Cassazione Penale, Sez. 4, 22 luglio 2019, n. 32484 - Infortunio mortale di un lavoratore travolto dallo smottamento di terreno dello scavo. Responsabilità del CSE


 

 

 

Presidente: MENICHETTI CARLA Relatore: NARDIN MAURA Data Udienza: 20/03/2019

 

Fatto

 

 

 

1. Con sentenza del 21 novembre 2017 la Corte di Appello di Firenze ha confermato la sentenza del Tribunale di Pistoia con cui F.C. è ritenuto responsabile del reato di cui all'art. 589, comma 2A cod. pen. perché, nella sua qualità di coordinatore per la sicurezza in fase di esecuzione del cantiere, presso il quale la Fi.Edil s.r.l. svolgeva opere di ampliamento di preesistente fabbricato, per colpa consistita in imprudenza, negligenza, imperizia e violazione dell'art. 92 del d.lgs. 81/2008 -non avendo provveduto a sospendere i lavori, pur avendo accertato, in due occasioni, che non erano state predisposte le opere previste per mettere in sicurezza lo scavo- cagionava la morte di F.L., che veniva travolto da uno smottamento di terreno, mentre, con A.C., stava provvedendo all'interno dello scavo al disarmo di un muro perimetrale.
2. Il fatto, come risultante dalla sentenza del secondo grado, può essere così descritto: in data 6 agosto 2009, nel cantiere edile approntato per l'ampliamento di un fabbricato esistente, durante i lavori di messa in sicurezza dello scavo, F.L., dipendente della Fi. Edil s.p.a, incaricata della realizzazione dell'opera, procedeva con il collega A.C., al disarmo del muro perimetrale, eretto il giorno precedente, all'interno dello scavo di un metro e venti di larghezza, profondo sei metri. La trincea si presentava perpendicolare al piano di lavoro. Durante l'operazione di distacco dalla parete di cemento delle tavole di legno si verificava uno smottamento del terreno che investiva i due operai, i quali venivano sepolti dal materiale. La frana provocava la morte di F.L. per trauma cranico da schiacciamento, nonché lesioni lievi a A.C.. Dal verbale datato 20 luglio 2009, si evince che F.C., coordinatore per la sicurezza in fase di esecuzione, aveva fatto una visita presso il cantiere, durante la quale aveva verificato la pericolosità del fronte dello scavo, che si presentava troppo ripido, a seguito della quale aveva prescritto lavori di puntellamento. Successivamente, il 30 luglio F.C. impartiva altre prescrizioni. Indi, il giorno prima dell'infortunio, il 6 agosto, assegnava nuove prescrizioni orali. Il 6 agosto i due operai procedevano al disarmo della parete di scavo- realizzato, a richiesta del committente, in modo difforme da quanto previsto- dopo 15 ore dalla gettata di cemento.
3. La sentenza della Corte territoriale, rigettando l'appello proposto da F.C. ha ritenuto non decisivo, ai fini dell'esclusione della responsabilità dell'imputato, il fatto che, con buona probabilità, il crollo sia stato determinato da infiltrazioni di acqua provenienti da una tubatura. Una simile origine, infatti, non escluderebbe la prevedibilità ed evitabilità del crollo, intervenuto su una parete verticale di rilevante altezza perché nonostante la buona stabilità della tipologia di terreno, di qualità argillosa, non era possibile escludere il rischio di smottamenti conseguenti ad eventi meteorologici, anche durante la bella stagione, sicché le infiltrazioni di acqua derivanti da un'ipotetica tubazione in disuso, non visibile e non individuata in precedenza, non assurgono a motivo di imprevedibilità. Parimenti, respingendo il secondo motivo di appello, il giudice del gravame ha escluso l'abnormità del comportamento dei lavoratori che, nella giornata del 6 agosto 2009, procedettero al disarmo della parete senza attendere i tempi tecnici, in quanto essi operarono sulla base delle indicazioni ricevute dal datore di lavoro e nell'ambito delle loro mansioni, smontando le assi di legno che componevano l'armatura ed appoggiandole sulla parte opposta della parete. Il fatto che in data 20 luglio F.C. avesse regolarmente prescritto le opere di puntellamento, secondo la Corte territoriale, non scrimina il suo comportamento, avendo egli adottato ulteriori prescrizioni il successivo 30 luglio, senza nondimeno far cenno alla mancata esecuzione delle prescrizioni impartite il 20 luglio. D'altro canto egli era in cantiere il 5 agosto, giorno precedente l'infortunio, ed in quell'occasione aveva dato altre prescrizioni orali, di cui non è stato provato il tenore. Ma proprio in quella data, secondo le testimonianze, era in corso l'attività di armatura della parete che sarebbe stata disarmata il giorno successivo, e dunque il F.C. aveva potuto verificare di persona che gli operai stavano lavorando senza avere posto in essere le prescritte opere di puntellamento della parete, non concretamente realizzate. Ciò, secondo il collegio del gravame, comporta che, nonostante la funzione di alta vigilanza del coordinatore per la sicurezza nell'esecuzione delle opere, egli sia tenuto ad intervenire sospendendo i lavori, avendo potuto constatare di persona macroscopiche violazioni delle normative di sicurezza, poste in essere trasgredendo le prescrizioni impartite, che determinino grave ed evidente pericolo per i lavoratori.
