Cassazione Civile, Sez. 6, 09 luglio 2019, n. 18392 - Scoppio di uno pneumatico e sinistro stradale: stato d’usura delle gomme del mezzo di proprietà aziendale


 

Presidente: FRASCA RAFFAELE Relatore: ROSSETTI MARCO Data pubblicazione: 09/07/2019

 

Fatto

 


1. Nel 2003 L.S. convenne dinanzi al Tribunale di Messina la società R.R. e B.M. s.n.c. (d’ora innanzi, per brevità, “la RB”), esponendo che:
-) era un dipendente della società convenuta;
-) alla guida di un veicolo di proprietà della società convenuta era rimasto vittima di un sinistro stradale, causato dallo scoppio di un pneumatico del mezzo da lui condotto;
-) la responsabilità dell’accaduto andava ascritta alla RB, in quanto datrice di lavoro della vittima e proprietaria del mezzo.
2. La RB si costituì negando la propria responsabilità; in subordine chiese di essere garantita dall’INAIL, che provvide a chiamare in causa. L’INAIL si costituì; dedusse di avere costituito una rendita in favore della vittima in conseguenza dell’infortunio, e propose di conseguenza una domanda di surrogazione nei confronti della RB. 
3. Incardinato il contraddittorio, il Tribunale di Messina, dopo avere qualificato il giudizio come controversia individuale di lavoro, rimise la causa al Presidente del Tribunale, per l’assegnazione alla sezione tabellarmente competente.
La causa venne quindi istruita con rito del lavoro, e decisa con la sentenza 21.11.2012 n. 5143.
Con tale decisione il Tribunale accolse le domande attoree; liquidò il danno in conformità, previa detrazione di quanto la vittima aveva ricevuto dall’Inail a titolo di indennizzo, e dichiarò inammissibile la domanda dell'Inail, perché proposta “oltre i termini di costituzione del convenuto”.
La sentenza venne appellata in via principale dalla RB, ed in via incidentale dall'Inail.
4. Con sentenza 20.7.2016 n. 979 la Corte d’appello di Messina rigettò il gravame principale ed accolse l’incidentale.
Ritenne la Corte d’appello che:
-) il sinistro del quale rimase vittima L.S. fu dovuto all’usura degli pneumatici del mezzo di proprietà della RB;
-) di tale evento la società doveva rispondere ai sensi dell’art. 2087 c.c.; -) la liquidazione del danno compiuta dal primo giudice fu corretta;
-) l’appello proposto dall’Inail era stato correttamente notificato al procuratore nominato dalla RB per il giudizio d’appello, dal momento che l’avvocato il quale aveva assistito la società nel primo grado di giudizio si era cancellato dall’albo;
-) la domanda di surrogazione proposta dall'Inail non fu tardiva, dal momento che Tari. 268 c.p.c. consente l’intervento fino all’udienza di precisazione delle conclusioni. 
Accolse, di conseguenza, la domanda di surrogazione dell’assicuratore sociale e condannò la RB a pagare all’Inail la somma di euro 453.484, oltre accessori.
5. La sentenza d’appello è stata impugnata per cassazione dalla RB, con ricorso fondato su cinque motivi ed illustrato da memoria.
Ha resistito l’Inail con controricorso, anch’esso illustrato da memoria.
 

 

Diritto

 

