Cassazione Penale, Sez. 4, 18 settembre 2019, n. 38583 - Autotrasportatore sbranato dai cani nel piazzale di sosta degli autocarri. Pericolo noto e non adeguatamente fronteggiato dal datore di lavoro


 

Presidente: PICCIALLI PATRIZIA Relatore: PAVICH GIUSEPPE Data Udienza: 17/07/2019

 

Fatto

 

1. La Corte d'appello di Firenze, in data 15 settembre 2017, ha parzialmente riformato quanto a G.DL. - limitatamente all'eliminazione della condizione apposta alla sospensione condizionale della pena - la sentenza, per il resto confermata, con la quale lo stesso G.DL. era stato condannato dal Tribunale di Livorno il 21 dicembre 2015 per il delitto di omicidio colposo a lui contestato come commesso il 28 febbraio 2012 (capo A della rubrica), in esso assorbita la violazione dell'art. 15, d.lgs. n. 81/2008, a lui contestata al capo B.
1.1. Al G.DL., nella sua qualità di legale rappresentante della G.DL. Autotrasporti s.r.l. di Collesalvetti (LI) e di disponente di due piazzali confinanti tra loro (e separati da una recinzione in cui erano presenti numerosi varchi), si rimprovera di avere cagionato, per colpa generica (e per violazione dell'art. 15, D.Lgs. n. 81/2008 sopra citato), la morte dell'autotrasportatore V.G., trovato morto in uno dei due piazzali (adibito alla sosta degli autocarri) con il corpo straziato e circondato da otto cani di taglia medio-grossa; il decesso, in base a quanto ritenuto dai giudici di merito, era dovuto al fatto che il V.G. era stato sbranato dai cani, che da tempo stazionavano presso l'area attigua, affidati in via di fatto alle cure di tale T.R.. Costei viveva all'interno di una roulotte da tempo in sosta in detta area, assieme al compagno C.G. (collaboratore della ditta del G.DL.), e la loro presenza - come pure quella dei cani - era nota all'imputato, il quale aveva permesso loro di usufruire con apposito allacciamento dell'energia elettrica erogata a favore della società. In definitiva al G.DL. viene rimproverato di non avere impedito l'accaduto nonostante egli sapesse della presenza dei cani, costituenti pericolo per le persone presenti o di passaggio nelle due aree utilizzate dalla sua società, e di non avere garantito condizioni di sicurezza all'interno di dette aree, così ponendo in essere un fattore causale decisivo per il decesso del V.G..
1.2. La Corte di merito, dopo avere rigettato una serie di doglianze in rito formulate dalla difesa del G.DL., ha ritenuto che la tesi accusatoria meritasse conferma, escludendo la configurabilità di decorsi causali alternativi a quello dello sbranamento dei cani in danno della vittima e ascrivendo tale evento alla condotta omissiva dell'imputato.
2. Avverso la prefata sentenza ricorre il G.DL., con atto articolato in sette motivi di lagnanza, più un motivo nuovo.
2.1. Con il primo motivo il ricorrente denuncia mancata assunzione di prove decisive (art. 606, comma 1, lett. D, cod.proc.pen.) in relazione ad alcune fonti di prova di cui la difesa aveva chiesto la citazione alla Corte di merito, ossia al teste M. (che doveva risolvere le contraddizioni emerse nella deposizione della d.ssa N. in ordine alla non estraneità dei cani al piazzale ove essi furono catturati), ai vigili urbani C. e G. (che avrebbero dovuto riferire circa l'assenza dei cani in occasione di un loro sopralluogo nel 2010), alla teste Ri. (sulle modalità di trattazione della richiesta di affidamento dei cani: la RI. era stata peraltro indicata quale teste di riferimento dalla fonte Sonia F., dirigente dell'Unità organizzativa ambiente del Comune di Livorno), alla consulente tecnica d.ssa B., medico veterinario, e al consulente tecnico del P.M. dr. M., in ordine alla ricostruzione dello sviluppo causale del decesso. A fronte di ciò, la Corte di merito ha respinto la richiesta di rinnovazione dell'istruzione dibattimentale, sul rilievo che essa sarebbe stata superflua, ma senza sottoporre a scrutinio la specificità dei temi di prova e la loro rilevanza e senza considerare che l'audizione dei predetti dichiaranti era stata richiesta a titolo di prove contrarie, di tal che il rigetto dell'istanza, basato sull'identità soggettiva di alcuni di essi, é illegittimo, alla stregua delle indicazioni fornite dalla giurisprudenza di legittimità, in quanto la richiesta doveva essere valutata ai sensi dell'art. 190 cod.proc.pen. e non in base all'art. 603 cod.proc.pen.. Analogo vizio viene dedotto a proposito della mancata audizione del teste A.C., soggetto che si trovava in un piazzale a breve distanza da quello ove avvenne il fatto, indicato dalla difesa in relazione agli esiti della consulenza tecnica di tipo acustico dell'ing. F..
