Categoria: Cassazione penale
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Cassazione Penale, Sez. 3, 29 agosto 2019, n. 36612 - Norme di sicurezza nelle camere iperbariche


 

Presidente: LAPALORCIA GRAZIA Relatore: ROSI ELISABETTA Data Udienza: 15/05/2019

 

Fatto

 


1. Il Tribunale di Varese, con sentenza emessa in data 16 aprile 2018, ha condannato P.T. alla pena complessiva di euro 17.800,00 di ammenda perché riconosciuta colpevole, in quanto Amministratore Unico e legale rappresentante del Centro di Medicina Iperbarica del Verbano s.r.l., struttura convenzionata con la ASL di Varese, dei reati di cui al capo A), ex artt. 29 comma 3 e 55 comma 3, D. Lgs. n. 81 del 2008, capo B), ex artt. 63 comma 1 e 68 comma 2 D. Lgs. n. 81 del 2008, capo C), ex artt. 64 comma 1 lett. a) e 68 comma 1 lett. b) D. Lgs. n. 81 del 2008, capo D), ex artt. 71 comma 8 lett. b) punto due e 87 comma 2 lett. c) D. Lgs. n. 81 del 2008, capo E), ex artt. 37 comma 7 e 55 comma 5 lett. c) D. Lgs. n. 81 del 2008, e capo F), ex artt. 77 comma 5 e 87 comma 2 D. Lgs. n. 81 del 2008 (fatti accertati in Laveno Mombello il 21 aprile 2015 e l'1 settembre 2015), come dettagliatamente descritti nei capi di imputazione, condotte tutte collegate all'aggiornamento del documento di valutazione del rischio di incendio, alle prescrizioni in materia di sicurezza del lavoro, relative alla gestione del Centro sanitario correlato all'attività di terapia nelle camere iperbariche ed alla formazione del personale addetto a tali terapie.
2. L'imputata, tramite il proprio difensore di fiducia, ha proposto ricorso per cassazione, chiedendo l'annullamento della sentenza per i seguenti motivi:
1) Violazione di legge ex art. 606 lett. b) c.p.p. relativamente all'art. 29 comma 3 D. Lgs. 81/08, per insussistenza degli elementi oggettivi e soggettivi del reato, avendo la difesa fornito in sede dibattimentale prova documentale tanto dell'elaborazione del D.V.R. (documento di valutazione dei rischi), quanto della presenza di specifiche procedure di emergenza per il rischio incendi, contenute negli allegati acquisiti agli atti e dell'assenza delle circostanze previste dall'art. 29 comma 3 del D. Lgs. 81/08 che avrebbero imposto una modifica o un aggiornamento del DVR aziendale. Questi elementi avrebbero dovuto condurre ad una sentenza assolutoria per insussistenza del fatto per il capo A).
2) Violazione di legge ex art. 606 lett. b) c.p.p. relativamente agli artt. 63 e 64 del D. Lgs. 81/08, per insussistenza degli elementi oggettivi e soggettivi costitutivi dei reati di cui ai capi B) e C), nonché difetto di motivazione ex art. 606 lett. e) c.p.p. sul punto, in riferimento alle deposizioni dei testi S. e T., considerato che nell'istruttoria dibattimentale è stato provato che le porte di uscita del Centro e quelle delle camere iperbariche erano apribili facilmente ed in direzione dell'esodo, come prescrivono gli articoli in questione. Ha dunque errato il giudice della sentenza impugnata nel dichiarare la colpevolezza dell'imputata, sulla base della sola mancanza di maniglioni antipanico sulle porte in questione - nonostante nessuna norma in materia di sicurezza imponga questa specifica tipologia di maniglia - e per la presenza di catenacci a chiusura di tali porte, circostanza che la ricorrente ha giustificato nel corso del suo esame, chiarendo che i catenacci erano collocati al termine delle attività terapeutiche, alla chiusura del Centro.
2- bis) Violazione di legge ex art. 606 lett. b) c.p.p. relativamente all'art. 43 c.p. per insussistenza dell'elemento soggettivo dei reati ex artt. 63 e 64 D. Lgs 81/08, considerato che il Centro era già stato oggetto di numerosi sopralluoghi eseguiti da funzionari dell'ATS, senza che in nessuno di essi fu mossa alcuna critica o contestazione riguardo alle porte delle uscite di emergenza; al contrario, nel 2011, in occasione di un progetto di ristrutturazione del Centro, l'interpellata ATS Insubria, rappresentata dal Dott. R., lo stesso aveva dato parere positivo. Da questi elementi e dalle già citate testimonianze dei teste T. e S., è emersa la totale buona fede dell'imputata circa l'idoneità delle porte del Centro a garantire gli standard di sicurezza previsti ed imposti dalla legge. Il Tribunale avrebbe omesso di motivare su tali rilievi difensivi.
3) Violazione di legge ex art. 606 lett. b) c.p.p. per falsa ed errata applicazione dell'art. 77 comma 5 D. Lgs. 81/08, nonché travisamento dei fatti, tenuto conto che sembra che il giudicante abbia confuso la fattispecie di cui all'art. 37 comma 7 D. Lg. 81/08. "mancata formazione specifica del soggetto preposto alla camera iperbarica" con la contravvenzione prevista dall'art. 77 comma 5 stesso decreto, che invece prescrive una specifica formazione per l'uso di maschere antincendio appartenenti alla "terza categoria". Dall'istruttoria è difatti emerso come il preposto alla camera iperbarica, il Dott. B., aveva conseguito apposita specializzazione all'utilizzo di maschere antincendio, in quanto soggetto preposto all'istruzione dei pazienti del Centro al loro corretto utilizzo, secondo le linee-guida della regione Lombardia. Pertanto la previsione di tale sua formazione non doveva essere contenuta nel DVR, sia in quanto l'autorespiratore con maschera pieno facciale non rientra nella terza categoria di DPI prevista dall'art. 77 comma 5 D. Lgs. 81/08 (categoria che ha ottenuto specificazione nell'art. 4, comma 5 e 6, del D. Lgs. n. 475/92), sia perché la formazione specifica sull'uso di tale maschera è prescritta già dal regolamento regionale, nello specifico dalla delibera n. 49305 3.0 della Regione Lombardia.
 