1. Il primo motivo di ricorso.
1.1. Col primo motivo di ricorso la società RB, formalmente invocando tre diversi vizi della sentenza (quello di violazione di legge di cui all’art. 360, n. 3, c.p.c.; quello di nullità processuale, di cui all’art. 360, n. 4, c.p.c., e quello di omesso esame del fatto decisivo, di cui all’art. 360, n. 5, c.p.c.), lamenta che la sentenza impugnata avrebbe violato gli artt. 170, 325 e 330 c.p.c..
Nell’illustrazione del motivo si premette in fatto che:
-) l'Inail notificò il suo atto d’appello al domicilio dell’avvocato OMISSIS, che in primo grado aveva assistito la società RB;
-) la notifica, che già di per sé si sarebbe dovuta dichiarare inesistente perché indirizzata non già all’avv. Omissis personalmente, ma all’“avv. C.”, in ogni caso non andò a buon fine, perché l’avvocato Omissis si era ormai cancellato dall’albo professionale, e l’atto fu di conseguenza restituito all’Istituto notificante;
-) l’Inail, ricevuta la restituzione del plico non notificato, non si attivò per provvedere immediatamente ad una nuova notificazione, ma attese la prima udienza del giudizio d’appello, nella quale chiese ed ottenne un termine per rinnovare la notificazione del gravame alla RB. 
Premessi questi fatti, la società ricorrente osserva in diritto che la Corte d’appello non avrebbe potuto fissare all'Inail un secondo termine, ex art. 291 c.p.c., per rinnovare con effetto ex fune la notifica dell’atto d’appello alla RB.
Sorregge questa allegazione con una tesi giuridica così riassumibile:
-) la rinnovazione della notificazione è consentita quando quest’ultima sia nulla, e non quando sia inesistente;
-) la notificazione è inesistente quando l’atto non sia nemmeno consegnato;
-) nel caso di specie, all’esito della prima notificazione, l’atto d’appello non fu mai consegnato all’avv. Omissis: la notificazione si sarebbe dovuta perciò dichiarare inesistente e non nulla, con conseguente impossibilità per la Corte d’appello di fissare all’Inail un termine per rinnovarla, ai sensi dell’art. 291 c.p.c..
1.2. Il motivo è inammissibile, e sarebbe stato comunque infondato nel merito, se il merito si fosse potuto esaminare.
In primo luogo il motivo è inammissibile per difetto di specificità.
Il ricorrente assume infatti che la Corte d’appello avrebbe applicato all’ipotesi della notifica inesistente (che comporta l’impossibilità di rinnovazione e l’inammissibilità dell’appello) la disciplina ed i princìpi previsti per la diversa ipotesi della notifica nulla (che comporta la reiterabilità della notifica ex art. 291 c.p.c.).
Si tratta dunque d’un ricorso che, per usare le parole della legge, “si fonda” su un documento, rappresentato dalla relazione di notificazione dell’appello proposto dall’Inail.
Quando il ricorso si fonda su documenti, il ricorrente ha l’onere di “indicarli in modo specifico” nel ricorso, a pena di inammissibilità (art. 366, comma primo, n. 6, c.p.c.). 
“Indicarli in modo specifico” vuol dire, secondo la costante giurisprudenza di questa Corte:
(a) trascriverne il contenuto, oppure riassumerlo in modo esaustivo;
(b) indicare in quale fase processuale siano stati prodotti;
(c) indicare a quale fascicolo siano allegati, e con quale indicizzazione (in tal senso, ex multis, Sez. 6-3, Sentenza n. 19048 del 28/09/2016; Sez. 5, Sentenza n. 14784 del 15/07/2015; Sez. U, Sentenza n. 16887 del 05/07/2013; Sez. L, Sentenza n. 2966 del 07/02/2011).
Il primo di questi tre oneri, nel nostro caso, non è stato assolto.
Il ricorso, infatti, non riassume né trascrive:
(a) né il contenuto della relazione di notificazione del piego contenente l’appello dell'Inail;
(b) né il contenuto dell’avviso di ricevimento della raccomandata che parrebbe spedita all’avv. Omissis e contenente l’avviso dell’avvenuto deposito del piego presso l’ufficio postale.