4. Avverso la sentenza della Corte di appello di Brescia propone ricorso F.C. affidandolo a quattro distinti motivi..
5. Con il primo fa valere, ex art. 606, primo comma, lett. e) cod. proc. pen. il vizio di motivazione sotto il profilo dell'illogicità e del travisamento della prova. Lamenta che la Corte di appello abbia fondato il giudizio di colpevolezza sulla base di un ragionamento incoerente che muove dall'equiparazione di due fenomeni fra loro difformi e la cui prevedibilità non può essere paragonata e ritenuta sovrapponibile. Da un lato, infatti, va considerato il rischio derivante da condizioni meteorologiche, di per sé sempre prevedibili ed effettivamente previste dal C.S.E., che in data 20 luglio 2009 detta le apposite prescrizioni prevedendo che in caso di pioggia siano assolutamente "sospese tutte le lavorazioni" e che "dopo tale evento le lavorazioni potranno riprendere solo dopo l'esecuzione di opportune opere di drenaggio". D'altro, invece, va valutato il rischio derivante da un pericolo occulto ed imprevedibile come quello determinato dalla fuoriuscita di acqua da una tubazione non visibile ed in disuso, manifestatasi all'esterno solo dopo il crollo, causato proprio dalla spinta in avanti dell'argilla bagnata retrostante la parete crollata. Siffatto fattore di rischio, non conoscibile, non può non assumere rilevanza ai fini della rimproverabilità della condotta, come sostenuto dalla Corte territoriale, avuto riguardo al fatto che il coordinatore per la sicurezza in fase di esecuzione aveva correttamente adempiuto a dettare le prescrizioni per i rischi di crollo in relazione ai fattori causali previsti e prevedibili. Sostiene che il vizio di motivazione si manifesta anche nella distorta lettura, costituente un travisamento, del verbale redatto dal F.C. il 20 luglio 2009, con il quale viene rilevato che "il fronte scavo a monte lato piazzale e lato rampa è troppo ripido anche se protetto da soletta armata che protegge la testa" e si precisa che ciò deriva da "una richiesta esplicita del signor P. per mantenere l'ulivo posto a monte", prescrivendosi "di eseguire i lavori in sicurezza, puntellando di volta in volta la porzione del fronte scavo interessata". La lettura del testo del verbale, dunque, consente di verificare che la prescrizione riguardava la predisposizione di una precisa modalità di intervento (puntellamento) da porre in essere 'di volta in volta' e non permanentemente su tutta la parete, come invece sembrano ritenere entrambi i giudici di merito.
6. Con il secondo motivo lamenta ex art. 606, comma IA lett.re b) ed e) la violazione di legge penale in relazione all'art. 92, comma 1 lett. f) d.lgs. 81/2008 ed il vizio di motivazione per travisamento della prova. Osserva che la Corte territoriale non ha tenuto in considerazione l'abnormità del comportamento dei lavoratori coinvolti (e quindi anche di A.C. che riportò lesioni lievi) che provvidero al disarmo della parete, armata solo il giorno precedente, anziché attendere i quindici giorni previsti come termine minimo dal momento del getto del calcestruzzo, sotto condizione dell'assenso del direttore dei lavori per le opere strutturali. Inoltre, come risultato dall'istruttoria, subito dopo avere effettuato il getto del calcestruzzo, in data 5 agosto, l'impresa Fi. Edil avrebbe dovuto cominciare le ferie (come è risultato in giudizio dalle dichiarazioni del Direttore delle opere strutturali G.T. e dal direttore dei lavori per le opere architettoniche, A.L.), sicché la decisione dei due lavoratori di procedere il giorno 6 agosto al disarmo del muro, in assenza dell'imprescindibile atto di impulso dei direttore dei lavori, deve essere classificato come evento imprevisto e imprevedibile, in quanto assunta in modo autonomo ed in spregio della normativa tecnica. Dunque, il C.S.E. in data 5 agosto non poteva prevedere l'imminenza del pericolo, posto che né il giorno successivo, né nei giorni a seguire alcuna lavorazione doveva essere svolta, sia perché il muro poteva essere disarmato solo con l'assenso del direttore dei lavori, sia perché la ditta cui appartenevano gli operai doveva andare in ferie. Fra l'altro, come emerso dall'escussione del teste B., il pericolo di crollo del fronte di scavo diviene concreto -e cioè grave ed imminente- quando il muro posto ad una distanza di m. 1,20 dallo scavo sia già stato eretto, creando uno spazio angusto, senza via di fuga. Ma, finché il muro non sia stato realizzato, non c'è pericolo imminente, con la conseguenza che non si può ritenere che il giorno 5 agosto si versasse in un'ipotesi come quella prevista dall'art. 92 lett. f) d.lgs. 81/2008, che impone di sospendere i lavori, a fronte del pericolo grave ed imminente direttamente riscontrato dal coordinatore per la sicurezza nell'esecuzione dei lavori.
