli non si trovava in una condizione di conoscenza tale da consentirgli di prevedere il verificarsi di una situazione di criticità.
Non sussisteva, al momento del verificarsi dell'incidente, prosegue il ricorso, alcuna ragione per cui richiedere l'intervento del responsabile della sicurezza dal momento che solo dal lunedì successivo avrebbero dovuto avere inizio i lavori del secondo capannone più piccolo.
Una volta impartite le direttive di sicurezza, al momento dell'inizio dei lavori, e verificata la loro attuazione sul primo capannone grande, fino al termine di quella lavorazione non vi era più alcun obbligo sul responsabile la sicurezza, essendo demandata la puntuale e costante verifica del rispetto dei presidi cautelari di sicurezza al datore di lavoro e al direttore dei lavori o al committente.
Il I.F. non avrebbe avuto alcun ragionevole motivo di pensare che la lavorazione si sarebbe spostata sul secondo capannone prima di lunedì 18 giugno 2012 e, pertanto, legittimamente riteneva di non dover assolvere alcun ulteriore obbligo di coordinamento e controllo prima di quella data.
Non sarebbe stata fornita alcuna prova che il I.F. fosse stato informato dell'inizio dei lavori al capannone piccolo in data 16 giugno.
Nulla sapeva l'imputato - si sostiene in ricorso- della sopravvenuta presenza della ditta Nizar e, quindi, del mancato adeguamento dei presidi di sicurezza a seguito dell'intervento della nuova ditta e dell'inizio dei lavori nel capannone piccolo. Né, come ritenuto dal provvedimento impugnato, l'imputato, a seguito della situazione di pericolo imminente, poteva intervenire sospendendo i lavori in quanto sarebbe mancata da parte dello stesso la diretta percezione di tale situazione di pericolo. 
Nel giudizio non sarebbe emersa alcuna prova dell'avvenuta diretta percezione dello stato di pericolo da parte del I.F..
Del resto, la Corte distrettuale non renderebbe alcuna motivazione sulla circostanza dell'avvenuta diretta percezione, da parte dell'imputato, della sussistenza di pericolo poi concretizzatosi nella morte del lavoratore.
Si contesta, inoltre, l'avvenuta attribuzione al ricorrente di obblighi che competevano ad altre figure, che avevano il potere-dovere di intervenire nell'immediatezza dinanzi alle contingenti situazioni di pericolo che potevano verificarsi durante l'esecuzione del lavoro.
Con un secondo motivo si deduce vizio motivazionale in quanto la sentenza impugnata si fonderebbe su affermazioni apodittiche, illogiche e contrarie agli elementi oggettivi offerti dalla difesa.
Sarebbe evidente, secondo l'assunto difensivo, l'illogicità della motivazione laddove dopo aver correttamente delineato gli ambiti di responsabilità del responsabile della sicurezza ed aver chiarito la non esigibilità di una sua presenza continua nel cantiere, giunge a ritenere negligente l'operato del I.F. laddove lo stesso, dall'11 giugno 2012 data in cui aveva cominciato a operare la ditta Nizza, il giorno 16 giugno 2012, in cui avveniva incidente mortale, non si era ancora avveduto della presenza di una nuova ditta in cantiere e non aveva ancora compiuto gli opportuni adempimenti per garantire la sicurezza dei lavori.
Si ribadisce l'assoluta apoditticità della presunzione di conoscenza, da parte dell'imputato della situazione di pericolo e criticità, non essendo emerso alcun elemento dimostrativo di tale assunto.
In ogni caso, si afferma inoltre, che la condotta doverosa che si assume violata, certamente non avrebbe dovuto essere quella di informazione dei dipendenti della Nizar sui rischi derivanti dalle lavorazioni sul tetto del capannone, quanto, invece, l'immediata sospensione dei lavori in attesa dell'adeguamento delle prescrizioni di sicurezza.
Ci si duole, ancora dell'illogicità delle motivazioni adoperate dalla corte di appello per sconfessare le prove contrarie fornite dalla difesa.
Si evidenzia che il verbale di sopralluogo del 12 giugno 2012, non sarebbe assolutamente in contrasto con le dichiarazioni dei lavoratori sulla presenza in cantiere della Europavimenti fin dal 11 giugno 2012.
Sarebbe emerso, infatti, che le ditte si alternavano, la Imper Car al mattino per l'eliminazione della copertura di amianto da sostituire e la Europavimenti al pomeriggio per curare la fase di copertura, pertanto sarebbe evidente il motivo per cui nel verbale venisse dato atto della presenza della sola Imper car, senza avvalorare alcuna inattendibilità dello stesso verbale, ma confermandone l'effettiva rispondenza alla realtà oggettiva emersa dall'istruttoria che conferma, per l'appunto, il ragionevole convincimento del I.F. sulla circostanza che la ditta operante nel cantiere fosse la sola Imper car.
Ancora si ribadisce che la lavorazione in corso sarebbe dovuta durare per tutta la settimana soltanto sul primo capannone, senza alcun nuovo intervento da parte del responsabile per la sicurezza.
Erronea e contraddittoria sarebbe, poi, l'interpretazione, fornita dalla corte di appello, del tenore della mail del 15 giugno 2012 che non poteva riferirsi ai lavori sul capannone grande, nonostante il riferimento erroneo contenuto nella stessa, essendo i lavori sullo stesso capannone già terminati.
Nessuna logica motivazione vi sarebbe stata, quindi, all'invio di direttive su lavori già terminati.
Chiede, pertanto, l'annullamento della sentenza impugnata, con ogni consequenziale provvedimento, anche se del caso, ai sensi e per gli effetti dell'art. 620, co. 1, lett. I) cod. proc. pen.
 