Ciò impedisce di stabilire:
-) se la notifica fu tentata in un luogo in cui il destinatario non risiedeva più, o dal quale era solo momentaneamente assente (ipotesi, quest’ultima, che parrebbe più verosimile, alla luce di quanto riferito dalla stessa ricorrente alla p. 12, ultimo capoverso, del proprio ricorso); -) se fu ricevuta da altre persone, diverse dal destinatario;
-) se non fu ricevuta da alcuno (ipotesi, quest’ultima, che la ricorrente dichiara ma non illustra, non riassumendo né trascrivendo il contenuto dell’avviso di ricevimento della raccomandata spedita al destinatario e contenente l’awiso di tentata notifica).
Non sarà superfluo, su questo punto aggiungere che a p. 13 del ricorso la società ricorrente afferma che la notifica fu eseguita ai sensi dell’art. 140 c.p.c., mentre dagli stessi documenti allegati dalla ricorrente risulterebbe che la notifica fu eseguita per mezzo del servizio postale. 
L’impossibilità di stabilire tali circostanze comporta, per conseguenza, l’impossibilità di valutare l’esattezza dell’assunto del ricorrente, secondo cui l’atto d’appello proposto dall’Inail non fu mai consegnato ad alcuno (si vedano, nel medesimo senso, Sez. 5 -, Sentenza n. 5185 del 28/02/2017, Rv. 643229 - 01; Sez. L, Sentenza n. 17424 del 29/08/2005, Rv. 584010 — 01, ove si esige la “trascrìttone integrale” della relata di notifica).
1.3. Il motivo, in ogni caso, sarebbe stato manifestamente infondato nel merito, per varie e diverse ragioni.
In primo luogo sarebbe stato infondato perché la notifica eseguita presso il difensore cancellato dall’albo non è inesistente, ma nulla, alla luce dei criteri stabiliti dalle Sezioni Unite di questa Corte con la decisione pronunciata da Sez. U, Sentenza n. 14916 del 20/07/2016, Rv. 640602-01.
Tale sentenza ha affermato che la notifica può dirsi inesistente solo in casi eccezionali, e cioè o quando sia mancata la consegna dell’atto all’ufficiale giudiziario da parte del mittente, oppure quando sia mancata la consegna da parte dell’ufficiale giudiziario ad un destinatario purchessia, anche se diverso da quello effettivo.
Nel caso di specie, alla luce di quanto riferito dalla ricorrente — ed in mancanza di ulteriori analitiche indicazioni che era onere di quest’ultima fornire — non risulta che il piego destinato all’avv. Omissis (pacificamente cancellato dall’albo al momento della notifica), e contenente l’appello dell’Inail, fosse stato restituito al mittente perché il destinatario risultasse “sconosciuto”, o l’indirizzo “inesistente”.
Anzi, è la stessa ricorrente a dichiarare che l’ufficiale postale non restiuì il piego al mittente, ma annotò nella relazione di notificazione 
la “assenza” del destinatario o di altre persone capaci di ricevere l’atto (così il ricorso, p. 12), e provvide quindi agli adempimenti successivi prescritti dalla legge.
La notificazione quindi andò a buon fine, dal momento che l’ipotesi del “destinatario assente” non può essere assimilata a quella del “destinatario sconosciuto o trasferito”, né la ricorrente — per quanto già detto — ha analiticamente indicato, in violazione di quanto prescritto dall’art. 366, n. 6, c.p.c., cosa risultasse dall’avviso di ricevimento della lettera raccomandata con cui l’ufficiale postale diede avviso della tentata notifica e del deposito del piego nell’ufficio postale. Pertanto, essendovi stata sia la consegna dell’atto dal mittente all’ufficiale giudiziario, sia la consegna da questo ad un destinatario, la notifica non poteva dirsi inesistente, ma soltanto “nulla”.
1.4. In conclusione, nel caso di specie:
a) la notifica all’avv. Omissis fu nulla e non inesistente;
b) era, di conseguenza, consentito al giudice assegnare affinai! un nuovo termine, ex art. 291 c.p.c., per rinnovare la notificazione nulla;
