• Prevenzione Incendi

Responsabilità dei soci di una società semplice per il reato di cui all'art. 34 del D.P.R. n. 547/55, per non aver predisposto idonei mezzi di estinzione a protezione del deposito di paglia di loro proprietà e  per il reato di cui al D.Lgs. n. 626 del 1994, art. 4, comma 5 lett. q) per non avere adottato le misure di prevenzione incendi.

Ricorso in Cassazione - Sussiste.

La Corte afferma che: "In tema di tutela dei lavoratori, le disposizioni di cui al D.P.R. n. 547 del 1955, art. 34, misure necessarie ai fini della prevenzione incendi, sono in rapporto di specialità rispetto a quelle di cui al D.Lgs. n. 626 del 1994, atteso che nelle prime si rinvengono elementi specializzanti, costituiti dalla indicazione dei mezzi di prevenzione ed estinzione degli incendi, oltre alla menzione espressa dell'obbligo di assicurare, in caso di necessità, l'agevole e rapido allontanamento dei lavoratori dai luoghi interessati".

Inoltre "l'avvenuta abrogazione del D.P.R. n. 547 del 1955 da parte del D.Lgs. 9 aprile 2008, n. 81 (art. 304) non incide sulla configurabilità del reato di cui al capo a), che continua ad essere previsto come reato dall'art. 64, art. 63, comma 1 (all. 4.4.1.3) art. 68, lett. b."


 

 

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE
SEZIONE TERZA PENALE
Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:
Dott. LUPO Ernesto - Presidente -
Dott. CORDOVA Agostino - Consigliere -
Dott. MARMO Margherita - Consigliere -
Dott. AMORESANO Silvio - Consigliere -
Dott. SARNO Giulio - Consigliere -
ha pronunciato la seguente:
sentenza
sul ricorso proposto da:
1) G.G., nato il (OMISSIS);
2) G.R., nato il (OMISSIS);
avverso la sentenza dell'11.12.2007 del Tribunale di Ancona, sez. dist. di Osimo;
sentita la relazione fatta dal Consigliere Dr. Silvio Amoresano;
sentite le conclusioni del P.G., Dr. Guglielmo Passacantando, che ha chiesto l'annullamento con rinvio limitatamente a G.G. ed il rigetto del ricorso di G.R.;
sentito il difensore, avv. Tiberi Roberto, che ha chiesto l'accoglimento del ricorso.

FattoDiritto

1) Con sentenza dell'11.12.2007 il Tribunale di Osimo, in composizione monocratica, condannava G.G. e G. R., previo riconoscimento delle circostanze attenuanti generiche, alla pena di Euro 3.000,00 di ammenda ciascuno per il reato di cui al D.P.R. n. 547 del 1955, art. 34, lett.c) per non avere, in qualità di soci della società semplice denominata " G.G. e R.", predisposto idonei mezzi di estinzione a protezione del deposito di paglia di loro proprietà, ubicato in (OMISSIS), (capo a) e per il reato di cui al D.Lgs. n. 626 del 1994, art. 4, comma 5 lett. q) per non avere adottato le misure di prevenzione incendi, non richiedendo il rilascio del certificato di prevenzione incendi ai sensi del D.P.R. n. 37 del 1998 e del D.M. 16 febbraio 2002, e succ. modif. e integrazioni (capo b), unificati sotto il vincolo della continuazione; pena interamente condonata.
Premetteva il Tribunale che, a seguito del sopralluogo eseguito dai Vigili del fuoco in data (OMISSIS) dopo che si era sviluppato un incendio di una certa gravità il (OMISSIS), era emerso che presso il deposito di paglia della società G.G. e R. mancava il certificato di prevenzione incendi e non erano state predisposte le misure necessarie alla prevenzione ed estinzione degli incendi medesimi.
Tanto premesso, riteneva il Tribunale che il deposito di paglia in questione, di proprietà di un'azienda agricola, rientrasse nella previsione normativa e che erano configurabili entrambe le condotte omissive contestate (integranti nell'ambito della stessa disciplina normativa due diverse fattispecie penalmente rilevanti).
 