2.2. Con il secondo motivo il ricorrente lamenta violazione di legge processuale e mancata assunzione di prove decisive con riguardo all'omessa citazione del C.T. del P.M. dott. M., il quale era andato ben oltre l'oggetto della consulenza a lui affidata, elaborando un'ipotesi di ricostruzione della dinamica dei fatti: la descrizione ivi riportata, basata sul sopralluogo eseguito nell'immediatezza e qualificata come atto irripetibile, é stata recepita integralmente dai giudici, ma a fronte di ciò si imponeva il controllo dibattimentale, nel contraddittorio delle parti, delle affermazioni rese dal consulente, mediante esame del medesimo, non potendo essere sufficiente ad assicurare il contraddittorio stesso la mera lettura dell'elaborato.
2.3. Con il terzo motivo il ricorrente denuncia violazione di legge processuale in relazione al rigetto, da parte del primo giudice, della richiesta di escussione di alcuni testi di riferimento, ossia di Antonio N. e di Carlo S. (in ordine alla presenza dei cani nel piazzale) e di Giulia RI. (in ordine alla pratica di affidamento di 16 cuccioli, su richiesta della T.R., che già nel 2010 intendeva disfarsi dei cani); il Tribunale, respingendo la richiesta, aveva utilizzato tuttavia le testimonianze indirette a carico del G.DL.; e la Corte d'appello, a fronte della riproposizione della richiesta, l'ha disattesa qualificando le fonti di riferimento come manifestamente superflue, sebbene l'art. 195 cod.proc.pen. non attribuisca al giudice alcuna discrezionalità al riguardo.
2.4. Con il quarto motivo il ricorrente denuncia violazione di legge in relazione al mancato proscioglimento del G.DL. in ordine alla violazione di cui al capo B (art. 15, comma 1, lettera B, d.lgs. n. 81/2008), non costituente reato in quanto sprovvista di sanzione penale: in pratica il G.DL. era stato tratto a giudizio (anche) per un fatto non previsto dalla legge come reato, in violazione di diverse disposizioni di rango costituzionale e sovranazionale; ma, a fronte di ciò e nonostante le lagnanze difensive, la Corte di merito non ha ravvisato nell'occorso alcuna nullità, sebbene la decisione del Tribunale di Livorno di ritenere la violazione sub B assorbita in quella sub A implicasse una valutazione circa la configurabilità di un concorso apparente di norme, o di un concorso di reati, o di un reato complesso ecc..