7. Con il terzo motivo si duole della violazione della legge penale in relazione all'erronea applicazione del disposto degli artt. 18 e 92 d. lgs. 81/2008. Assume che la Corte territoriale, pur avendo correttamente premesso che spettino al coordinatore per l'esecuzione dei lavori compiti di alta vigilanza, nondimeno, finisce per attribuisce al medesimo un obbligo di vigilanza diretta, proprio del datore di lavoro, cui compete, peraltro, l'obbligo di vigilare a che le direttive per la sicurezza del C.S.E. siano eseguite correttamente, avendo il dover di tutelare i lavoratori da rischi specifici. Invero, secondo la lettura della giurisprudenza di legittimità, non possono confondersi i ruoli di committente, datore di lavoro, direttore dei lavori e coordinatore per la sicurezza, la cui suddivisione è normativamente imposta, al fine del raggiungimento del miglior risultato per l'attuazione dell'obiettivo della sicurezza. La figura del coordinatore per l'esecuzione opera attraverso la configurazione di procedure di intervento, mentre alle figure operative prossime al posto di lavoro competono poteri-doveri di intervento diretto ed immediato sull'esecuzione delle procedure. Così valutando il contenuto dell'alta vigilanza, tuttavia, deve escludersi che possano essere ascritte alla responsabilità del C.S.E. improvvide manovre esecutive poste in essere dai lavoratori, al di fuori di procedimenti prestabiliti e senza il necessario assenso del direttore dei lavori.
8. Con il quarto motivo censura il difetto di motivazione della sentenza impugnata, sotto il profilo dell'omissione. Rileva che con l'imputazione erano stati contestati una pluralità di profili di colpa, inerenti alla violazione del disposto di cui alle lett.re b) ed e) dell'art. 92 d.lgs. 81/2008, relativamente alla mancata verifica dell'idoneità del Piano Operativo di Sicurezza e per il mancato Intervento, a fronte del permanere di situazioni di pericolo e delle inosservanze alle disposizioni del Piano, nonché per la mancata segnalazione al committente/responsabile dei lavori, con contestuale proposta di sospensione dei lavori o di allontanamento delle imprese Inadempienti. Siffatte contestazioni non sono state esaminate dalla Corte di appello, che le ha ritenuti, assorbite nell'asserita violazione di cui alla lett. f) della norma richiamata, mentre il loro vaglio e l'esclusione della loro sussistenza avrebbe potuto riflettersi sulla commisurazione della pena, ai sensi dell'art. 133 cod. pen.. Conclude per l'annullamento della sentenza impugnata.
9. Con memoria depositata in data 2 marzo 2019 il ricorrente introduce nuovi motivi, con cui ribadisce le difese già formulate con il ricorso, approfondendone alcuni aspetti, anche a mezzo del richiamo delle dichiarazioni del proprio C.T. ing. V., secondo il quale le modalità del crollo dimostrano che la causa è da rinvenirsi nelle infiltrazioni provenienti dalla tubazione. E ciò in quanto lo smottamento è intervenuto nella parte alta della parete. Il consulente ha chiarito che le tensioni del terreno sono simili a quelle idrostatiche, con una distribuzione triangolare, sicché più si va a fondo, più il terreno spinge e la risultante delle spinte del terreno è nel baricentro del triangolo. Quindi normalmente, per mettere in sicurezza il piede, la puntellatura dello scavo deve farsi fino ad un'altezza che supera un terzo dello scavo, e normalmente solo fino ad un'altezza che non supera la metà del fronte di scavo. Nondimeno, anche attuando siffatta puntellatura non si sarebbe evitata la frana che è intervenuta nella parte sommitale del terreno. Per puntellatura si intende, infatti, la messa in sicurezza del piede dello scavo e non della sua sommità. Ricorda, infine, il ricorrente che la prescrizione contenuta nel verbale di cantiere dava disposizione di puntellare di volta in volta la porzione del fronte di scavo interessato e che non è stata acquisita alcuna prova in giudizio circa la presenza dell'Imputato in cantiere il giorno precedente l'evento, nelle ore in cui gli operai armarono la parete, lavorando dentro lo scavo, con la conseguenza che la Corte afferma in modo apodittico una circostanza non sostenuta dal alcuna risultanza processuale. Conclude nuovamente per l'annullamento.
10. Con memoria depositata in cancelleria il 7 marzo 2019 la parte civile I.N.A.I.L., chiede il rigetto del ricorso
 

