Categoria: Cassazione civile
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Cassazione Civile, Sez. 3, 23 luglio 2019, n. 19749 - Malattia professionale contratta nell'esercizio dell'attività lavorativa prestata in favore del Provveditorato al Porto di Venezia. Legittimazione passiva


Presidente: FRASCA RAFFAELE Relatore: DELL'UTRI MARCO Data pubblicazione: 23/07/2019

 

 

 

Rilevato che, con sentenza resa in data 29/6/2015, la Corte d'appello di Venezia, in parziale accoglimento dell'appello principale proposto da G.D., A.B., G.B., G.D.R., A.D.R., S.S.D.R., S.F., S.D.R., M.D.R. e A.D.R., e in parziale riforma della decisione di primo grado, per quel che ancora rileva in questa sede, ha condannato l'Autorità Portuale di Venezia al risarcimento, in favore degli appellanti principali, dei danni dagli stessi sofferti in conseguenza del decesso di F.D.R., loro congiunto, provocato da una malattia contratta nell'esercizio della propria attività lavorativa prestata in favore del Provveditorato al Porto di Venezia;
che, con la stessa decisione, la corte territoriale ha disatteso l'appello incidentale proposto dall'Autorità Portuale di Venezia;
che, a fondamento della decisione assunta, la Corte d'appello di Venezia, ribadita la sussistenza della legittimazione passiva dell'Autorità Portuale di Venezia (quale successore, ai sensi della legge n. 84/94, nella posizione sostanziale del Provveditorato al Porto di Venezia), ha, da un lato, rideterminato gli importi risarcitori già riconosciuti in favore degli appellanti principali e, dall'altro, disatteso la domanda con la quale S.S.D.R. aveva rivendicato il risarcimento del danno patrimoniale subito a seguito del decesso del coniuge, tenuto conto dell'avvenuta fruizione, da parte della stessa, della pensione di reversibilità già liquidata in suo favore dall'Inps;
che, avverso la sentenza d'appello, l'Autorità Portuale di Venezia propone ricorso per cassazione sulla base di un unico motivo d'impugnazione;
che G.D., A.B., G.B., G.D.R., A.D.R., S.S.D.R., S.F., S.D.R., M.D.R. e A.D.R.,
resistono con controricorso, proponendo ricorso incidentale sulla base di un unico motivo di doglianza;
che la Nuova Compagnia Lavoratori Portuali di Venezia s.c. a r.l., l'Inail e la Italia Marittima s.p.a., tutte già chiamate in giudizio, resistono con controricorso;
che la Italia Marittima s.p.a. ha altresì depositato controricorso in relazione al ricorso incidentale;
che la Compagnia Lavoratori Portuali di Venezia soc. coop. in liquidazione, intimata, non ha svolto difese in questa sede;
che il Procuratore generale presso la Corte di cassazione ha concluso per iscritto, invocando il rinvio a nuovo ruolo in attesa della decisione delle Sezioni Unite della Corte di cassazione in relazione alla questione della c.d. compensano lucri cum damno, ovvero, in via gradata, per il rigetto di entrambi i ricorsi;
che tutte le parti costituite hanno depositato memoria; che, all'adunanza in camera di consiglio del 16.4.2018, sul presupposto dell'avvenuta rimessione alle Sezioni Unite della Corte di cassazione della risoluzione di questioni connesse con l'oggetto dell'odierno giudizio, questa Corte, con ordinanza interlocutoria n. 28081 del 16/4/-5/11/2018, ha disposto il rinvio della causa a nuovo ruolo;
che, a seguito delle decisioni delle Sezioni Unite della Corte di cassazione (Sez. U - , Sentenze nn. 12564, 12565, 12566 e 12567 del 13/2-22/5/2018), il ricorso è stato nuovamente condotto in decisione all'odierna camera di consiglio;
che le parti hanno depositato ulteriore memoria;