(c) correttamente la notificazione è stata eseguita al domicilio del nuovo procuratore nominato dalla RB per il giudizio d’appello, dal momento che alla data della rinnovazione il giudizio di appello era già pendente, e doveva applicarsi l’art. 170 c.p.c., e che comunque l’atto raggiunse il suo scopo;
(d) la rinnovazione della notificazione ha prodotto i suoi effetti ex tane, ed in ogni caso sarebbe stata consentita anche ove il termine per proporre appello fosse spirato, giusta la previsione dell’art. 334 c.p.c..
2. Il secondo motivo di ricorso.
2.1. Col secondo motivo il ricorrente lamenta (formalmente invocando il vizio di cui all’art. 360, nn. 3, 4 e 5 c.p.c.) che la sentenza avrebbe violato gli artt. 112, 167, 268 e 416 c.p.c..
Al di là di tali riferimenti formali, l’illustrazione del motivo contiene una censura che può così riassumersi:
-) il giudice di primo grado aveva reputato inammissibile la domanda di surrogazione proposta dall'Inail, essendo avvenuta la sua costituzione tardivamente, e cioè “oltre i termini di costituitone del convenuto ”;
-) l’Inail aveva impugnato tale statuizione, affermando che il Tribunale era incorso in un errore di fatto, per avere reputato che l’intervento in causa dell’Inail avvenne in data 26.5.2004, mentre in realtà era avvenuto tre giorni prima, il 23.5.2004;
-) la Corte d’appello ha accolto l’appello dell’Inail per una ragione diversa da quella invocata dall’Istituto, e cioè non perché l’intervento dell’Inail fu tempestivamente compiuto, ma in base al rilievo che l’art. 268 c.p.c. consente l’intervento in causa fino alla precisazione delle conclusioni;
-) nel caso di specie, però, l’Inail era intervenuto in causa su istanza di parte, e non di sua iniziativa, sicché non poteva trovare applicazione l’art. 268 c.p.c., e per proporre la sua domanda di surrogazione l’Inail si sarebbe dovuto costituire almeno venti giorni prima della prima udienza: e dunque entro il 28.5.2004, posto che la prima udienza era fissata al 17.6.2004; l’Inail, invece, si era costituito il 7.6.2004, e per di più senza chiedere il differimento dell’udienza.
2.2. Il motivo è fondato.
L’Inail, nel presente giudizio, venne chiamato in causa dalla società convenuta, e citato per l’udienza del 17.6.2004. 
Essendo stato il giudizio introdotto nelle forme del rito ordinario, con tali forme è avvenuta anche la chiamata in causa del terzo.
L’Inail si costituì il 7.6.2004 (e dunque soltanto dieci giorni prima dell’udienza di prima comparizione, celebrata il 17.6.2004 col rito ordinario), con una comparsa qualificata “comparsa di intervento”, e formulando una domanda di condanna nei confronti della società RB, che l’aveva chiamato in causa.
Ciò tuttavia non gli era consentito: infatti l’Inail, per formulare validamente la suddetta domanda nei confronti della società RB, avrebbe dovuto costituirsi almeno venti giorni prima dell’udienza di prima comparizione, così come prescritto dall'art. 166 c.p.c., ed in tale termine formulare la propria domanda, ai sensi dell’art. 167, comma secondo, c.p.c..
2.3. Il chiamato in causa ad istanza di parte, infatti, assume la posizione processuale di un convenuto “in seconda battuta”, secondo un’espressione coniata dalla dottrina e largamente diffusa. Pertanto, sia che intenda formulare domande nei confronti del chiamante in causa; sia che intenda formulare domande nei confronti dell’attore principale; sia che intenda formulare domande nei confronti di altri convenuti, anche diversi da quello che l’ha chiamato in causa, ha l’onere di costituirsi venti giorni prima dell’udienza di prima comparizione, e formulare le proprie domande a pena di decadenza nella comparsa di costituzione e risposta.