2.5. Con il quinto motivo il deducente lamenta violazione di legge e vizio di motivazione circa la relazione intercorrente fra le omissioni contestate all'imputato e l'evento tipico della fattispecie di reato di cui al capo A: secondo il ricorrente doveva invero procedersi a una puntuale ricostruzione della dinamica dei fatti e a una verifica della posizione di garanzia ricoperta dall'imputato. Quanto al primo profilo, le censure del deducente si appuntano sulla questione dell'origine della ferita al vertice del capo, che diversamente da quanto asserito dalla Corte di merito é rimasta controversa: tale ferita é stata liquidata dalla Corte distrettuale come non autonomamente idonea a causare il decesso della vittima, ma in realtà costituirebbe elemento deponente per un'aggressione da parte di terzi cui conseguì uno stato di incoscienza del V.G. (aggressione che, pertanto costituirebbe antecedente causale necessario del decesso); tale ricostruzione porrebbe l'accaduto al di fuori dell'area di rischio prefigurata dall'art. 15, d.lgs. n. 81/2008 e dalle regole di comune diligenza richiamate nell'imputazione. Altro elemento controverso, a sua volta deponente per un'aggressione ad opera di terzi, é il taglio della cintura indossata dal V.G., che secondo la consulenza della difesa sarebbe stato eseguito con uno strumento tagliente e non in seguito a uno strappo dovuto alla trazione da parte dei cani, come sostenuto nella sentenza impugnata; ed ancora, a proposito del carattere di variabile vitalità delle lesioni riscontrate sul corpo del V.G., la Corte di merito aderisce acriticamente alle valutazioni del consulente tecnico M., il cui operato non é stato sottoposto al contraddittorio delle parti; tale percorso argomentativo risente della carente verifica in ordine alia ricostruzione dei fatti, di cui sono elementi sintomatici anche le modalità valutative degli ulteriori contributi dei consulenti, caratterizzate da scarso rigore logico. Quanto invece alla questione della posizione di garanzia dell'imputato rispetto alla presenza di cani sprovvisti di microchip, essa non poteva essere risolta in base alla posizione di legale rappresentante della società ricoperta dal G.DL. (che, in tale qualità, disponeva dei piazzali), come ha fatto la Corte territoriale: eppure, non vi era prova del fatto che fossero proprio i cani trovati accanto al cadavere ad avere posto in essere l'aggressione. In tal modo, vi é stata una violazione del principio di personalità della responsabilità penale, sia che si trattasse di animali di cui fosse possibile individuare un proprietario o un detentore (il quale ricoprirebbe in tal caso la posizione di garanzia), sia che si trattasse di cani randagi (nel qual caso sarebbe il Comune, unitamente all'A.S.L., a dover rispondere del loro agire dannoso). Quanto al G.DL., egli non tollerava la presenza dei cani nel piazzale e aveva proibito di dare loro da mangiare, chiedendo più volte alla T.R. e al C.G. di portarli via e richiedendo altresì l'intervento dell'autorità comunale per il tramite del dipendente Impastato (richiesta che la Corte di merito ha ritenuto non provata in base all'audizione di due dipendenti che, all'epoca della presentazione dell'esposto, non erano però più in servizio). Quanto alla T.R., la stessa, quand'anche fosse qualificabile come detentrice degli animali, aveva formalizzato all'autorità competente la sua intenzione di disfarsene. Segnala ulteriormente l'esponente l'inesigibilità e l'inattuabilità, da parte del G.DL., di misure di contenimento rispetto a un branco di cani di numero variabile; e, per converso, l'assenza di prove circa la pericolosità in concreto del branco e la sussistenza di ipotetici pregressi episodi di comportamenti pericolosi.
2.6. Con il sesto motivo il ricorrente lamenta violazione di legge e vizio di motivazione in relazione al diniego delle attenuanti generiche e, in generale, al trattamento sanzionatorio, pur a fronte del positivo giudizio sulla personalità dell'imputato in esito all'appello quoad poenam da parte della Procura generale territoriale.
2.7. Con il settimo motivo si denunciano violazione di legge sostanziale e processuale e vizio di motivazione in relazione alla condanna generica al risarcimento e all'assegnazione di una provvisionale senza tenere conto di quanto liquidato dall'INAIL alla famiglia della vittima, a titolo di rendita vitalizia.
2.8. Con il motivo nuovo depositato il 26 giugno 2019 il ricorrente lamenta violazione di legge (e mancata assunzione di prova decisiva) ed eccepisce questione di legittimità costituzionale in relazione agli artt. 190, 360, 431, 468, 495, 511 e 526 cod.proc.pen. in relazione agli artt. 3, 24 e 111 Cost.: riprendendo le argomentazioni già formulate a proposito del mancato esame dibattimentale del consulente medico-legale del P.M. dott. M., e ricordando quanto stabilito dagli artt. III Cost. e 6 Convenzione E.D.U. a proposito del diritto dell'accusato di interrogare e far interrogare le persone che rilasciano dichiarazioni a suo carico, il deducente richiama plurime pronunce della Corte di Strasburgo e denuncia la violazione del principio del contraddittorio insita in un'interpretazione delle norme processuali (in specie, dell'art. 360 cod.proc.pen.) che precluda la facoltà di rivolgere domande all'esperto di medicina legale. Con ampio percorso argomentativo, il ricorrente sostiene che il diritto all'assistenza all'accertamento tecnico irripetibile non può soddisfare in modo compiuto il diritto al contraddittorio, che solo nel dibattimento può trovare piena esplicazione; che nella specie l'irripetibilità non riguardava esclusivamente l'esame autoptico, ma anche un sopralluogo eseguito dal dr. M. prima del conferimento dell'incarico; e che, a fronte di ciò, l'esame orale in aula avrebbe invece consentito alla parte di verificare l'attendibilità delle conclusioni cui il consulente era pervenuto in ordine a una molteplicità di aspetti rimasti inesplorati secondo il ricorrente (e puntualmente elencati alle pagine da 7 a 9 del motivo nuovo in esame). Con ampi richiami alla giurisprudenza di legittimità e alla dottrina in tema di prova scientifica, il ricorrente conclude affermando che il contraddittorio orale costituisce un momento ineliminabile nell'iter di formazione di tale categoria di prove. Sotto altro profilo, il ricorrente esclude che la mancata riserva di incidente probatorio possa costituire una forma di "consenso dell'Imputato" ex art. III, comma 5, Cost., quale eccezione alla regola di formazione della prova in contraddittorio (tale facoltà di consenso é attribuita all'Imputato, non alla persona sottoposta ad indagini; essa non é ipotizzabile qualora essa preceda la formazione dell'atto che documenta il mezzo di prova, non potendo in tal caso essere volontaria e consapevole). Infine, il ricorrente ribadisce la decisività della consulenza tecnica del dr. M. ai fini della decisione di condanna.