2) Propone ricorso per Cassazione G.G., denunciando, con il primo e secondo motivo l'inosservanza di norme processuali stabilite a pena di nullità, nonchè la mancanza, contraddittorietà e manifesta illogicità della motivazione.
Con ordinanza in data 23.10.2007, che si impugna unitamente alla sentenza, veniva rigettata la richiesta di rinvio avanzata dal difensore, avv. Roberto Tiberi, nonostante il documentato e tempestivamente comunicato impedimento del medesimo.
Con la stessa ordinanza veniva rigettata illegittimamente l'eccezione di nullità proposta dal difensore di G.G. per omesso avviso all'imputato contumace del rinvio d'ufficio dell'udienza del 18.9.2007 (di tale rinvio veniva data comunicazione via fax soltanto ai difensori).
Il richiamo all'art. 477 c.p.p. non era pertinente in quanto il rinvio era stato disposto fuori udienza.
Con il terzo motivo denuncia la violazione di legge ed il vizio di motivazione in relazione alla normativa contestata che è applicabile soltanto in presenza di lavoratori subordinati.
Risulta per tabulas che la ditta G. non ha lavoratori subordinati.
Erroneamente inoltre il Tribunale ritiene che la normativa contestata tuteli anche chi possa occasionalmente trovarsi in una situazione di pericolo (a parte il fatto che era stato provato che non sussisteva alcuna situazione di tal genere).
Con il quarto motivo denuncia la violazione di legge ed il vizio di motivazione in relazione al ritenuto concorso dei reati contestati.
A tutto concedere i fatti contestati integrano soltanto il reato di cui al D.P.R. n. 547 del 1955, art. 34 comma 1, lett. c), in esso assorbito il reato di cui al D.Lgs. n. 626 del 1994, art. 4, comma 5, lett. q e art. 89.
Con il quinto motivo denuncia la violazione di legge ed il vizio di motivazione, avendo il Tribunale ritenuto configurabili le ipotesi di reato di cui al D.P.R. n. 547 del 1995, artt. 36, 37 e 389 non oggetto di contestazione.
Inoltre l'imputato G.G. è stato condannato per un fatto diverso da quello contestato (la data del fatto contestato al capo a) è quella del (OMISSIS), mentre in sentenza è stata ritenuta quella del 4.10.2004).
Con il sesto motivo, infine, denuncia la violazione di legge ed il vizio di motivazione in relazione alla pena inflitta ed alla omessa concessione del beneficio della non menzione (benchè richiesto in via subordinata in sede di conclusioni.
Chiede pertanto l'annullamento della sentenza e delle ordinanze impugnate.
Ricorre per Cassazione anche G.R., proponendo le stesse censure contenute nel terzo, quarto e quinto motivo del ricorso di G.G..
 