 

Diritto

 


1. I motivi sopra illustrati appaiono infondati e, pertanto, il proposto ricorso va rigettato.
2. Ed invero, sul primo motivo di ricorso, la Corte di Appello di Perugia, con motivazione priva di aporie logiche che, trattandosi di doppia conforme affermazione di responsabilità, va a saldarsi con quella di primo grado, fa buon governo della giurisprudenza di questa Corte di legittimità circa il ruolo, i compiti e le responsabilità del coordinatore per l'esecuzione dei lavori, di recente compendiati nell'arresto costituito da Sez. 4, n. 27165 del 24/5/2016, Battisti, Rv. 267735.
Questa Corte di legittimità, con una serie di sentenze concordanti (17631/2009, 38002/2008, 24010/2004, 39869/2004) ha stabilito una responsabilità del coordinatore per l'esecuzione in quanto garante della sicurezza dei lavoratori nel cantiere ed ha specificato che si tratta di una posizione di garanzia che si affianca, in modo autonomo e indipendente, a quella del datore di lavoro e del committente. Anche se - è stato ulteriormente precisato- il coordinatore per l'esecuzione non è il controllore del datore di lavoro, ma il gestore del rischio interferenziale.
In tema di infortuni sul lavoro, il coordinatore per l’esecuzione dei lavori - è stato più volte precisato- oltre ai compiti che gli sono affidati dall'art. 5 del D.Lgs. n. 494 del 1996, ha una autonoma funzione di alta vigilanza circa la generale configurazione delle lavorazioni che comportino rischio interferenziale, ma non è tenuto anche ad un puntuale controllo, momento per momento, delle singole attività lavorative, che è invece demandato ad altre figure operative (datore di lavoro, dirigente, preposto), salvo l'obbligo, previsto dall'art. 92, lett. f), del D.Lgs. 9 aprile 2008, n. 81, di adeguare il piano di sicurezza in relazione alla evoluzione dei lavori e di sospendere, in caso di pericolo grave e imminente direttamente riscontrato, le singole lavorazioni fino alla verifica degli avvenuti adeguamenti da parte delle imprese interessate (vedasi sul punto, oltre la già citata Sez. 4, n. 27165 del 24/05/2016, Battisti, Rv. 267735, alla cui articolata e condivisibile motivazione si rimanda, Sez. 4, n. 45853 del 13/09/2017, Revello, Rv. 270991.
Ebbene, a differenza di quanto sostenuto dal ricorrente, nel caso che ci occupa vi è stata una chiara e macroscopica violazione degli obblighi gravanti sulla figura del coordinatore per l'esecuzione.
Correttamente la Corte perugina ha ritenuto che la previsione dello svolgimento delle operazioni "per zone" della copertura non significasse, come sostenuto dai difensori, che l'intera copertura sulla quale gli operai erano chiamati ad agire non dovesse essere resa sicura, al fine di evitare che un'imprudente confidenza sull'apparente portanza della copertura in eternit potesse indurre qualche operaio a staccarsi dalle linee salvavita per spostarsi per qualsiasi motivo sulle zone non coperte dalle linee; in secondo luogo perché l'obbligo del coordinatore è la concreta verifica delle imprese e lavoratori autonomi effettivamente presenti in cantiere.
E tale onere di controllo è stato ricondotto al I.F., sul corretto rilievo che, se anche non è prevista una presenza costante sui lavori del CSE, certamente i suoi compiti non possono essere intesi in maniera astratta e ricondotti esclusivamente al controllo delle formali comunicazioni provenienti dalle altre figure responsabili presenti, quali datore di lavoro, committente, ecc..