3. All'odierna udienza i difensori di parte civile avv. S. (nell'interesse di S.V., G.V., G.VA. e S.A) e avv. L. (nell'interesse di G.M., G.A., G.An. e G.R.) hanno rassegnato conclusioni scritte e depositato note spese.
 

 

Diritto

 


1. Il primo motivo di ricorso é infondato e, per certi versi, generico.
Ed invero, per nessuna delle prove di cui il ricorrente lamenta la mancata assunzione egli ha fornito elementi univocamente deponenti per la decisività delle stesse.
Si ricorda che, per pacifica giurisprudenza di legittimità, deve ritenersi "decisiva", secondo la previsione dell'art. 606 lett. d) cod. proc. pen., la prova che, confrontata con le argomentazioni contenute nella motivazione, si riveli tale da dimostrare che, ove esperita, avrebbe sicuramente determinato una diversa pronuncia; ovvero quella che, non assunta o non valutata, vizia la sentenza intaccandone la struttura portante (ex multis Sez. 4, Sentenza n. 6783 del 23/01/2014, Di Meglio, Rv. 259323).
Nella specie, in nessuno dei casi prospettati può parlarsi di sicura rilevanza determinante, né di prova la cui mancata assunzione o valutazione abbia travolto i fondamenti stessi della sentenza: nel caso del teste M. era già stato adeguatamente esplorato il tema della non estraneità dei cani al piazzale ove furono catturati, e non vi sono elementi per ritenere che l'esame avrebbe realmente chiarito l'asserita contraddittorietà delle dichiarazioni della d.ssa N.i (contraddittorietà che peraltro è frutto di una valutazione meramente soggettiva); quanto ai vigili urbani C. e G., costoro avrebbero dovuto riferire in ordine a un sopralluogo risalente a due anni prima; quanto alla teste RI., la proposizione dell'istanza di affidamento dei cani é circostanza pacifica, mentre non sono stati chiariti dal ricorrente - se non con un cenno all'asserita esigenza di aiutare a comprendere chi fosse il soggetto responsabile in base alla natura giuridica del branco - gli aspetti in base ai quali sarebbero state decisive le modalità di trattazione della pratica da parte dell'U.O.A. del Comune di Livorno. Infine, quanto ai consulenti tecnici d.ssa B. e dr. M. e al teste .C., deve osservarsi che il ricorrente non ha chiarito gli aspetti decisivi delle suddette fonti di prova, limitandosi a dare una sommaria indicazione dei temi di prova che avrebbe inteso esplorare con la loro audizione (per quanto in particolare riguarda la richiesta di audizione del dr. M., si vedranno più ampiamente infra, in relazione al secondo e al quinto motivo di lagnanza, le ulteriori ragioni che ne escludevano la necessità e - a ben vedere - la decisività).
