• Datore di Lavoro
  • Infortunio sul Lavoro

Responsabilità di un datore di lavoro per infortunio mortale di un dipendente, il quale, mentre lavorava all'interno di uno scavo profondo circa due metri, era rimasto soffocato a seguito del crollo delle pareti laterali, non dando il terreno di natura franabile garanzie di stabilità ed essendo assenti le armature di contenimento prescritte dall'art. 13 del D.P.R. 164/56.

Ricorre in Cassazione lamentando che al dibattimento era stato assunto come testimone un ingegnere nonostante egli fosse incompatibile ad assumere tale ufficio per avere nel medesimo procedimento ricevuto dal pm la delega, nella qualità di dirigente responsabile dell'area antinfortunistica dell'ASL, per il compimento dell'interrogatorio dell'imputato.

La Corte, respingendo il ricorso, afferma che:

"la disposizione dell'art. 197 c.p.p. - che sancisce il divieto di assumere come testimoni coloro che hanno svolto la funzione di ausiliario del P.M. o del giudice - non contempla un'ipotesi di incompatibilità assoluta a testimoniare, ma impedisce soltanto che quei soggetti possano deporre su fatti o circostanze apprese nella funzione di ausiliario.
Per conseguenza, non applicandosi detta disposizione all'attività di p.g. che l'Ing. S., quale responsabile dell'area antinfortunistica dell'ASL (OMISSIS) della (OMISSIS), ha compiuto nello svolgimento delle proprie funzioni istituzionali, al di fuori dell'occasionale assistenza prestata al singolo atto (l'interrogatorio) delegato dal magistrato, correttamente è stato dai giudici di merito utilizzato il contenuto della sua deposizione dibattimentale, attinendo quest'ultima a fatti e circostanze relativi alle pregresse indagini da esso svolte nella qualità di ufficiale di p.g., le cui funzioni e prerogative non erano certamente venute meno in occasione dell'assistenza prestata al P.M. per un solo atto."

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE
SEZIONE QUARTA PENALE
Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:
Dott. RIZZO Aldo Sebastian - Presidente -
Dott. CAMPANATO Graziana - Consigliere -
Dott. LICARI Carlo - Consigliere -
Dott. FOTI Giacomo - Consigliere -
Dott. IZZO Fausto - Consigliere -
ha pronunciato la seguente:
sentenza
sul ricorso proposto da:
1) C.M. N. IL (OMISSIS);
avverso SENTENZA del 23/06/2005 CORTE APPELLO di ANCONA;
visti gli atti, la sentenza ed il ricorso;
udita in PUBBLICA UDIENZA la relazione fatta dal Consigliere Dott. LICARI CARLO;
Udito il Procuratore Generale in persona del Dott. SALZANO Francesco, che ha concluso per il rigetto del ricorso;
Udito, per la parte civile l'Avv. Giammarino Raffaele, il quale ha chiesto dichiararsi l'inammissibilità del ricorso;
Udito il difensore avv. Gismi Mauro, il quale ha chiesto l'accoglimento del ricorso.

Fatto

Con sentenza del 23/6/2005, la Corte di Appello di Ancona, avendo dichiarato estinto per maturata prescrizione la contravvenzione di cui al D.P.R. n. 164 del 1956, art 13, contestatagli al capo b) dell'imputazione, riformava parzialmente la sentenza di condanna emessa dal Tribunale di Fermo nei confronti di C.M., in quanto ritenuto - quale datore di lavoro e titolare dell'omonima ditta, appaltatrice, per conto del Comune di (OMISSIS), di lavori di messa in opera delle condutture fognarie - responsabile del delitto di omicidio colposo avvenuto il (OMISSIS) ai danni del dipendente R.D., il quale, mentre lavorava all'interno di uno scavo profondo circa due metri, era rimasto soffocato a seguito del crollo delle pareti laterali, non dando il terreno di natura franabile garanzie di stabilità ed essendo assenti le armature di contenimento prescritte dalla richiamata disposizione antinfortunistica per gli scavi profondi oltre mt. 1,50.
Con detta decisione, l'affermazione di responsabilità dell'imputato in ordine al reato di omicidio colposo veniva confermata e ridotta la corrispondente pena, per effetto dell'estinzione per prescrizione della contravvenzione, conseguendone la condanna del medesimo alla rifusione delle ulteriori spese di lite sostenute dalle vittoriose parti civili.
 