Tale conclusione è imposta dalla lettera del codice, così come risultante dall’intervento additivo compiuto nel 1997 dalla Corte costituzionale. L’art. 271 c.p.c., infatti, nel suo testo originario, stabiliva che “al tergo si applicano, con riferimento all’udienza per la quale è citato, le disposi foni degli atti coli 166 e 167, 1° comma. 
Se intende chiamare a sua volta in causa un tergo, deve farne dichiaratone a pena di decadenza nella comparsa di risposta ed essere poi a//tonfato dal giudice ai sensi del terrò comma dell’articolo 269”.
La norma, dunque, non conteneva alcun richiamo all’art. 167, comma secondo, c.p.c., ovvero alla disposizione che impone al convenuto di formulare eventuali domande riconvenzionali, a pena di decadenza, nella comparsa di costituzione e risposta tempestivamente depositata. Tale anomalia, già segnalata dalla dottrina, venne ritenuta costituzionalmente illegittima dal Giudice delle leggi, con la sentenza pronunciata da Corte cost.23-07-1997, n. 260.
Tale sentenza ha dichiarato costituzionalmente illegittimo, con riferimento all’art. 3 Cost., l'art. 271 c.p.c., nella parte in cui, richiamando soltanto il Io comma dell'art. 167 c.p.c., e non anche il 2°, consente al terzo chiamato in causa, tardivamente costituitosi, di proporre domande riconvenzionali nei confronti delle parti originarie del processo, senza incorrere in decadenze.
Nella motivazione di tale decisione la Consulta, dopo avere ricordato che l’art. 271 c.p.c., così come concepito dal legislatore, sortiva l’effetto di consentire l'ampliamento tardivo della materia del contendere, e che tale effetto “nell''impianto del nuovo codice di rito è contrastato in ogni modo dal legislatore ’, soggiunse: '"nel novellato codice di procedura civile non sono ravvisabili ragioni che possano giustificare la mancata previsione, riguardo al tergo chiamato in causa, della operatività della decadenza stabilita nei confronti del convenuto dall'art. 167, secondo comma, del codice di procedura ernie. (...) E allora la diversa disciplina, stabilita in relazione alla proposiziione di domande riconvenzionali, determina una evidente disparità di trattamento fra il tergo chiamato (ex arti. 269, 270 e 271 c.p.c.) ed il convenuto (ex arti. 166 e 167 c.p.c.). 
La norma denunciata non può quindi sottrarsi - come del resto auspicato dalla prevalente dottrina, la quale, in luogo di suggerire interpretazioni della norma in esame appariate o artificiose, ha posto in risalto la questione, chiedendo ripetutamente l'intervento di questa Corte - alla declaratoria di illegittimità costituzionale, per la irragionevole disparità di trattamento che essa determina fra le parti chiamate in giudipio, in contrasto con lo spirito informatore delle nuove disposizioni processuali civili ”.
2.4. Per effetto della suddetta pronuncia additiva, dunque, anche il terzo chiamato in causa che intenda formulare domande nei confronti delle altre parti ha l’onere di costituirsi nel termine di cui all’art. 167, comma secondo, c.p.c.: principio del resto già affermato da questa Corte in fattispecie parzialmente analoga, nella quale, pendente una controversia tra un lavoratore ed un datore di lavoro, venne chiamato in causa un ente previdenziale. Questo, costituitosi tardivamente, formulò una domanda di condanna nei confronti del datore di lavoro convenuto, ma senza chiedere il differimento dell’udienza ex art. 418 c.p.c.. Questa Corte, di conseguenza, ritenne il terzo chiamato decaduto dalla facoltà di proporre la domanda riconvenzionale nei confronti del convenuto, sul presupposto che la parte (il convenuto, in quel caso come nel nostro) contro la quale il terzo chiamato abbia proposto una domanda di condanna “viene a trovarsi in posipione del tutto analoga a quella del ricorrente nei cui confronti il convenuto abbia proposto una domanda riconvenziionale, con conseguente applicabilità del disposto dell'art. 418 c.p.c. ”(Sez. L, Sentenza n. 20176 del 22/07/2008, Rv. 605115 - 01).