Considerato che, con l'unico motivo del ricorso principale, l'Autorità Portuale di Venezia censura la sentenza impugnata per violazione e falsa applicazione degli artt. 6 e 20 della legge 28 gennaio 1994 n. 84 (in relazione all'art. 360 n. 3 c.p.c.), per avere la corte territoriale erroneamente affermato la legittimazione passiva dell'Autorità Portuale di Venezia quale preteso successore del Provveditorato al Porto di Venezia;
che, al riguardo, la ricorrente sottolinea come, sulla base delle norme di legge richiamate, l'Autorità Portuale di Venezia debba ritenersi subentrata al Provveditorato al Porto di Venezia unicamente in relazione all'esercizio delle funzioni pubblicistiche connesse alla gestione dei corrispondenti interessi portuali, atteso l'espresso divieto, sancito nell'art. 6 della legge richiamata, di assumere la gestione delle attività imprenditoriali in precedenza esercitate dalle organizzazioni portuali (dalla legge n. 84/94 attribuite al patrimonio di società commerciali di diritto privato), con la conseguente impossibilità di predicare, in capo all'Autorità Portuale, la titolarità di alcun rapporto connesso all'esercizio delle ridette attività imprenditoriali in relazione alle quali era stata individuata la responsabilità per i danni subiti da F.D.R. nell'esercizio della propria prestazione lavorativa; che il motivo è infondato;
che, al riguardo, osserva il Collegio come, ai sensi dell'art. 20, co. 6, della legge n. 84/94 (nel testo originariamente vigente), le Autorità Portuali «subentrano alle organizzazioni portuali nella titolarità dei beni e nella totalità dei rapporti attivi e passivi»;
che tale norma è stata poi modificata dall'art. 2, co. 19, del d.l. n. 535/96 (convertito nella legge n. 647/96) e inserita nel comma 5 dello stesso art. 20, senza sostanziale alterazione del meccanismo successorio tra organizzazione portuale e Autorità Portuale («le Autorità portuali subentrano alle organizzazioni portuali nella proprietà e nel possesso dei beni in precedenza non trasferiti e in tutti i rapporti in corso») (salva la successiva denominazione di "Autorità di sistema portuale" introdotta dall'art. 15, co. 1, del d.lgs. n. 232/2017);
che, pertanto, rilevata la conclusione del rapporto lavorativo del D.R. nel 1987 (dunque ben prima dell'istituzione dell'Autorità Portuale di Venezia con la legge n. 84/94), varrà evidenziare come l'estremo patrimoniale cui occorre riferirsi, ai fini della ricostruzione della vicenda successoria, non vada identificato nell'esercizio di un'attività d'impresa (che si assume non trasmissibile all'Autorità Portuale), bensì nel solo debito risarcitone contratto in relazione al rapporto lavoro con il D.R., di per sé, all'epoca dell'istituzione dell'Autorità Portuale, già integralmente esaurito;
che, peraltro, converrà ulteriormente rilevare come, ai sensi dell'art. 6, co. 1, lett. a), della legge n. 84/94 (nel testo originariamente approvato), all'Autorità Portuale risultino affidati i compiti di «indirizzo, programmazione, coordinamento, promozione e controllo delle operazioni portuali, di cui all'articolo 16, comma 1, e delle altre attività esercitate nell'ambito portuale, anche in riferimento alla sicurezza rispetto ai rischi di incidenti connessi a tali attività»;
che nelle versioni successive di tale norma, risulta confermata l'attribuzione, in capo all'Autorità Portuale (divenuta "Autorità di sistema portuale"), dei compiti di «indirizzo, programmazione, coordinamento, promozione e controllo delle operazioni portuali di cui all'articolo 16, comma 1, e delle altre attività commerciali ed industriali esercitate nei porti, con poteri di regolamentazione e di ordinanza, anche in riferimento alla sicurezza rispetto a rischi di incidenti connessi a tali attività ed alle condizioni di igiene del lavoro in attuazione dell'articolo 24»;
che da tale norma è possibile desumere il ricorso di una significativa continuità nella successione, dalle organizzazioni portuali all'Autorità Portuale, delle responsabilità cautelari, organizzative, e di controllo in materia di sicurezza delle attività esercitate in ambito portuale, con la conseguente legittima ascrizione di responsabilità risarcitone a carico dell'Autorità Portuale, in caso di malattie derivanti, ai danni dei lavoratori del porto, dall'omesso controllo sulle condizioni di sicurezza delle attività dagli stessi esercitate;