Avverso tale sentenza propone ricorso per cassazione, per mezzo del difensore, l'imputato, deducendo i seguenti motivi:
- Vizio di legge, per essere stato assunto al dibattimento come testimone l'ing. S.B., nonostante egli fosse incompatibile ad assumere tale ufficio, per avere nel medesimo procedimento ricevuto dal P.M. la delega, nella qualità di dirigente responsabile dell'area antinfortunistica dell'ASL (OMISSIS) della (OMISSIS), per il compimento dell'interrogatorio dell'imputato.
- Vizio di legge, in quanto, il rito della citazione diretta, disposto irritualmente per il reato più grave di omicidio colposo, non avrebbe consentito alla difesa dell'imputato di ottenere, tramite eccezione da sollevare entro e non oltre la fase delle questioni preliminari, la restituzione degli atti al P.M., affinchè fosse celebrata l'udienza preliminare, la quale essendo mancata, si sarebbe verificata una lesione del diritto di difesa.
- Vizio di legge, per omesso espletamento di un mezzo di prova decisivo, costituito dalla perizia tecnica, invocata dalla difesa al fine di accertare la riconoscibilità ex ante della natura instabile del terreno interessato dallo scavo; su tale punto, la prova sarebbe stata desunta dalla deposizione resa dall'ing. S., nonostante fosse evidente, per le ragioni sopra spiegate, la sua incompatibilità ad assumere l'ufficio di testimone.
- Illogicità della motivazione in relazione alla profondità dello scavo ritenuta superiore a mt. 1,50, mentre tale dato risultava al contrario incerto, stante le contuse dichiarazioni dei testimoni.
- Vizio di legge, in quanto la prova della profondità dello scavo sarebbe stata desunta anche da una lettera inviata dall'imputato all'ASL (OMISSIS), lettera che, avendo un contenuto confessorio, non poteva essere utilizzata contro il medesimo imputato.
- Vizio di legge, per non essere stato considerato il ruolo svolto nella vicenda dall'ordine di variazione della profondità dello scavo, da mt. 1,50 a mt. 3, dato dal direttore dei lavori e, quindi, non apprezzato che tale ingerenza, nella conduzione delle opere commissionate alla ditta appaltatrice, rendeva il direttore dei lavori titolare di una posizione di garanzia e, quindi, soggetto all'obbligo di provvedere alle misure di sicurezza in favore dei lavoratori e, conseguentemente, responsabile dell'evento mortale che è conseguito dall'omissione delle anzidette misure.

Il ricorso non è meritevole di accoglimento per quanto di ragione.
 