3) In ordine ai primi due motivi di ricorso proposti da G. G., venendo denunciata la violazione di norme processuali il giudice di legittimità è giudice anche del fatto, per cui consentito l'esame degli atti processuali.
3.1) Con istanza depositata in cancelleria l'avv. Roberto Tiberi, quale difensore di fiducia di G.G., chiedeva il rinvio dell'udienza del 23.10.2007, assumendo di essere impegnato lo stesso giorno davanti al Tribunale di Ancona, sez. di Jesi, in difesa di B.F., imputato del reato di cui al D.P.R. n. 203 del 1988, art. 24, comma 1 (come da verbale di udienza allegato) e di non poter per tale data nominare sostituti.
Il Tribunale, preso atto della istanza, rigettava la richiesta di rinvio, non risultando spiegate nè le ragioni che rendevano essenziale la presenza del difensore davanti al Tribunale di Jesi, nè i motivi per i quali il difensore non poteva essere sostituito.
Tanto premesso, rileva la Corte che il Tribunale correttamente ha rigettato l'istanza di rinvio.
Per giurisprudenza consolidata di questa Corte (a partire da Sez. Un. 24.4.1992 n. 4708 - Fogliani ed altri) perchè l'impegno professionale del difensore possa costituire il legittimo impedimento richiesto dalla norma "occorre che esso sia non soltanto comunicato tempestivamente, ma documentato anche in riferimento all'essenzialità e non sostituibilità della presenza del difensore in altro processo. Il giudice del processo di cui si chiede il rinvio deve effettuare il bilanciamento tra l'interesse difensivo e l'interesse pubblico all'immediata trattazione del procedimento (presenza di imminenti cause estintive, esaurimento dei termini di fase della custodia cautelare e situazioni analoghe).
Il rigetto dell'istanza di rinvio deve quindi essere motivato con riguardo ai detti elementi".
Il legittimo impedimento che giustifica il rinvio deve determinare, invero, una "assoluta impossibilità a comparire".
Tale di per sè non è certamente la concomitanza di altri impegni professionali, a meno che il difensore non fornisca elementi in ordine alla indispensabilità della sua presenza nell'altro procedimento;
altrimenti si rimetterebbe alla scelta discrezionale del difensore quale dei due procedimenti "privilegiare".
Le esigenze e le scelte difensive meritano tutela nei limiti, però, dell'interesse pubblico all'immediata trattazione del procedimento.
Il Tribunale ha, come si è visto, motivato adeguatamente, ritenendo che nell'istanza di rinvio non risultassero neppure prospettate le ragioni che inducevano il difensore ad assicurare la sua presenza presso il Tribunale di Ancona sez.di Jesi.
Sostiene il ricorrente che, attraverso la sospensione del termine di prescrizione, il rinvio del dibattimento non avrebbe avuto alcuna incidenza sulla prescrizione medesima.
E' vero proprio il contrario.
L'art. 159 c.p. (come sostituito dalla L. 5 dicembre 2005, n. 251, art. 6, comma 3, certamente applicabile nel caso di specie essendo il processo pendente in primo grado al momento dell'entrata in vigore della predetta legge) prevede che "In caso di sospensione del processo per impedimento delle parti o dei difensori, l'udienza non può essere differita oltre il sessantesimo giorno successivo alla prevedibile cessazione dell'impedimento, dovendosi aver riguardo in caso contrario al tempo dell'impedimento aumentato di sessanta giorni".
La sospensione dei termini di prescrizione non avrebbe potuto superare quindi 61 giorni (giorni sessanta, oltre il giorno dell'impedimento).
Ma con i ruoli, ovviamente già programmati da tempo, è pressochè impossibile disporre il rinvio in tempi così ristretti, a meno di non disporre il rinvio di altri processi già fissati e la cui trattazione risulta magari altrettanto urgente.
Inevitabile quindi è che il rinvio, per non sconvolgere i ruoli già predisposti, superi i "limiti" previsti dall'art. 159 c.p.p., comma 1, n. 3, con conseguente impossibilità di calcolare nella sospensione il periodo "eccedente".
Di qui la necessità che l'impedimento che giustifichi il rinvio venga accertato con ancora maggior rigore.
3.2) In relazione all'eccezione di nullità per omesso avviso del rinvio dell'udienza all'imputato, risulta dagli atti che:
a) a seguito della rituale notifica del decreto di citazione a giudizio e non essendo stato addotto alcun legittimo impedimento a comparire, all'udienza del 20.6.2007 veniva dichiarata la contumacia degli imputati G.G. e G.R..
E l'udienza medesima veniva poi rinviata al 18.9.2007 (fol.22).
Il Tribunale, con provvedimento emesso fuori udienza, rinviava d'ufficio tale udienza al 23.10.2007 e del rinvio veniva dato avviso ai difensori a mezzo fax. Che tale avviso sia stato ricevuto non è contestato (del resto i difensori comparivano regolarmente all'udienza del 23.10.2007); si assume, però che del rinvio dell'udienza dovesse essere dato avviso anche agli imputati contumaci.
Tale assunto è destituito di fondamento.
L'art. 465 c.p.p., nel prevedere la possibilità per il Presidente del Tribunale o della Corte di Assise, una volta ricevuto il decreto che dispone il giudizio, di anticipare l'udienza o differirla, per giustificati motivi (comma 1), stabilisce che il decreto debba essere comunicato al pubblico ministero e notificato alle parti private, alla persona offesa ed ai difensori, fermi restando i termini di cui all'art. 429 c.p.p., commi 3 e 4, almeno sette giorni prima della nuova udienza (comma 2).
Tale disposizione, pur riferita alla fase degli Atti preliminari al dibattimento, è da ritenere applicabile anche nelle ipotesi di rinvio fuori udienza, disposte nel corso del dibattimento, dovendo le parti processuali venire a conoscenza dei rinvii disposti fuori udienza ed essere quindi posti in condizione di partecipare all'udienza rinviata a data diversa da quella già programmata.
Nel mentre invero i rinvii disposti in udienza vengono dati oralmente ed essi sostituiscono le citazioni e le notificazioni per coloro che sono comparsi o debbono considerarsi presenti (art. 477 c.p.p., comma 3), quelli disposti fuori udienza non possono che essere comunicati alle parti private ed ai loro difensori con le forme delle notificazioni.
Sicchè l'eventuale omissione determina una nullità riconducibile all'art. 178 c.p.p., lett. c), incidendo sull'intervento, assistenza e rappresentanza dell'imputato e delle altre parti private.
Questa Corte pronunciando sul punto ha affermato che "E' illegittima la decisione del giudice di appello che rigetti l'eccezione di nullità del giudizio in ragione dell'anticipazione dell'udienza di discussione senza alcun avviso agli imputati che non poterono parteciparvi, in quanto l'ordinanza di anticipazione dell'udienza adottata fuori udienza, a differenza di quella adottata nel corso dell'udienza e comunicata oralmente ex art. 477 c.p.p. deve essere ex art. 465 c.p.p. notificata a tutti gli imputati, oltre che ai difensori e l'omissione di tale incombente comporta la nullità del giudizio, nella specie quello di primo grado e del successivo giudizio d'appello" (cfr. Cass. sez. 5, n. 7943 del 15.2.2007).
Nel caso di specie non sussiste, però, alcuna nullità, essendo stato il rinvio dell'udienza del 18.9.2007 al 23.10.2007 regolarmente comunicato. Il richiamo, fatto dal Tribunale, nell'ordinanza di rigetto dell'eccezione di nullità, all'art. 477 c.p.p., è certamente erroneo, risultando pacificamente che il rinvio venne disposto fuori udienza. Trattasi, peraltro, di errore "innocuo", risultando dagli atti, come si è visto, che del rinvio fu data comunicazione ai difensori (non oralmente, essendo stato disposto fuori udienza), ma a mezzo notifica.
Trattandosi, in ogni caso, di errore di diritto può essere corretto in questa sede. Il rinvio non andava, invece, notificato agli imputati già dichiarati contumaci.
L'art. 487 c.p.p., comma 2, abrogato dalla L. 16.12.1999, n. 479, art. 39, comma 2, prevedeva che l'imputato, quando si procede in sua contumacia, è rappresentato nel dibattimento dal difensore.
La norma è stata riscritta, ed inserita con l'art. 420 quater c.p.p., comma 2, nel titolo 9^, relativo all'udienza preliminare, negli stessi termini, tranne il richiamo al dibattimento.
Tale "omissione" è dovuta al fatto che il principio della rappresentanza da parte del difensore dell'imputato contumace è stato "generalizzato" ed esteso anche ad altre fasi processuali.
Il richiamo del medesimo art. 420 quater c.p.p., contenuto nell'art. 484 c.p.p., comma 2, rende, indubitabilmente, applicabile la disposizione generale alla fase del dibattimento.
Il che significa che è stato ribadito il principio che l'imputato contumace è rappresentato dal difensore nella fase disciplinata dal titolo 2^ (artt. 470 e 524 c.p.p.) che comprende il capo 1 - disposizioni generali, il capo 2 - Atti introduttivi, il capo 3 Istruzione dibattimentale, il capo 4- Nuove contestazioni, il capo 5- Discussione finale.
E' indiscutibile quindi che il difensore rappresenti l'imputato contumace non solo nel corso delle udienze dibattimentali, ma anche quando il dibattimento è sospeso (l'art. 477 c.p.p. prevede che quando non è assolutamente possibile esaurire il dibattimento in una sola udienza, il presidente dispone che esso venga proseguito....).
E' assolutamente pacifico che del rinvio del dibattimento disposto in udienza venga dato avviso orale a verbale e che quindi il difensore ne prenda atto anche in rappresentanza dell'imputato contumace.
Sarebbe, allora, del tutto irragionevole ritenere che del rinvio del dibattimento disposto fuori udienza debba essere dato avviso all'imputato contumace personalmente e non al difensore che lo rappresenta.
Siffatta "distinzione" non troverebbe alcuna giustificazione e si porrebbe in aperta antitesi e senza alcuna previsione espressa con il principio della rappresentanza dell'imputato contumace.
La correttezza di tale interpretazione è confermata dal fatto che laddove il legislatore ha voluto che l'imputato, benchè contumace, sia destinatario diretto di determinati atti compiuti nel corso del dibattimento, lo ha previsto espressamente (si pensi alle nuove contestazioni).
L'art. 520 c.p.p. prevede infatti che in tal caso la contestazione venga inserita nel verbale del dibattimento e che il verbale medesimo venga notificato per estratto all'imputato (comma 1); il presidente sospende il dibattimento e fissa una nuova udienza per la prosecuzione (comma 2).
Risulta evidente che, in presenza di nuove contestazioni, l'imputato deve venirne a conoscenza, risultando modificata la situazione cristallizzata nel decreto di citazione originariamente notificato.
Una tale esigenza non ricorre, invece, quando si tratti di sviluppo, per così dire fisiologico, del dibattimento.
Va quindi enunciato il principio di diritto che il decreto, con cui viene disposto il rinvio del dibattimento fuori udienza, non deve essere notificato personalmente all'imputato già dichiarato contumace, essendo "sufficiente" la notifica al difensore che lo rappresenta.