 

Diritto

 


1. Il ricorso deve essere rigettato. Le doglianze formulate vanno trattate nel loro ordine logico.
2. Il primo motivo è infondato. Il ricorrente, affrontando preliminarmente l'individuazione di una condotta colposa ascrivibile al C.S.E lamenta che la Corte, senza individuare la causa effettiva del crollo, abbia illogicamente equiparato due fattori di rischio, diversamente incidenti sulla prevedibilità dell'evento, l'uno derivante dalle condizioni meteorologiche, che furono oggetto di effettiva previsione da parte dell'Imputato, l'altro derivante da un evento occulto, quale la fuoriuscita di acqua da una tubazione non solo non visibile, ma dall'esistenza del tutto ignota, la cui mancanza di conoscenza non può rimproversi al C.S.E.. Invero, con le prescrizioni impartite il 20 luglio F.C. aveva stabilito che le lavorazioni dovessero essere sospese in caso di pioggia, potendo riprendere solo dopo l'effettuazione di opportune opere di drenaggio.
3. Ora, posto che, ai fini del controllo di legittimità sul vizio di motivazione, la struttura giustificativa della sentenza di appello si salda con quella di primo grado, per formare un unico complessivo corpo argomentativo, deve ritenersi che le argomentazioni poste dai giudici del merito a fondamento dell'affermazione di responsabilità non pecchino di illogicità, né possano ritenersi apodittiche, come affermato dal ricorrente.
4. La sentenza del Tribunale, infatti, nell'affrontare la questione della sussistenza della condotta colposa dell'imputato, individua la fonte di responsabilità di F.C. non nella mancata previsione della sussistenza di un pericolo occulto, quale la presenza della tubatura dismessa, bensì nel mancato adempimento, nella predisposizione del P.O.S., di opere di contenimento per il caso dell'instaurarsi di spinte laterali del terreno sull'intero fronte di escavazione e di decadimento contemporaneo dei parametri geotecnici dei depositi più superficiali. La decisione di prima cura chiarisce, infatti, che la previsione di un simile evento come 'possibile' era descritta dalla perizia del geologo R. allegata al piano di sicurezza, ove venivano indicati anche 'i sistemi necessari a garantire adeguato drenaggio e smaltimento non solo delle acque meteoriche, ma delle infiltrazioni provenienti dal contatto dell'opera-terreno, al fine di impedire l'instaurarsi di sovrapressioni idriche con conseguente incremento della spinta laterale delle strutture del progetto'. Dunque, il rischio di una causa di smottamento del terreno, anche non dipendente da cause meteorologiche, era stato previsto e poteva essere evitato con la predisposizione delle opere opportune, così come indicate dal perito geologo.
5. La ricostruzione operata dal giudice di prima cura, consente di comprendere l'affermazione della Corte di appello sull'indifferenza della causa effettiva della frana, posto che comunque la medesima è avvenuta a causa di Infiltrazioni di acqua nel terreno, per evitare le quali, qualunque fosse la loro origine, era stata indicata la necessità di specifici interventi di messa in sicurezza.
6. D'altro canto, la ricostruzione degli eventi, secondo la Corte di appello, ha consentito di accertare che il C.S.E. non si preoccupò il 30 luglio, dopo avere impartito prescrizioni sul puntellamento della parete dello scavo nel corso del precedente sopralluogo del 20 luglio, di controllarne la realizzazione, né ciò risulta dalle prescrizioni orali del 5 agosto, come emerse in giudizio. Sicché, da un lato, in quella situazione di particolare conformazione dello scavo, largo m. 1,20 e profondo m. 6, privo di vie di fuga, proprio l'omessa predisposizione delle cautele, indicate nella perizia geologica, allegata al P.O.S., aveva consentito che la fuoriuscita di acqua da una tubatura occulta, cagionasse l'evento. Dall'altro, l'omessa vigilanza sul rispetto delle prescrizioni comunque impartite dal C.S.E. in data 20 luglio, quando F.C., dà atto nel verbale della condizione di pericolo della trincea, di per sé irregolare, costituisce, secondo entrambi i giudici del merito ulteriore profilo di colpa.