La prima doglianza è all'evidenza infondata, in quanto si scontra insanabilmente con il consolidato principio giuridico, secondo cui la disposizione dell'art. 197 c.p.p. - che sancisce il divieto di assumere come testimoni coloro che hanno svolto la funzione di ausiliario del P.M. o del giudice - non contempla un'ipotesi di incompatibilità assoluta a testimoniare, ma impedisce soltanto che quei soggetti possano deporre su fatti o circostanze apprese nella funzione di ausiliario.
Per conseguenza, non applicandosi detta disposizione all'attività di p.g. che l'Ing. S., quale responsabile dell'area antinfortunistica dell'ASL (OMISSIS) della (OMISSIS), ha compiuto nello svolgimento delle proprie funzioni istituzionali, al di fuori dell'occasionale assistenza prestata al singolo atto (l'interrogatorio) delegato dal magistrato, correttamente è stato dai giudici di merito utilizzato il contenuto della sua deposizione dibattimentale, attinendo quest'ultima a fatti e circostanze relativi alle pregresse indagini da esso svolte nella qualità di ufficiale di p.g., le cui funzioni e prerogative non erano certamente venute meno in occasione dell'assistenza prestata al P.M. per un solo atto.
Anche la seconda doglianza, che attiene alla mancata celebrazione dell'udienza preliminare ed auspica la regressione del procedimento, tramite la restituzione degli atti al P.M. per la celebrazione dell'udienza preliminare, si palesa infondata.
Va, sul punto, premesso che, per valutare la regolarità del decreto di citazione a giudizio emesso in base agli artt. 555 e seg. c.p.p. per i procedimenti da celebrarsi davanti al Tribunale in composizione monocratica, nel testo modificato dal D.Lgs. 19 febbraio 1998, n. 15, ma prima dell'entrata in vigore della L. 16 dicembre 1999, n. 479 (che all'art. 44 ha introdotto la necessità di tenere l'udienza preliminare per tutti i delitti, come l'omicidio colposo, puniti con pena pari o superiore nel massimo a quattro anni, anche congiunta a pena pecuniaria) deve essere applicata la norma vigente nel momento in cui l'atto è stato compiuto, in quanto si tratta di successione nel tempo di norme aventi natura esclusivamente processuale, soggette al principio "tempus regit actum" e a quello della irretroattività della legge stabilito nell'art. 11 disp. gen., comma 1, disposizione nella specie non derogata stante l'assenza di una apposita norma transitoria.
Orbene, nella specie, è da ritenere corretta la citazione diretta a giudizio per il reato di omicidio colposo, in quanto, nel momento in cui è stata disposta ((OMISSIS)), la citata L. n. 479 del 1999 non era ancora entrata in vigore, ed, in coerenza, deve trarsi la conclusione che, nel caso in esame, la citazione, legittimamente esercitata secondo la vecchia disciplina, aveva già prodotto l'effetto della "vocatio in ius", con il conseguente, valido e irreversibile trapasso alla fase ulteriore del dibattimento.
L'esercizio legittimo di tale potestà, produttivo di effetti giuridici consolidatisi per l'osservanza delle norme processuali al tempo vigenti, avrebbe per conseguenza, reso - e lo renderebbe tuttora - abnorme sotto il profilo funzionale il provvedimento, auspicato in questa sede dal ricorrente, di restituzione degli atti al P.M., perchè esso, pur non estraneo al sistema normativo, avrebbe in ipotesi determinato - come, ora, lo determinerebbe - la regressione del processo alla fase precedente e, quindi, la sua stasi.
In riferimento, poi, alle doglianze che attengono alla prova sulla instabilità del terreno e la profondità dello scavo, è palese la loro aspecificità, in quanto esse si pongono in stridente dissonanza con le corrette e coerenti argomentazioni offerte in motivazione dalla Corte di Appello, la quale non è stata omissiva nell'esame di detti punti, i quali risultano essere stati specificamente valutati.
La Corte di merito, infatti, si è convinta - e di tale convincimento ne ha persuasivamente spiegato le ragioni - che la friabilità del terreno fosse riconoscibile già ex ante dalla stessa visione della composizione dei cumuli di terreno ammassati ai lati dello scavo, i quali presentavano una composizione mista ed estremamente instabile di pezzi di cemento, pietre, materiali di risulta delle costruzioni edilizie nei pressi realizzate; che la prova di ciò era desumibile dalla documentazione fotografica allegata agli atti; che la profondità dello scavo, nel tratto interessato dall'infortunio, era sicuramente superiore al limite di mt. 1,50 essendone prova la deposizione, pienamente utilizzabile, del teste ing. S., oltre il contenuto in tal senso conforme della lettera inviata dall'imputato all'ASL di (OMISSIS), della cui utilizzazione quest'ultimo non può ora lamentarsi, sol perchè assevera un dato favorevole alla tesi accusatoria, peraltro desumibile aliunde.
Da tali dati di fatto risulta comprovata la contrarietà alle norme antinfortunistiche e prudenziali della condotta omissiva del datore di lavoro della vittima dell'infortunio, sicchè la legittimità dell'affermazione della penale responsabilità dell'imputato, unico titolare ( in assenza di prova, scritta o altrimenti riscontrata, dell'asserito ordine del direttore dei lavori di variare la profondità dello scavo) dell'obbligo di predisporre le misure cautelative, idonee a neutralizzare il rischio prevedibile di crollo delle pareti dello scavo.
Ciò senza dire che, a tutto concedere, l'eventuale colpa del direttore dei lavori si porrebbe nel determinismo dell'evento a svolgere un ruolo causale concorrente e non esclusivo, onde non eliminerebbe, in ogni caso, il nesso di condizionamento imputabile alla posizione di garanzia, primaria, propria del datore di lavoro.
Al rigetto del ricorso segue, a mente dell'art. 616 c.p.p., la condanna del ricorrente al pagamento delle spese processuali.
A carico del ricorrente va posto anche, l'obbligo di rifondere alle parti civili costituite le spese affrontate in questo grado di giudizio, spese che si liquidano nella somma complessiva di Euro 2.813,00, di cui Euro 2.500,00 per onorari di difesa oltre IVA e CPA nelle misure dovute per legge.

P.Q.M.
 
Rigetta il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle spese processuali, nonchè alla rifusione delle spese a favore delle parti civili, spese che liquida nella complessiva somma di Euro 2.813,00 di cui Euro 2.500,00 per onorari di difesa oltre IVA e CPA. Così deciso in Roma, il 26 marzo 2009.
Depositato in Cancelleria il 22 aprile 2009