4) In ordine alla eccepita violazione del principio di correlazione tra fatto contestato e sentenza in relazione alla data di commissione del reato di cui al capo a), va ricordato che, per giurisprudenza pacifica di questa Corte, "la data del commesso reato costituisce solo un elemento accessorio del fatto, che non incide sul requisito della enunciazione del medesimo e non può quindi determinare la mancanza o l'incompletezza della contestazione" (cfr. ex multis Cass. pen. sez. 1, 19.10.1993, n. 11304).
Quando è possibile collocare nel tempo la condotta anche se la contestazione non è specifica, non vi è alcuna violazione del diritto di difesa, potendo nel corso del dibattimento verificarsi e definirsi ogni ulteriore precisazione.
Risultava evidente che l'accertamento per il reato di cui al capo a) e quello di cui al capo b) era lo stesso e che quindi si era in presenza di un mero errore materiale laddove, fermi restando il giorno ed il mese in relazione all'imputazione di cui al D.P.R. n. 547 del 1955, art. 34, lett. c) si faceva riferimento al 2001 anzichè al 2004.
Non vi è stata, perciò, alcuna immutazione del fatto contestato.
E' assolutamente pacifico, peraltro, che si ha violazione del principio di correlazione tra sentenza ed accusa contestata solo quando il fatto ritenuto in sentenza si trovi rispetto a quello contestato in rapporto di eterogeneità o di incompatibilità sostanziale, nel senso che si sia realizzata una vera e propria trasformazione, sostituzione o variazione dei contenuti essenziali dell'addebito.
La verifica dell'osservanza del principio di correlazione va, invero, condotta in funzione della salvaguardia del diritto di difesa dell'imputato cui il principio stesso è ispirato.
Ne consegue che la sua violazione è ravvisabile soltanto qualora la fattispecie concreta - che realizza l'ipotesi astratta prevista dal legislatore e che è esposta nel capo di imputazione- venga mutata nei suoi elementi essenziali in modo tale da determinare uno stravolgimento dell'originaria contestazione, onde emerga dagli atti che su di essa l'imputato non ha avuto modo di difendersi (cfr. ex multis Cass. pen. sez. 6, 8.6.1998 n. 67539).
I ricorrenti hanno quindi avuto modo di difendersi nel dibattimento compiutamente in relazione alla imputazione di cui al capo a), essendo contestata specificamente la condotta (omessa predisposizione di idonei mezzi di protezione del deposito di paglia di loro proprietà ubicato in (OMISSIS)); che l'accertamento della violazione fosse avvenuto nel (OMISSIS) (e non nel (OMISSIS) come erroneamente indicato) emergeva chiaramente dal riferimento alla data esatta contenuto nel capo b) e soprattutto dal fatto che l'accertamento medesimo era stato effettuato a seguito dell'incendio verificatosi nel deposito di paglia il (OMISSIS), sicchè non potevano esservi equivoci di sorta.
 