Quanto, poi, al fatto che la Corte di merito non abbia posto rimedio al rigetto, da parte del Tribunale, delle richieste di prova contraria avanzate dalla difesa, va premesso che il diritto alla controprova, come quello alla prova diretta, soggiace ai limiti costituiti dalla rilevanza e alla pertinenza, nel senso che non può tradursi nel diritto all'assunzione di prove manifestamente superflue o irrilevanti (cfr. Sez. 2, Sentenza n. 31883 del 30/06/2016, Di Rocco, Rv. 267483); ciò non significa peraltro che la parte richiedente vanti una sorta di diritto potestativo all'assunzione delle prove contrarie, dovendo pur sempre demandarsi alla Corte di merito la valutazione di cui all'art. 190 cod.proc.pen. anche in sede di richiesta di rinnovazione dell'istruzione dibattimentale (cfr. Sez. 6, Sentenza n. 48645 del 06/11/2014, G. e altro, Rv. 261256). Ed invero, la Corte gigliata ha, per l'appunto, eseguito siffatta valutazione, dandone conto nella motivazione della sentenza impugnata (pp. 25-26) e ancorando la propria decisione ad un'ampia disamina delle ragioni per le quali, a fronte della ridondanza dei mezzi di prova chiesti in primo grado dalla difesa e della sommaria indicazione dei capitoli di prova, il Tribunale livornese ha selezionato le fonti di prova in base a una valutazione di effettiva utilità e di esclusione di quelle manifestamente sovrabbondanti, in piena coerenza con i principi di cui agli artt. 190, 468 comma 2 e 495 cod.proc.pen..
2. E' infondato anche il secondo motivo di ricorso; e, con esso, va ritenuto infondato anche il motivo nuovo che ne integra i contenuti.
Va osservato infatti che la consulenza in materia medico-legale rientra fra gli atti non ripetibili che, in mancanza della riserva di promozione di incidente probatorio, vanno inseriti nel fascicolo per il dibattimento ex art. 431, lett. c), cod. proc. pen. e sono, pertanto, utilizzabili, per pacifica giurisprudenza di legittimità, indipendentemente dall'esame del consulente (cfr. Sez. 1, Sentenza n. 8082 del 11/02/2010, Visentin, Rv. 246328; Sez. 1, Sentenza n. 1000 del 21/12/1995 - dep. 30/01/1996, BelIinghieri e altro, Rv. 204060): di tal che, già sotto questo profilo, risulta evidente che quella di sottoporre il consulente ad esame non é un'imposizione del codice, ma una scelta che sfugge a qualsiasi automatismo e la cui mancata adozione non inficia di per sé il rispetto del contraddittorio; quanto poi al fatto che, nella sua relazione, il dott. M. ebbe a formulare un'ipotesi di ricostruzione dell'accaduto, ciò non significa che egli sia andato oltre l'oggetto della consulenza a lui affidata, ma solo che egli ha raccordato le proprie valutazioni a tale ipotesi. Né può affermarsi (come fa il ricorrente) che da tali valutazioni siano direttamente dipese, nel percorso argomentativo della sentenza impugnata, l'individuazione delle regole cautelari violate, o l'affermazione della prevedibilità ed evitabilità dell'accaduto da parte del G.DL., questioni necessariamente legate ad altri e diversi elementi probatori. Quanto alle considerazioni svolte nel motivo nuovo, all'evidenza - e per quanto fin qui detto - esse risultano infondate laddove sollecitano un'interpretazione dell'art. 360 cod.proc.pen. orientata nel senso di ricavarne l'obbligatorietà dell'esame dibattimentale del consulente tecnico, la cui necessità od opportunità é in realtà discrezionalmente valutata dal giudice, come affermato dalla giurisprudenza di legittimità, in piena armonia con gli invocati principi costituzionali e sovranazionali: ciò anche in considerazione del fatto che l'accertamento tecnico irripetibile svolto dallo stesso consulente é caratterizzato a sua volta da una forma di contraddittorio, che può manifestarsi o attraverso l'obbligo di avviso al difensore, oppure attraverso la facoltà di formulare riserva di promuovere incidente probatorio, facoltà che - come testualmente affermato dall'art. 360, comma 4, cod.proc.pen. - é attribuita alla «persona sottoposta alle indagini».
Per il resto, avuto riguardo alle considerazioni che precedono, la questione di legittimità costituzionale dell'art. 360 cod.proc.pen. é manifestamente infondata; e quella relativa alle altre disposizioni di legge indicate in titolo dal ricorrente é a sua volta manifestamente infondata, oltreché irrilevante, in quanto del tutto generica e non argomentata.