2.5. Resta solo da aggiungere come nulla rilevi, ai fini della decisione del secondo motivo di ricorso, la circostanza che l’Inail, nel costituirsi, abbia depositato un atto recante la dicitura iniziale: “atto d'intervento”. 
Tale circostanza non rileva, in primo luogo, perché gli atti processuali, così come quelli negoziali, vanno valutati e qualificati per quello che è il loro contenuto oggettivo, e non in base alla qualificazione ad essi data dalle parti.
In secondo luogo, la suddetta circostanza non rileva perché quella intitolazione non è giuridicamente significativa, dal momento che anche la costituzione del terzo chiamato in causa costituisce pur sempre un “intervento”, sebbene coatto.
In terzo luogo non rileva perché l’Inail non ha mai contestato di avere ricevuto rimale notifica dell’atto di chiamata in causa, che risulta ritualmente avvenuta l’8.3.2004, e dunque più di due mesi prima del deposito dell’atto qualificato “atto di intervento”.
Pertanto, con la suddetta notifica, all’Inail venne formalmente contestata la lite, atto per effetto del quale la costituzione in giudizio dell’Inail non poteva più qualificarsi “volontaria”.
Del resto, se così non fosse, si perverrebbe all’inaccettabile paradosso di consentire al terzo chiamato in causa di formulare qualsiasi domanda, anche tardiva, semplicemente qualificando il proprio atto di costituzione come “intervento” invece che come “comparsa di costituzione e risposta”.
2.5. L’accoglimento del secondo motivo di ricorso non rende necessaria la cassazione con rinvio della sentenza impugnata.
Infatti, non essendo necessari ulteriori accertamenti di fatto, è possibile decidere la causa nel merito, dichiarando inammissibile la domanda proposta dall’Inail nei confronti della RB.
3. Il terzo, il quarto ed il quinto motivo di ricorso. 
3.1. Il terzo, il quarto ed il quinto motivo di ricorso possono essere esaminati congiuntamente, perché pongono questioni fra loro strettamente connesse.
Con tutti e tre questi motivi, in sostanza, la società ricorrente lamenta di essere stata ingiustamente ritenuta responsabile, ai sensi dell’art. 2087 c.c., dell’infortunio occorso al proprio dipendente.
Deduce che, nel proclamarne la responsabilità, la Corte d’appello avrebbe errato:
-) sia per avere ritenuto provato che il veicolo aziendale sul quale viaggiava la vittima montasse pneumatici rigenerati, invece che pneumatici nuovi;
-) sia per avere ritenuto decisiva e convincente la deposizione di un sottufficiale di polizia giudiziaria;
-) sia per avere espunto dal materiale utilizzabile i “Reg. ECE-ONU n. 108 e 109’ sol perché redatti in lingua straniera.
3.2. Tutti e tre i motivi sono inammissibili, per varie ragioni.
In primo luogo essi sono inammissibili perché non pertinenti rispetto alla ratio decidendi in base alla quale la Corte d’appello ha ritenuto sussistente la responsabilità della R. & B.M..
La Corte d’appello, infatti, non ha affatto ritenuto in colpa il datore di lavoro solo per avere lasciato montare su un mezzo aziendale pneumatici rigenerati (così si legge a p. 9 della sentenza: “può ritenersi provato che lo pneumatico fosse rigommato [ma] ciò non costituisce di per sé violazione di disposizioni specifiche’), ma per avere accertato — con indagine di fatto insindacabile in questa sede — che “l’incidente in oggetto sia avvenuto a causa dello stato d’usura delle gomme del mezzo di proprietà aziendale” (ivi, p. 7). 
In secondo luogo i suddetti motivi sono inammissibili perché censurano tipici apprezzamenti di fatto riservati al giudice di merito, quali lo stabilire se un testimone sia attendibile; se uno pneumatico fosse usurato; se le condizioni degli pneumatici abbiano fornito un contributo causale all’avverarsi dell’infortunio.
