Cassazione Civile, Sez. 3, 26 luglio 2019, n. 20280 - Caduta del soffitto e infortunio della dipendente comunale durante i lavori di coibentazione in amianto


Presidente: AMENDOLA ADELAIDE Relatore: MOSCARINI ANNA Data pubblicazione: 26/07/2019

 

 

 

Fatto

 


A.B., dipendente del Comune di Sarzana, convenne il medesimo Comune davanti al Tribunale di La Spezia per sentirlo condannare al risarcimento dei danni patiti a seguito di un incidente occorsole il 22 febbraio 1993 quando, mentre era in servizio, subì le conseguenze della caduta di una parte del soffitto della stanza dove lavorava che aveva ceduto alla presenza di un dipendente di una ditta che stava svolgendo l'eliminazione della coibentazione in amianto. Costituitosi il contraddittorio, il Tribunale condannò il Comune a risarcire i danni nella misura di L. 66.287.000, e alle spese del grado e la Fondiaria Assicurazioni S.p.A. (di seguito La Fondiaria) a tenere indenne il Comune rispetto a quanto dovuto alla danneggiata.
La Corte d'Appello di Genova, adita in via principale dalla La Fondiaria ed in via incidentale dal Comune di La Spezia, con sentenza del 19/4/2006, accolse il motivo di appello incidentale del Comune dichiarando nulla la domanda originaria di danni perché priva della causa petendi.
La sentenza, impugnata davanti a questa Corte, è stata cassata in relazione al capo che aveva pronunciato la nullità per mancanza della causa petendi, con sentenza n. 23473 del 2010 che ha rinviato la causa alla Corte d'Appello di Genova per l'esame degli elementi di prova raccolti ai fini della decisione sull'azione di responsabilità ex art. 2043 c.c.
La Corte d'Appello di Genova, con la sentenza n. 533 del 13/5/2016, per quel che ancora d'interesse in questa sede, ha infine accolto la domanda della A.B., ritenendo che il Comune era responsabile ai sensi dell'art. 2043 c.c. per aver omesso di coordinare lo svolgimento dei lavori con la presenza dei dipendenti posti al piano sottostante quello interessato dai lavori stessi; per aver omesso di valutare l'esistenza del rischio che qualche controsoffitto potesse cedere e che comunque qualche polvere di amianto potesse cadere sugli arredi dei locali del terzo piano; che le due dipendenti comunali che condividevano l'uso della stanza dove si era verificato l'incidente non erano state avvertite di non recarsi in ufficio o di prestare la propria attività in altro locale del Palazzo comunale; che nessuno era stato incaricato di avvisare le due dipendenti; e che conseguentemente era configurabile la condotta omissiva del Comune.
Sul quantum il Giudice ha confermato la misura del danno già quantificata dal Tribunale di La Spezia, con gli accessori, ed ha rigettato la domanda di manleva proposta nei confronti della Unipolsai, (succeduta a La Fondiaria), già riconosciuta dal Tribunale, ritenendo che l'evento non fosse coperto dalla garanzia, in quanto la A.B. non era assicurata presso l'Inail, per gli infortuni sul lavoro, il sinistro non era stato denunciato all'Inail e dunque l'evento esulava dai limiti della polizza R.C.O. stipulata con La Fondiaria.
La Corte d'Appello ha, infine, posto le spese dei quattro gradi di giudizio, relative al rapporto processuale tra il Comune e la A.B., a carico del Comune di Sarzana, compensando invece quelle relative al rapporto processuale tra il Comune e la ditta F.Ili Marchi che aveva eseguito i lavori e tra il Comune e la compagnia di assicurazione. Avverso la sentenza il Comune di Sarzana propone ricorso per cassazione, sulla base di tre motivi, illustrato da memoria. Resiste la A.B. con controricorso.
 