 

Diritto

 


1. Va premesso che il quadro normativo relativo alla gestione della sicurezza nelle strutture sanitarie, in particolare in quelle che gestiscono la terapia con le camere iperbariche, è composto principalmente dal Testo Unico sulla sicurezza nei luoghi di lavoro ("TUSL" - d.lgs. 9 aprile 2008, n. 81) e dalle modifiche ad esso apportate dal d.lgs. n. 3 agosto 2009, n. 106, nonché dalla normativa di recepimento delle direttive europee in materia di dispositivi medici ed attrezzature a pressione (rispettivamente direttiva n. 93/42/CEE recepita con D.lgs. 46/1997 e direttiva n. 97/23/CE recepita con D. lgs. 93/2000: la finalità della disciplina europea è l'uniformazione dei criteri di valutazione del rischio nella progettazione e realizzazione delle apparecchiature mediche). Inoltre, nel giugno 2010 le procedure relative alle apparecchiature iperbariche, le tecniche di utilizzo, la formazione e la qualificazione del personale esposto all'iperbarismo sono state accreditate presso l'UNI (ente di unificazione normativa italiano) divenendo Norma UNI 11366. Tale norma è richiamata anche dal d.l. 24 gennaio 2012, art. 16, il quale prevede che le attività "di cui all'articolo 53 del decreto del Presidente della Repubblica 24 maggio 1979, n. 886, sono svolte secondo le norme vigenti, le regole di buona tecnica di cui alla norma UNI 11366". Il riferimento conferisce dunque alla norma un valore cogente. A tali disposizioni quindi la ASL ebbe a fare riferimento nel dettare le prescrizioni non ottemperate dalla ricorrente.
2. Il primo motivo di ricorso, afferente al capo A) dell'imputazione, con il quale si contesta l'omessa rielaborazione del documento di valutazione dei rischi tenendo in debito conto il rischio di incendio per l'uso in sicurezza delle camere iperbariche, non è fondato ed anzi è ai limiti dell'ammissibilità in quanto mira nella sostanza a sollecitare una nuova valutazione sulle acquisizioni probatorie. Deve innanzitutto essere ribadito il principio che in materia di prevenzione degli infortuni, il datore di lavoro, avvalendosi della consulenza del responsabile del servizio di prevenzione e protezione, ha l'obbligo giuridico di analizzare e individuare, secondo la propria esperienza e la migliore evoluzione della scienza tecnica, tutti i fattori di pericolo concretamente presenti all'Interno dell'azienda e, all'esito, deve redigere e sottoporre periodicamente ad aggiornamento il documento di valutazione dei rischi previsto dall'art. 28 del D.Lgs. n. 81 del 2008, all'Interno del quale è tenuto a indicare le misure precauzionali e i dispositivi di protezione adottati per tutelare la salute e la sicurezza dei lavoratori ( in tal senso, SSUU, n. 38343 del 24/04/2014, P.G., R.C., Espenhahn e altri, Rv. 261109, nella fattispecie la Corte ha confermato il giudizio di colpevolezza dell'amministratore delegato, dei dirigenti aziendali e del responsabile del servizio di prevenzione e protezione per la morte di alcuni dipendenti provocata dalla mancata adozione di efficaci misure antincendio sottovalutate nel documento di valutazione dei rischi).
3. Nella sentenza impugnata viene dato atto dell'ampia istruttoria svolta e si evidenziano i numerosi sopralluoghi effettuati, considerato che il Centro Medicina Iperbarica, gestito dalla ricorrente, era stato destinatario di un decreto di sospensione per sessanta giorni dell'autorizzazione all'esercizio, con diffida ad ottemperare alle indicazioni fornitegli. In particolare il giudice di merito ha richiamato gli specifici sopralluoghi effettuati dalla ASL di Varese per quanto attiene alla normativa in materia di igiene e sicurezza negli ambienti di lavoro (in data 19 aprile e 1 settembre 2015). Il Tribunale ha sottolineato l'esistenza di plurime versioni del documento di valutazione dei rischi, evidenziando come quello presente in azienda fosse diverso da quello trasmesso alla ASL ed allegato alla nota del 15 giugno 2015, che, peraltro, faceva riferimento ad una attività di montaggio di pneumatici per auto.