3. E' pure infondato il terzo motivo di ricorso.
E' ben vero che le testimonianze indirette implicano l'obbligo di citazione della fonte di prova diretta, sanzionato a pena di inutilizzabilità della testimonianza de relato nel caso in cui il giudice abbia omesso la citazione dei testimoni diretti, nonostante l'espressa richiesta di parte.
Nondimeno, l'inutilizzabilità di detti testi, nel caso di specie, sarebbe comunque limitata ad aspetti dei quali la Corte di merito ha chiarito l'irrilevanza ai fini del decidere (pag. 28 sentenza impugnata) a fronte delle rimanenti acquisizioni probatorie, o per l'intrinseca mancanza di pertinenza rispetto al thema decidendum. Ne deriva, attraverso il ricorso al meccanismo della c.d. prova di resistenza, l'assenza di riflessi sulla decisione impugnata delle prove che si assumono inutilizzabili.
4. Il quarto motivo é manifestamente infondato, oltreché caratterizzato da carenza di concreto interesse da parte del ricorrente.
Non si vede in base a quale specifica invalidità processuale possa essere argomentata la dedotta nullità della richiesta di rinvio a giudizio in relazione al fatto che, al capo B della rubrica (poi dichiarato assorbito nel paradigma dell'imputazione di cui al capo A), venisse contestata una condotta non autonomamente sanzionata sotto il profilo penale. Soprattutto non é dato ravvisare alcuno specifico meccanismo, codificato dal legislatore, in base al quale l'errore nella qualificazione reitaria di una condotta (che il legislatore non sanziona penalmente, ma che é descritta come violazione del generale dovere di adozione di misure di tutela della salute e della sicurezza dei lavoratori nei luoghi di lavoro) debba propagarsi a quella descritta in altro capo d'imputazione (ossia quello di cui al capo A); ciò vale soprattutto quando, come nella specie, detto errore sia stato corretto nel corso dello stesso giudizio (nel senso che la descrizione della condotta dell'Imputato di cui a! capo A é stata integrata con quella - si ripete, non provvista di autonoma sanzione penale - descritta al capo B). 
E' noto, del resto, che, nel vigente sistema processuale, vi é un principio generale di tassatività delle nullità (art. 177 cod.proc.pen.): principio che, nella specie, non é stato in alcun modo violato. Risulta peraltro immutata la descrizione delle condotte contestate al G.DL.; ed é dunque pieno e impregiudicato l'esercizio, da parte sua, del diritto di difesa. Né, del resto, dal sopra descritto errore nella contestazione e dalla suindicata modifica dell'enunciato imputativo egli ha riportato alcuna conseguenza pregiudizievole: dal che consegue (anche) la carenza di interesse da cui é affetta la lagnanza in esame.
5. E' parimenti infondato il quinto motivo di ricorso.
La Corte di merito, in relazione ai punti dedotti nel motivo di che trattasi, risulta avere fatto buon governo delle prescrizioni legislative che si assumono violate, avendo correttamente ricostruito sia la serie causale, sia la violazione di obblighi giuridici gravanti sul G.DL., sia i profili inerenti all'elemento psicologico del reato; inoltre, non é incorsa in alcun vizio di illogicità e contraddittorietà della motivazione, laddove l'illogicità va riferita alla violazione di principi della logica formale diversi dalla contraddittorietà o dei canoni normativi di valutazione della prova ai sensi dell’art. 192 cod. proc. pen., ovvero alla invalidità o alla scorrettezza dell'argomentazione per carenza di connessione tra le premesse della abduzione o di ogni plausibile nesso di inferenza tra le stesse e le conclusioni (Sez. 1, Sentenza n. 53600 del 24/11/2016, dep. 2017, Sanfilippo e altro, Rv. 271636); mentre, quanto alla contraddittorietà, non é sufficiente a configurarla il mero contrasto tra due proposizioni del tessuto motivazionale, essendo altresì necessario che la inconciliabilità degli enunciati contrastanti, nel complessivo impianto del costrutto argomentativo posto a fondamento della decisione, risulti tale da comprometterne l'assetto e la tenuta della sequela logico giuridica (Sez. 1, Sentenza n. 5718 del 19/12/2013, dep. 2014, Mondi, Rv. 259409).