7. Si tratta di una motivazione, che muove dagli obblighi incombenti su F.C. che rivestiva il duplice incarico di coordinatore per la progettazione, su cui incombe la redazione del P.O.S., e di coordinatore per la sicurezza in fase di esecuzione delle opere, su cui grava, ai sensi dell'art. 92 d.lgs. 81/2008 l'obbligo di dell'alta vigilanza sull'osservanza delle prescrizioni previste dal piano per la sicurezza, che può sfociare, ove sia direttamente riscontrato il pericolo grave ed imminente, sinanco nella sospensione dei lavori [art. 92, lett. f)]. Da ciò i giudici del merito traggono le condotte rimproverabili a F.C., che non solo non ha predisposto l'opera adeguata 'al fine di impedire l'instaurarsi di sovrapressioni idriche con conseguente incremento della spinta laterale delle strutture', ma resosi personalmente conto della possibilità di uno smottamento, in data 20 luglio, prevedendo delle misure per evitarlo, fra cui anche l'arresto delle opere in caso di piogge, non ha controllato la loro esecuzione, omettendo, dunque, quella vigilanza che gli è imposta e che, laddove la constatazione del pericolo sia diretta, diventa più stringente e concreta.
8. Ora, posto che la perizia geologica allegata al piano di sicurezza, imponeva l'adozione di specifiche cautele per tutte le possibili cause di infiltrazioni provenienti dal contatto dell'opera-terreno, al fine di impedire l'instaurarsi di sovrapressioni idriche, in questo modo certamente equiparando la causa occulta con quella meteorologica, è chiaro che, da un lato, la mancata predisposizione delle misure previste dal geologo, dall'altro, la mancata verifica da parte del C.S.E., dell'esecuzione delle diverse precauzioni dal medesimo previste per il rischio di piogge, impartite a fronte della constatazione del pericolo ed equiparate dalla perizia geologica a tutte le altre cause infiltrative, costituiscono la violazione degli obblighi imposti a F.C. derivanti dalla posizione di garanzia assunta.
9. Siffatte precisazioni consentono di ritenere infondato anche il terzo motivo di ricorso, relativo alla limitazione della responsabilità del coordinatore per la sicurezza nell'esecuzione dei lavori, i cui confini sono segnati dalla configurazione di procedure di intervento, non estendendosi al controllo operativo incombente sulle figure del datore di lavoro e del preposto, prossime all'attività lavorativa ed al posto di lavoro, alle quali compete l'onere di evitare, in concreto, improvvide manovre esecutive dei lavoratori, svolte al di fuori dei criteri operativi stabiliti.
10. Ed infatti, sia il primo giudice, che quello del gravame, non confondono affatto gli obblighi gravanti sulle diverse figure che rivestono posizioni di garanzia nei confronti della tutela dei lavoratori. Semplicemente ascrivono a F.C., da un lato, la mancata predisposizione di quell'opera, indicata dal geologo come indispensabile, idonea ad evitare tutti i rischi da infiltrazione, dall'altro, la mancata vigilanza sulla pronta esecuzione quantomeno delle prescrizioni rivolte ad evitare i rischi di smottamento, erroneamente previsti dal C.S.E. solo per il caso di precipitazioni, ma prevedibili per qualunque altra causa infiltrativa, come chiarito dalla perizia allegata al P.O.S.. E' dunque, l'avere omesso di predisporre l'opera prevista dal piano di sicurezza per evitare la frana della parete verticale, per l'ipotesi di infiltrazioni di acqua, comunque prodottesi ed avere omesso di vigilare, a seguito della diretta constatazione del pericolo [(art. 92 lett. f) d.lgs 81/2008], sull'effettiva messa in sicurezza dello scavo -ciò implicando anche il controllo sulle modalità esecutive, ivi compresi i tempi di smantellamento del puntellamento- predisposta su indicazione dello stesso C.S.E., costituiscono la violazione dei compiti cui F.C., nella sua qualità, avrebbe dovuto attendere.