5) In ordine alla applicabilità della normativa contestata il Tribunale, ha, ineccepibilmente evidenziato, da un lato, che "dal combinato disposto degli artt. 1 e 3 si ricava che le norme del presente decreto si applicano a tutte le attività alle quali siano addetti lavoratori subordinati o ad esse equiparati ai sensi dell'art. 3" "..agli effetti dell'articolo sono equiparati ai lavoratori subordinati a) i soci ...anche di fatto.. che prestino la loro attività per conto della società..", e, dall'altro, che le misure tese a garantire la sicurezza debbono, comunque, essere osservate anche per assicurare quella di persone estranee che possano trovarsi occasionalmente nei luoghi di lavoro e, potenzialmente nella situazione di pericolo, ed ha poi, con valutazione di fatto immune da vizi logici, come tale non sindacabile in questa sede di legittimità, ritenuto che il deposito di paglia in questione avesse indiscutibilmente il carattere della pericolosità.
5.1) Fondati sono, invece, i motivi di ricorso in ordine alla non ipotizzabilità del concorso tra le normative contestate.
Secondo la giurisprudenza di questa sezione "In tema di tutela dei lavoratori, le disposizioni di cui al D.P.R. n. 547 del 1955, art. 34, misure necessarie ai fini della prevenzione incendi, sono in rapporto di specialità rispetto a quelle di cui al D.Lgs. n. 626 del 1994, atteso che nelle prime si rinvengono elementi specializzanti, costituiti dalla indicazione dei mezzi di prevenzione ed estinzione degli incendi, oltre alla menzione espressa dell'obbligo di assicurare, in caso di necessità, l'agevole e rapido allontanamento dei lavoratori dai luoghi interessati" (cfr. Cass. sez. 3 sent. n. 28350 del 27.6.2006 - Guatta ed altro).
Di tanto da atto, del resto, lo stesso Tribunale che, ipotizza però in relazione alla condotta descritta nel capo b) la configurabilità del reato di cui al D.P.R. n. 547 del 1955, artt. 36 e 37.
Non c'è dubbio che, a prescindere dalla normativa contestata, il giudice possa attribuire al fatto una qualificazione giuridica diversa, sempre che la condotta risulti correttamente contestata.
Ritiene, però, la Corte che la stessa normativa richiamata nella sentenza impugnata (tabella A, approvata con D.P.R. 26 maggio 1959 n. 689, nn. 49 e 54) non trovi applicazione nel caso di specie, non risultando che la " G.G. e R." fosse impresa avente ad oggetto la "lavorazione della paglia".
Gli imputati vanno pertanto mandati assolti dal reato di cui al capo b) perchè il fatto non sussiste.
Va, infine ricordato, che l'avvenuta abrogazione del D.P.R. n. 547 del 1955 da parte del D.Lgs. 9 aprile 2008, n. 81 (art. 304) non incide sulla configurabilità del reato di cui al capo a), che continua ad essere previsto come reato dall'art. 64, art. 63, comma 1 (all. 4.4.1.3) art. 68, lett. b.
 