Ciò posto, quanto all'aspetto concernente la ferita al capo rilevata sul V.G., di cui non é stato possibile stabilire la causa (stanti i pareri controversi dei consulenti di parte sul punto), é assodato che tale ferita non costituì la causa del decesso, avvenuto per dissanguamento; peraltro, quand'anche essa fosse stata prodotta da un corpo contundente come ipotizzato dalla difesa (ipotesi del tutto congetturale e che i giudici di merito hanno ritenuto poco credibile), o anche da un urto accidentale, ed avesse cagionato uno stordimento del V.G., resta il fatto - ampiamente illustrato dalla Corte di merito - che successivamente egli fu aggredito dai cani, di riconosciuta aggressività, che vennero poi trovati sul posto sporchi di sangue dal dipendente della ditta C. (sul punto v. infra: i dubbi manifestati al riguardo dalla difesa appaiono nell'essenziale tesi a sollecitare una rivalutazione del materiale probatorio, non proponibile in questa sede); pertanto, si pone ugualmente il problema di valutare la posizione di garanzia del G.DL. ratione loci e la sua consapevolezza della presenza di animali pericolosi, di cui si dirà fra un attimo.
Del tutto congetturale é risultata anche la tesi del taglio della cintura con uno strumento tagliente, che se utilizzato per aggredire il V.G. avrebbe potuto cagionarne la morte per dissanguamento (sulla questione, appaiono corrette e pertinenti le considerazioni svolte dalla Corte fiorentina a pagina 32 della sentenza impugnata).
Quanto all'irrilevanza del fatto che il consulente tecnico del P.M. dott. M. non sia stato sottoposto ad esame, e che siano state direttamente utilizzate le sue valutazioni contenute nella consulenza medico-legale da lui redatta, si rimanda alla giurisprudenza richiamata relativamente al secondo motivo di ricorso (v. supra) e alle considerazioni ivi svolte.
Nel motivo di ricorso in esame, il deducente ha anche contestato la configurabilità di una posizione di garanzia in capo al G.DL..
Anche tale tesi é priva di fondamento.
Non rileva, infatti, la circostanza che gli animali fossero nella disponibilità di altra persona (ad esempio la T.R.) o fossero randagi.
Ciò che rileva, infatti, é in primo luogo che il G.DL. - quale titolare della G.DL. Autotrasporti e, come tale, di disponente dell'area ove insistevano i due piazzali di fatto tra loro comunicanti - era a conoscenza della più o meno costante presenza dei cani all'interno della suddetta area e del fatto che di essi si occupava la T.R., che dava loro da mangiare (come da lui ammesso in sede d'esame); ed anzi di tale presenza egli si era a suo dire lamentato, proibendo alla T.R. e al C.G. di nutrire gli animali, mettendo a disposizione della T.R. il fax della ditta per la richiesta di affido e sollecitando il dipendente I. a presentare denuncia al Comune (denuncia della quale non si é peraltro trovato riscontro agli atti dell'amministrazione comunale). A fronte di ciò, la Corte distrettuale ha riportato con dovizia di particolari (pp. 37 - 40 sentenza impugnata) gli elementi che rendevano nota ed evidente la pericolosità dei suddetti animali, di taglia medio-grossa, e la loro tendenza all'aggressività (descritta in particolare dal teste Daly, che di un'aggressione fu vittima nel 2011 anche se senza conseguenze lesive, e dal teste operante B., che ha riferito di un'aggressione dei cani a una pattuglia di servizio il 24 febbraio 2012, ossia quattro giorni prima del tragico episodio per cui si procede).
Di fatto, evidenzia la Corte di merito, il G.DL., pur al corrente della situazione, dopo avere assunto le iniziative da lui riferite, non ha comunque verificato in alcun modo se esse avessero avuto seguito, e se la situazione fosse mutata o meno. Ed é di tutta evidenza che egli, nella sua più volte ricordata qualità, era responsabile della sicurezza per le persone presenti o in transito nell'area utilizzata dalla sua società (costituita dai due piazzali di cui si é detto) e, non curandosi della persistente e notoria presenza dei suddetti animali, costituenti notorio pericolo per chiunque si trovasse per qualsivoglia motivo nella suddetta area, ha certamente agito in modo quanto meno negligente ed ha altresì posto in essere una violazione degli obblighi datoriali, di portata generale, relativi alla prevenzione e alla valutazione dei rischi presenti nei luoghi di lavoro, di cui all'art. 15, d.lgs. n. 81/2008 (cfr. Sez. 4, Sentenza n. 45808 del 27/06/2017, Rv. 271079): obblighi che, come noto, il datore di lavoro ha nei confronti di tutti i soggetti che prestano la loro opera nell'Impresa, senza distinguere tra lavoratori subordinati e persone estranee all'ambito imprenditoriale (cfr. Sez. 7, Ordinanza n. 11487 del 19/02/2016, Lucchetti, Rv. 266129); con la conseguenza che, diversamente da quanto asserito dal ricorrente, la violazione degli obblighi suddetti ha determinato la concretizzazione di un rischio governato dal G.DL. nella sua qualità.