che, conseguentemente, del tutto correttamente il giudice a quo ha riconosciuto la legittimazione passiva dell'Autorità Portuale di Venezia in relazione al rapporto de quo, quale successore, ai sensi della legge n. 84/94, nella posizione sostanziale del Provveditorato al Porto di Venezia (cfr., in senso conforme, Sez. 3, Ordinanza del 28 settembre 2018, n. 30624);
che, con l'unico motivo dell'impugnazione incidentale, i ricorrenti indicati in epigrafe censurano la sentenza impugnata per aver erroneamente escluso il credito risarcitorio rivendicato a titolo di danno patrimoniale da S.S.D.R., coniuge del lavoratore deceduto, sul presupposto dell'avvenuta liquidazione, in suo favore, della pensione di riversibilità da parte dell'Inps senza tener conto dell'Impossibilità di applicare il principio della compensatio lucri cum damno nei casi, come quello in esame, in cui il pregiudizio e l'incremento ottenuto dal danneggiato non dipendono dal medesimo fatto illecito;
che il motivo è fondato;
che, infatti, secondo l'indirizzo fatto proprio dalla più recente giurisprudenza delle Sezioni Unite di questa Corte (Sez. U - , Sentenza n. 12564 del 22/05/2018, Rv. 648647 - 01), la pensione di reversibilità, appartenente al più ampio genus delle pensioni ai superstiti, è una forma di tutela previdenziale nella quale l'evento protetto è la morte, vale a dire un fatto naturale che, secondo una presunzione legislativa, crea una situazione di bisogno per i familiari del defunto, i quali sono i soggetti protetti;
che l'ordinamento configura la pensione di reversibilità come "una forma di tutela previdenziale ed uno strumento necessario per il perseguimento dell'interesse della collettività alla liberazione di ogni cittadino dal bisogno e alla garanzia di quelle minime condizioni economiche e sociali che consentono l'effettivo godimento dei diritti civili e politici (art. 3, secondo comma, Cost.) con una riserva, costituzionalmente riconosciuta, a favore del lavoratore di un trattamento pre-ferenziale (art. 38, secondo comma, Cost.) rispetto alla generalità dei cittadini (art. 38, primo comma, Cost.)" (Corte cost., sentenza n. 286 del 1987);
che, nella pensione di reversibilità, la finalità previdenziale "si raccorda a un peculiare fondamento solidaristico" (Corte cost., sentenza n. 174 del 2016), che "si realizza quando il bisogno colpisce i lavoratori ed i loro familiari per i quali, però, non può prescindersi dalla necessaria ricorrenza dei due requisiti della vivenza a carico e dello sta-to di bisogno, i quali si pongono come presupposti del trattamento";
che, per effetto della morte del lavoratore, dunque, "la situazione pregressa della vivenza a carico subisce interruzione", ma il trattamento di reversibilità "realizza la garanzia della continuità del sostentamento ai superstiti" (Corte cost., sentenza n. 286 del 1987, cit.);
che l'erogazione della pensione di reversibilità non è geneticamente connotata dalla finalità di rimuovere le conseguenze prodottesi nel patrimonio del danneggiato per effetto dell'illecito del terzo, atteso che la stessa non soggiace a una logica e a una finalità di tipo indennitario, ma costituisce piuttosto - come è stato rilevato in dottrina - l'adempimento di una promessa rivolta dall'ordinamento al lavoratore assicurato che, attraverso il sacrificio di una parte del proprio reddito lavorativo, ha contribuito ad alimentare la propria posizione pre-videnziale: la promessa che, a far tempo dal momento in cui il lavoratore, prima o dopo il pensionamento, avrà cessato di vivere, quale che sia la causa o l'origine dell'evento protetto, vi è la garanzia, per i suoi congiunti, di un trattamento diretto a tutelare la continuità del sostentamento e a prevenire o ad alleviare lo stato di bisogno;
che sussiste, dunque, una ragione giustificatrice che non consente il computo della pensione di reversibilità in differenza alle conseguenze negative che derivano dall'illecito, perché quel trattamento previdenziale non è erogato in funzione di risarcimento del pregiudizio subito dal danneggiato, ma risponde ad un diverso disegno attributivo causale;
che la causa più autentica di tale beneficio - è stato osservato - deve essere individuata nel rapporto di lavoro pregresso, nei contributi versati e nella previsione di legge: tutti fattori che si configurano come serie causale indipendente e assorbente rispetto alla circostanza (occasionale e giuridicamente irrilevante) che determina la morte;