3.3. Discorso a parte va fatto, per amor di verità, con riferimento alla censura contenuta nel terzo motivo, con la quale la ricorrente sostiene che la Corte d’appello avrebbe erroneamente espunto dal novero delle prove utilizzabili, “perché non tradotti’, i Regolamenti ECE-ONU nn. 108 e 109, i quali dimostrerebbero secondo la ricorrente la non rimproverabili della condotta da essa tenuta.
Su tale punto la Corte d’appello è effettivamente incorsa in errore, dal momento che i regolamenti nn. 108 e n. 109 adottati dalla Commissione Economica per l’Europa delle Nazioni Unite (UN/ECE), in virtù delle Decisioni del Consiglio 2001/509/CE e 2001/507/CE del 26 giugno 2001, sono stati recepiti nel diritto dell’Unione, e per essi dunque non solo valeva il principio jura novit curia, ma non era certo onere della parte fornire al Giudicante un testo in italiano delle norme comunitarie, agevolmente reperibili su repertori, banche dati, riviste di legislazione, Gazzetta Ufficiale della Comunità Europea.
Tuttavia nemmeno questo errore della Corte d’appello può comportare l’accoglimento del terzo motivo di ricorso, poiché il giudice di merito — come anticipato — non ha affatto affermato quel che la ricorrente vorrebbe farle dire, ovvero l’attribuzione al datore di lavoro d’una responsabilità civile per il solo fatto di avere lasciato circolare un veicolo con pneumatici rigenerati. La Corte d’appello ha invece ritenuto che l’uso di tali pneumatici, “pur non costituendo di per sé violazione di disposizioni specifiche”, nel singolo caso specifico non costituì una condotta diligente, in considerazione dell’uso cui era destinato il mezzo che li montava, del tipo di strade che doveva percorrere, e del tipo di carico che doveva trasportare.
Pertanto le norme che si assumono trascurate dalla Corte d’appello sono prive del carattere della decisività: esse infatti, quand’anche fossero state tenute in considerazione dalla Corte d’appello, non avrebbero condotto ad una decisione diversa.
4. Il sesto motivo di ricorso.
4.1. Il ricorso contiene un sesto motivo, formalmente rubricato “violazione degli arti. 91 e 92 c.p.c.”, il quale tuttavia non contiene alcuna censura, ma si limita a richiamare un precetto legislativo, e cioè che se il suo ricorso fosse stato accolto, la cassazione della sentenza impugnata avrebbe travolto anche le statuizioni sulle spese.
5. Le spese.
5.1. Nei rapporti tra la società ricorrente e L.S. non è luogo a provvedere sulle spese, attesa la indefensio del secondo.
5.2. Nei rapporti tra la società ricorrente e l’Inail, le spese dei gradi di merito, alla cui regolazione deve provvedere questa Corte per effetto della decisione nel merito, possono essere compensate integralmente, in virtù della soccombenza reciproca: ed infatti all’esito della lite è risultata inammissibile la domanda di regresso dell'Inail, ed infondata la domanda di “manleva” della Riccardo e& B.M.. 
5.3. Nei rapporti tra la società ricorrente e l’Inail le spese del presente giudizio di legittimità vanno a poste a carico della parte soccombente, e sono liquidate nel dispositivo.
 

 

P.q.m.

 


(-) rigetta il primo motivo di ricorso;
(-) dichiara inammissibili il terzo, il quarto, il quinto ed il sesto motivo di ricorso;
(-) accoglie il secondo motivo di ricorso, cassa la sentenza impugnata e, decidendo nel merito, dichiara inammissibile la domanda riconvenzionale proposta dall'Inail nei confronti della R. & B.M. s.n.c.;
(-) compensa integralmente tra l'Inail e la R. & B.M. le spese dei gradi di merito;
(-) condanna Inail alla rifusione in favore di R. & B.M. s.r.l. delle spese del presente giudizio di legittimità, che si liquidano nella somma di euro 4.200, di cui 200 per spese vive, oltre I.V.A., cassa forense e spese forfettarie ex art. 2, comma 2, d.m. 10.3.2014 n. 55. Così deciso in Roma, nella camera di consiglio della Sesta Sezione