Viene logicamente ritenuta sintomatica, della mancanza di una concreta e reale attività di controllo, svolta invece in maniera puramente formale, secondo i giudici di merito, l'affermazione dell'imputato di non essere a conoscenza della circostanza che la ditta Nizar stesse lavorando in cantiere, quando, invece, la stessa era presente da quasi una settimana.
Nel caso in questione non è in discussione, secondo la motivazione del provvedimento impugnato, che si palesa logica e congrua, oltre che corretta in punto di diritto -e pertanto immune dai denunciati vizi di legittimità- la mancanza di una presenza costante del I.F. in cantiere, ma l'assenza di tracce o elementi dai quali desumere l'effettivo svolgimento di azioni di coordinamento, informazione, verifica e la loro adeguatezza.
3. Infondato appare anche il secondo motivo di ricorso.
Pienamente logica e congrua è la motivazione fornita sia sulla responsabilità dell'imputato che sull'effettivo valore delle prove addotte dalla difesa.
La Corte territoriale esamina la "relazione dello stato d'avanzamento dei lavori a seguito di sopralluogo eseguito in data odierna" a firma dell'Incaricato geometra M.I., che reca come ora e data del sopralluogo le ore 8 del 12 giugno 2012. In tale relazione si legge che sul capannone più grande (diverso da quello in cui avvenne l’infortunio) è in esecuzione, per opera della Impercar, la ricopertura a seguito della rimozione dell'eternit e che sul capannone più piccolo (quello ove poi avvenne l'infortunio) non si sta svolgendo alcun lavoro né vi è ancora via d'accesso alla copertura. Si chiude il verbale affermando che l'unica ditta in cantiere è l'Impercar.
Osserva la Corte umbra che della data di formazione del documento -se anteriore o posteriore all'infortunio- nonché della sua veridicità non vi è alcuna prova, che in esso non è indicato in qual modo l’incaricato abbia appurato chi fosse all'opera, che il tenore del documento contrasta con quanto indicato dalle s.i.t. acquisite -che indicano come la Nizar operasse almeno sin dall'inizio della settimana, quindi almeno dal giorno 11, e contrasta con le stesse indagini difensive, posto che da esse si ricava che al mattino la Impercar provvedeva allo smontaggio dell'eternit, mentre al pomeriggio non la Impercar ma la Nizar provvedeva alla ricopertura.
In relazione di tale verbale, dunque, a parte la già ribadita mancanza di veridicità della data di formazione del documento, i giudici del gravame del merito pervengono ad una logica valutazione di inverosimiglianza quanto al fatto che il delegato dell'addetto alla sicurezza non si accertasse di chi fosse all'opera in quel momento e di come venissero svolti i lavori in corso, di chi si occupasse della rimozione delle parti in eternit e chi della apposizione del pavimento, dal momento che anche tale attività doveva apparire certamente in corso.
Pure la valutazione del contenuto della mail del 15 giugno 2012 - come si legge nella sentenza impugnata- appare del tutto logica facente riferimento ai lavori sulla copertura del capannone più grande sul quale era terminata la dismissione dell'amianto, mentre su quella del capannone più piccolo era ancora da iniziare, come del resto sostenuto dalla difesa che ha sempre disconosciuto la consapevolezza dell'avvio di opere sulla copertura del capannone più piccolo.
4. Al rigetto del ricorso consegue, ex lege, la condanna della parte ricorrente al pagamento delle spese del procedimento
 

 

P.Q.M.
 

 

Rigetta il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle spese processuali.
Così deciso in Roma il 12 giugno 2019