che una conferma di questo esito interpretativo viene dagli inse-gnamenti della dottrina, la quale, nel condividere la soluzione alla quale la giurisprudenza di questa Corte è pervenuta sin dagli anni cinquanta del secolo scorso, valorizza la circostanza che l'incremento patrimoniale corrispondente all'acquisto del diritto alla reversibilità si ricollega ad un sacrificio economico del lavoratore, e quindi non costituisce un vero e proprio lucro; laddove, affinché nell'ambito del giudizio di responsabilità civile si abbia una riduzione del danno risarcibile, è necessario che con il danno prodotto concorra un autentico lucro prodotto, vale a dire un "gratuito vantaggio economico";
che quando la condotta del danneggiante costituisce semplice-mente l'occasione per il sorgere di un'attribuzione patrimoniale che trova la propria giustificazione in un corrispondente e precedente sa-crificio, allora - si afferma - non si riscontra quel lucro che, unico, può compensare il danno e ridurre la responsabilità;
che in questa stessa direzione convergono le più recenti riflessioni sul tema, atteso che, proprio prendendo le mosse dalla necessità di guardare alla funzione concreta e alla giustificazione più profonda del beneficio collaterale rappresentato dalla pensione di reversibilità, la dottrina esclude, secondo un giudizio normativo-valoriale, che il welfare previdenziale istituito e alimentato dai contributi del lavoratore, come tale espressione di una scelta di sistema pienamente conforme al respiro costituzionale della sicurezza sociale, sia suscettibile di essere considerato un beneficio da assoggettare all'impiego contabil-mente causale della compensano lucri cum damno;
che d'altra parte - si sottolinea - la stessa valutazione della pensione di reversibilità nel contesto attuale, caratterizzato dal passaggio dal sistema retributivo a quello contributivo, ne conferma e ne rafforza la funzione previdenziale, trattandosi di un'attribuzione che rinviene la sua causa necessaria, oltre che nella previsione di legge, nel sacrificio del lavoratore attraverso il versamento dei contributi;
che da tali premesse deriva la conferma del principio in forza del quale, dal risarcimento del danno patrimoniale patito dal familiare di persona deceduta per colpa altrui non deve essere detratto il valore capitale della pensione di reversibilità accordata dall'Inps al familiare superstite in conseguenza della morte del congiunto, trattandosi di una forma di tutela previdenziale connessa ad un peculiare fondamento solidaristico e non geneticamente connotata dalla finalità di rimuovere le conseguenze prodottesi nel patrimonio del danneggiato per effetto dell'illecito del terzo;
che, sulla base delle argomentazioni che precedono, rilevata la complessiva infondatezza del ricorso principale e la piena fondatezza di quello incidentale, dev'essere disposto, accanto al rigetto del primo, la cassazione della sentenza impugnata in relazione al ricorso incidentale accolto, con il conseguente rinvio alla Corte d'appello di Venezia, in diversa composizione, cui è altresì rimesso di provvedere alla regolazione delle spese del presente giudizio di legittimità;
che, ai sensi dell'art. 13 comma 1-quater del d.P.R. n. 115 del 2002, deve darsi atto della sussistenza dei presupposti per il versamento, da parte della ricorrente principale, dell'ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello dovuto per il ricorso principale, a norma dell'art. 1-bis, dello stesso articolo 13 (cfr., da ultimo, con specifico riguardo all'Autorità Portuale, Sez. L, Ordinanza del 9 gennaio 2019, n. 268);
 

 

P.Q.M.

 


Rigetta il ricorso principale e, in accoglimento del ricorso incidentale, cassa la sentenza impugnata e rinvia alla Corte d'appello di Venezia, in diversa composizione, cui è altresì rimesso di provvedere alla regolazione delle spese del presente giudizio di legittimità.
Ai sensi dell'art. 13 comma 1-quater del d.P.R. n. 115 del 2002, dà atto della sussistenza dei presupposti per il versamento, da parte della ricorrente principale, dell'ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello dovuto per il ricorso principale, a norma dell'art. 1-bis, dello stesso articolo 13.
Così deciso in Roma, nella camera di consiglio della Terza Sezione