11. Va parimenti rigettato il secondo motivo di ricorso, relativo all'affermata interruzione del nesso di causalità provocata dal comportamento abnorme dei lavoratori, che avrebbero disarmato la parete dopo solo quindici ore dal momento in cui la stessa fu armata, senza attendere i quindici giorni previsti dal momento del getto del calcestruzzo, senza l'assenso del direttore dei lavori, procedendo, peraltro il 6 agosto, giorno nel quale era previsto che gli operai della Fi. Edil s.p.a fossero già in ferie. Invero, sotto questo profilo, va osservato come affinché "la condotta del lavoratore possa ritenersi abnorme e idonea ad escludere il nesso di causalità tra la condotta del datore di lavoro e l’evento lesivo, è necessario non tanto che essa sia imprevedibile, quanto, piuttosto, che sia tale da attivare un rischio eccentrico o esorbitante dalla sfera di rischio governata dal soggetto titolare della posizione di garanzia" (cfr. ex multis Sez. 4, n. 15124 del 13/12/2016, Rv. 269603; sulla base del principi enunciati da Sez. U, n. 38343 del 24/04/2014, P.G., R.C., Espenhahn e altri, Rv. 261106, in motivazione).
12. Ebbene, nel caso di specie, l'improvvida decisione di anticipare il disarmo non si pone come condotta estranea alle mansioni affidate ai due lavoratori, sicché il rischio derivante dalla violazione di direttive effettivamente ricevute o dalla mancata predisposizione di diverso piano di lavoro, non attiva in alcun modo un rischio diverso da quello derivante dall'esecuzione dei compiti esecutivi propri assegnati a quei lavoratori, ma costituisce una forma di realizzazione di quel rischio che la predisposizione di cautele opportune avrebbe dovuto evitare.
13. Ancora da rigettare è il quarto motivo di ricorso, con il quale si pretende una diversa commisurazione della pena inflitta, non essendo state esaminate dalla Corte le doglianze proposte con l'atto di appello, con le quali si censurava la sentenza di prima cura che aveva ritenuto sussistente la violazione delle disposizioni di cui all'art. 92 lett.re b) ed e) d.lgs. 81/2008, avendo la Corte ritenuto assorbente la violazione del disposto della lett. f). A fronte di una più ristretta serie di violazioni, infatti, la pena avrebbe dovuto essere adeguatamente ridotta, ai sensi dell'art. 133, comma 1A, n.3) cod. pen.
Si tratta di una censura che mal intende il significato della sentenza che ritiene assorbiti gli altri profili, non in quanto insussistenti, ma in quanto impliciti nell'omessa predisposizione dell'opera necessaria e nell'omessa vigilanza sulla corretta esecuzione della prescrizione concretamente prevista. In ogni caso la pena inflitta, in quanto inferiore al minimo edittale, non abbisogna di ulteriori motivazioni.
12. Al rigetto del ricorso consegue la condanna del ricorrente al pagamento delle spese processuali ed al rimborso delle spese in favore della parte civile INAIL, da liquidarsi in complessivi euro 2.500,00 oltre accessori di legge.
 

 

P.Q.M.
 

 

Rigetta il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle spese processuali ed al rimborso delle spese in favore della parte civile INAIL, che liquida in complessivi euro 2.500,00 oltre accessori di legge.