 

Diritto

 


l. Con il primo motivo il Comune ricorrente denuncia la violazione e/o falsa applicazione dell'art. 2043 c.c. per avere la sentenza imputato ad esso Comune una responsabilità omissiva per non aver coordinato l'attività dei dipendenti comunali con lo svolgimento dei lavori assegnati alla ditta F.Ili Marchi. Ad avviso del Comune ricorrente mancherebbe sia la prova del nesso causale sia quella dell'elemento soggettivo della responsabilità, mentre il Giudice avrebbe dovuto valutare la responsabilità dell'impresa incaricata dei lavori ed affermare la responsabilità del Comune solo ove fosse risultato che il fatto lesivo fosse stato commesso in esecuzione di un ordine impartitogli dal direttore dei lavori o da altro rappresentante del committente, cioè in sostanza per culpa in eligendo. La sentenza sarebbe illegittima in quanto avrebbe omesso di considerare che, in mancanza di prova contraria, l'appaltatore deve realizzare l'opera a regola d'arte osservando, nell'esecuzione della prestazione, la diligenza ex art. 1176 c. 2 c.c., essendo l'unico soggetto responsabile salvo i casi in cui risulti provato, in modo circostanziato, che egli abbia agito quale nudus minister.
1.1 Il motivo è inammissibile perché richiede a questa Corte il riesame dei fatti di causa e la rivalutazione delle prove, attività appartenente istituzionalmente al giudice del merito, non sindacabile in cassazione se non sotto il profilo della congruità della motivazione, che non è stata invero censurata. In secondo luogo il motivo non coglie la ratio decidendi che non consiste, contrariamente a quanto assunto dal ricorrente, nell'escludere i presupposti della responsabilità dell'appaltatore ma nell'afferma re, positivamente, il comportamento omissivo del Comune per non aver impedito alla dipendente danneggiata l'accesso ai locali dove erano in corso lavori delicati di eliminazione di coperture di amianto.
2. Con il secondo motivo l'Ente denuncia la pretesa violazione e falsa applicazione dell'art. 269 c.p.c. con riguardo all'art. 360 co. 1 n. 3 c.p.c. Lamenta che la sentenza impugnata ha errato nell'affermare che il Comune avesse omesso di riproporre nelle conclusioni la domanda di manleva nei confronti della terza chiamata F.Ili Marchi, in quanto detta domanda sarebbe invece stata formulata.
2.1 La censura è assolutamente generica e priva di autosufficienza in quanto non riporta il punto delle conclusioni della comparsa di costituzione e risposta del 27 aprile 2011 nel quale sarebbe stata riproposta la domanda di manleva nei confronti della ditta F.Ili Marchi. Senza considerare, peraltro, che essendo rimasta la ditta F.Ili Marchi contumace, il Comune in sede di riassunzione avrebbe dovuto, ex art. 292 c.p.c., notificare personalmente al contumace la domanda di garanzia.
3. Con il terzo motivo il Comune ricorrente denuncia la violazione e falsa applicazione del Dlgs. 1124/1965 nella parte in cui la sentenza ha escluso che la polizza stipulata tra il Comune e la compagnia di assicurazioni ricomprendesse anche la posizione della dipendente A.B.. Ad avviso del ricorrente l'interpretazione del giudice contrasterebbe con l'evoluzione della normativa in materia di assicurazione obbligatoria contro gli infortuni sul lavoro e le malattie professionali.
3.1. La censura è del tutto generica e priva di autosufficienza in quanto volta solo a prospettare che la infortunata A.B. rientrava tra i soggetti per i quali era obbligatoria l'assicurazione contro gli infortuni sul lavoro mentre la Corte d'Appello ha escluso esservi prova che la A.B. rientrasse tra quei soggetti e che, essendo in ogni caso esso Comune assicurato per l'eventuale azione di regresso intentata dall'Inail, neppure vi era traccia della suddetta azione di regresso.
4. Conclusivamente il ricorso va dichiarato inammissibile ed il Comune ricorrente condannato alle spese del giudizio di cassazione, liquidate come in dispositivo.
 

 

P.Q.M.

 


La Corte dichiara il ricorso inammissibile e condanna il ricorrente alle spese del giudizio di cassazione, liquidate in € 5.200 (più € 200 per esborsi), oltre accessori di legge e spese generali al 15 %. Si dà atto ai sensi dell'art. 13, co. 1 quater del d.p.r. n. 115 del 2002, della sussistenza dei presupposti per il versamento, da parte del ricorrente, dell'ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello dovuto per il ricorso principale a norma del comma 1 bis dello stesso art. 13.
Così deciso in Roma, nella Camera di Consiglio della Terza Sezione Civile l'8.1.2019