4. Quindi la motivazione che riconosce la responsabilità della ricorrente in relazione al capo A) risulta immune da censure, posto che non solo non è chiaro quale documento di valutazione dei rischi fosse effettivamente stato adottato, ma neppure lo stesso risultava avere analizzato lo specifico rischio di incendio, assai elevato nell'attività di terapia in camera iperbarica, come richiesto alla luce della normativa di settore e dei contenuti delle specifiche Linee Guida della Regione Lombardia, diramate a seguito del tragico incidente della Camera iperbarica dell'Ospedale Galeazzi.
5. Anche i motivi sviluppati ai punti 2) e 2-bis) in relazione ai capi B) e C) dell'imputazione risultano infondati. La sentenza impugnata è provvista di idonea motivazione in ordine all'assenza dei maniglioni antipanico ed alla collocazione invece del blocco di mezza anta per mezzo di catenacci, come riscontrato nel sopralluogo del 9 aprile 2015. La ricorrente lamenta la mancata valutazione di alcune testimonianze senza però allegare le stesse e senza descrivere neppure quali circostanze risolutive - non potendosi per esse intendere un giudizio personale del teste circa la asserita facilità di apertura delle porte - sarebbero emerse dalle loro dichiarazioni, circostanze in grado, cioè, di porre in dubbio la necessità di provvedere nelle porte i maniglioni antipanico per agevolare le vie di fuga. Nulla di risolutivo poteva essere riferito a fronte della constatazione che tali vie di fuga risultavano serrate dai catenacci, catenacci che furono rinvenuti in situ nell'orario del sopralluogo, orario che certamente non poteva essere coincidente con l'orario di chiusura del Centro medico.
6. Ai fini dell'osservanza del principio di specificità in relazione alla prospettazione di vizi di motivazione e di travisamento dei fatti, è necessario che il ricorso contenga la compiuta rappresentazione e dimostrazione di un'evidenza - pretermessa o infedelmente rappresentata dal giudicante - di per sé dotata di univoca, oggettiva ed immediata valenza esplicativa, in quanto in grado di disarticolare il costrutto argomentativo del provvedimento impugnato per l'intrinseca incompatibilità degli enunciati (in tal senso Sez.l, n. 54281 del 05/07/2017, Tallarico, Rv. 272492) e comunque n virtù della previsione di cui all'art. 606, comma primo, lett. e) cod. proc. pen. costituisce vizio denunciabile in cassazione la contraddittorietà della motivazione risultante dal testo del provvedimento impugnato, ovvero da altri atti del processo indicati nei motivi di gravame nonché l'errore cosiddetto revocatorio che cadendo sul significante e non sul significato della prova si traduce nell'utilizzo di una prova inesistente per effetto di una errata percezione di quanto riportato dall'atto istruttorio (cosiddetto travisamento della prova) (cfr. Sez. 5, n. 18542 del 21/01/2011, Carone, Rv. 250168). Nella sostanza l'imputata sostenendo la non necessità della presenza sulle porte dei c.d. maniglioni antipanico, finisce per contestare l'accertamento della ASL e le prescrizioni a fini antincendio dalla stessa imposte: la valutazione sull'ambito di tale prescrizione è già stata svolta dal giudice del merito e si tratta di valutazione di fatto estranea alla sede di legittimità. Né il richiamo ad un asserita violazione di legge risulta pertinente posto che la contravvenzione ascritta alla ricorrente attiene per l'appunto all'inottemperanza alle prescrizione imposte con nota del 21 aprile 2015.
7. Con il terzo motivo si contestano, in correlazione, le contravvenzioni contestate ai capi E) ed F), avendo in particolare riferimento la formazione del soggetto addetto alla camera iperbarica che deve essere in grado di gestire eventuali situazioni di emergenza indossando una maschera pieno-facciale, maschera che richiede un addestramento particolare per il suo utilizzo. Si lamenta una inesistente confusione tra le due imputazioni, che di contro risultano chiaramente descritte ed anche specificamente motivate sotto il profilo sia della loro sussistenza che della attribuibilità soggettiva nella sentenza qui impugnata (pagg. 5 e 6). Anche di tale censura va perciò rilevata la infondatezza.
Pertanto il ricorso deve essere rigettato ed al rigetto consegue, ex art. 616 c.p.p., la condanna della ricorrente al pagamento delle spese processuali.
 

 

P.Q.M.
 

 

Rigetta il ricorso e condanna la ricorrente al pagamento delle spese processuali. Così deciso in Roma, il 15 maggio 2019.