6) Il Tribunale ha fatto corretto uso del potere discrezionale nella determinazione della pena, facendo riferimento a tutti i criteri di cui all'art. 133 c.p. (peraltro le censure in proposito sono assolutamente generiche).
Per effetto dell'assoluzione dal reato di cui al capo b), va però escluso l'aumento per la continuazione, vale a dire Euro 1.400,00.
Conseguentemente la pena rimane fissata per il residuo reato di cui al capo a) nella misura di Euro 1.600,00 di ammenda secondo il calcolo già effettuato dal Tribunale (p.b. 2.400,00, ridotta di un terzo per le generiche).
Quanto alla doglianza contenuta nel ricorso di G.G. in ordine alla mancata concessione del beneficio delle non menzione, va ricordato che, a norma del D.P.R. 14 novembre 2002, n. 313, art. 3, non vanno iscritti nel casellario giudiziale i provvedimenti giudiziari penali di condanna "concernenti contravvenzioni per le quali la legge ammette la definizione in via amministrativa o l'oblazione limitatamente alle ipotesi di cui all'art. 162 c.p. e sempre che per quelli esclusi non sia stata concessa la sospensione della pena".

P.Q.M.
 
Annulla senza rinvio la sentenza impugnata limitatamente alla condanna per il capo b) dell'imputazione da cui assolve gli imputati perchè il fatto non sussiste ed elimina la relativa pena dell'ammenda di Euro 1.400,00. Rigetta i ricorsi nel resto.
Così deciso in Roma, il 3 marzo 2009.
Depositato in Cancelleria il 23 aprile 2009