In estrema sintesi, con tale violazione, riferita a un pericolo a lui noto (il cui concretizzarsi era perciò certamente prevedibile) e non adeguatamente fronteggiato, il G.DL. ha creato le condizioni perché si verificasse l'aggressione ai danni del V.G. ad opera dei cani presenti in uno dei piazzali della ditta comunicante con quello ove avvenne il tragico episodio.
Deve, inoltre, constatarsi l'assenza di decorsi causali alternativi: a fronte dei dubbi espressi dal ricorrente circa una possibile aggressione da parte di terzi ai danni della vittima, e in ordine alla riconducibilità ai cani dell'aggressione de qua, la sentenza impugnata richiama a pagina 3 la deposizione del teste C., che aveva riferito al Tribunale circa la scoperta del corpo del V.G. circondato dai cani, alcuni dei quali erano sporchi di sangue; e valorizza, peraltro, il dato - riferito da più fonti di prova - della spiccata aggressività degli animali.
6. Il sesto motivo é anch'esso infondato, rasentando anzi la manifesta infondatezza. La motivazione con la quale la Corte di merito, pur respingendo il gravame del Procuratore generale teso a ottenere una rideterminazione in peius della pena, ha nondimeno escluso - in termini del tutto esenti da contraddittorietà - la concedibilità delle attenuanti generiche al G.DL., valorizzando il fatto che la sua condotta colposa si era protratta per un lungo arco temporale, avendo avuto egli conoscenza, da tempo, della presenza degli animali nell'area utilizzata dalla sua ditta. In tal modo la sentenza impugnata risulta in linea con i principi affermati in subiecta materia dalla Corte di legittimità, secondo la quale, nel motivare il diniego della concessione delle attenuanti generiche, non é necessario che il giudice prenda in considerazione tutti gli elementi favorevoli o sfavorevoli dedotti dalle parti o rilevabili dagli atti, ma é sufficiente che egli faccia riferimento a quelli ritenuti decisivi o comunque rilevanti, rimanendo tutti gli altri disattesi o superati da tale valutazione (Sez. 3, Sentenza n. 28535 del 19/03/2014, Lule, Rv. 259899).
7. E', infine, manifestamente infondato il settimo motivo di ricorso. Secondo la costante, e mai disattesa, giurisprudenza di legittimità, in tema di risarcimento di danni scaturenti da reato, é legittima l'assegnazione di una somma a titolo di provvisionale in favore della vittima di infortunio sul lavoro, nei cui confronti sia stata già disposta rendita Inail, la quale non risarcisce i danni morali conseguenti al reato. La predetta provvisionale, stante il carattere di provvisorietà, non pregiudica in alcun modo la liquidazione definitiva del danno e, pertanto, non é suscettibile di censura, in ordine al quantum, in sede di legittimità (Sez. 4, Sentenza n. 16541 del 30/11/1990, Vico F., Rv. 186107).
8. Al rigetto del ricorso segue la condanna del ricorrente al pagamento delle spese processuali, nonché alla rifusione delle spese di lite sostenute dalle parti civili rappresentate dall'avv. S. (S.V., G.V., G.VA. e S.A.) e dall'avv. L. (G.M., G.A., G.An. e G.R.), che vengono liquidate come da dispositivo.
 

 

P.Q.M.
 

 

Rigetta il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle spese processuali, nonché alla rifusione delle spese sostenute dalle costituite parti civili, che liquida:
- quanto a S.V., G.V., G.VA. e S.A. in complessivi euro 4.000,00 oltre accessori come per legge;
- quanto a G.M., G.A., G.An. e G.R. in complessivi euro 4.000,00 oltre accessori come per legge. in complessivi euro 4.000,00 oltre accessori come per legge;
Così deciso in Roma il 17 luglio 2019.