Cassazione Civile, Sez. Lav., 02 ottobre 2019, n. 24629 - Caduta dell'apprendista carpentiere. Omessa sorveglianza


Presidente: MANNA ANTONIO Relatore: BERRINO UMBERTO Data pubblicazione: 02/10/2019

 

Fatto

 


La società Edil N.M. propose appello avverso la sentenza con la quale il giudice del lavoro del Tribunale di Salerno aveva accolto la domanda di regresso esercitata dall'Inail nei suoi confronti per l'importo di € 41.261,24 in relazione alle prestazioni erogate al dipendente N.M. infortunatosi sul lavoro.
La Corte d'appello di Salerno (sentenza del 18.11.2013) ha respinto l'impugnazione dopo aver rilevato che l'azione di regresso poteva essere proposta dall'Inail anche in mancanza di accertamento del reato in sede penale e che, comunque, la datrice di lavoro si era resa responsabile dell'infortunio di cui trattasi per omessa sorveglianza.
Per la cassazione della sentenza ricorre la società Edil N.M. con due motivi, cui resiste l'Inail con controricorso.
 

 

Diritto

 


1. Col primo motivo la ricorrente deduce l'erronea ed omessa applicazione di legge, in relazione all'art. 360 n. 3 c.p.c., degli artt. 10 e 11 del D.P.R. n. 1124/65, obiettando che non sussistevano i presupposti per l'esercizio dell'azione di regresso nei suoi confronti, non essendo stata accertata la sua responsabilità penale in ordine all'infortunio occorso al N.M., ai sensi del combinato disposto degli artt. 2043 cod. civ. e 185 cod. pen., che il suo comportamento non era stato ne doloso, né colposo, e che i presupposti per l'affermazione della sua responsabilità civile non potevano ritenersi sussistenti per effetto della redazione del solo verbale della Polizia di Stato di sequestro del cantiere del 12.1.1996, contenente la sola descrizione dello stato dei luoghi, senza alcun accertamento circa l'adozione o meno di misure di sicurezza.
2. Col secondo motivo, formulato per erronea ed omessa applicazione di legge, in relazione all'art. 360 n. 3 c.p.c., dell'art. 2087 cod. civ., la ricorrente lamenta l'erronea rappresentazione dei dati di fatto dedotti dall'istituto assicuratore, non corrispondenti alla loro reale dinamica, in conseguenza dei quali si verificò l'infortunio oggetto di causa. Invero, i giudici di merito non avevano tenuto conto dell'eccepita insussistenza di comportamenti eseguiti in violazione della norma di cui all'art. 2087 cod.civ., in quanto sul lato del condominio ove si era verificato l'infortunio non erano presenti impalcature, mentre il personale della ditta stava eseguendo solo la preparazione dell'intonaco all'interno dei balconi esistenti, 
forniti di parapetti ed ai quali si accedeva dall'interno degli appartamenti; inoltre, il comportamento del lavoratore infortunatosi era stato assolutamente anomalo, imprevisto e non autorizzato, essendo il suo compito solo quello di preparare l'intonaco all'interno del balcone, mentre il medesimo aveva arbitrariamente posizionato una tavola per passare sul balcone laterale al quale avrebbe potuto accedere dall'interno dell'edificio. Quanto all'eccezione dell'istituto, accolta dai giudici di merito, circa il fatto che l'infortunato era un'apprendista al quale avrebbe dovuto essere affiancato un operaio esperto, la ricorrente osserva non solo che l'attività pretesa dall'Infortunato era estremamente semplice ed adatta alla sua funzione, ma anche che l'art. 11 della legge n. 25 del 1955 sull'apprendistato non prevedeva tra gli obblighi del datore di lavoro quello di dover affiancare all'apprendista un operaio esperto.
3. Il primo motivo è infondato, essendo consolidato l'orientamento di legittimità circa l'insussistenza della necessità di un previo accertamento in sede penale del fatto costituente reato ai fini della possibilità per l'istituto assicuratore di esperire l'azione di regresso, tanto che costituisce oramai principio consolidato quello dell'autonomia del giudizio di regresso rispetto a quello condotto in sede penale (v. C. Cost. n. 102 del 1981 che ha dichiarato l'illegittimità costituzionale del combinato disposto degli artt. 10 e 11 d.P.R. 30 giugno 1965, n. 1124, nella parte in cui preclude in sede civile l'esercizio del diritto di regresso dell'INAIL nei confronti del datore di lavoro qualora il processo penale promosso contro di lui o di un suo dipendente per il fatto dal quale l'infortunio è derivato si sia concluso con sentenza di assoluzione, malgrado che l'Istituto non sia stato posto in grado di partecipare al detto procedimento penale).
Si è, infatti, affermato (Cass. sez. lav. n. 2138 del 5.2.2015) che << In tema di assicurazione obbligatoria contro gli infortuni sul lavoro, ai fini del sorgere del credito dell'INAIL nei confronti della persona civilmente obbligata, è necessario che il fatto costituisca reato perseguibile d'ufficio, ma l'accertamento giudiziale, sempre che si renda necessario in mancanza di adempimento spontaneo del soggetto debitore o di bonario componimento della lite, può avvenire sia in sede penale che in sede civile>> (conf. a Cass. Sez. lav. n. 11986 del 17.5.2010 e n. 6749 del 10.7.1998). 
Al riguardo si è anche statuito (Cass. sez, lav. n. 9601 del 14.7.2001) che <<In base al diritto vivente formatosi anche in seguito ai numerosi interventi della Corte costituzionale in materia, l'azione di regresso dell'INAIL nei confronti del datore di lavoro o dei suoi preposti alla direzione dell'azienda o alla sorveglianza dell'attività lavorativa, ritenuti civilmente responsabili di un infortunio verificatosi in danno di un dipendente è esercitabile autonomamente senza dover necessariamente attendere l'instaurazione o l'esito del procedimento penale per il fatto da cui è derivato l'infortunio e senza che, quindi, assuma alcun rilievo l'eventuale conclusione di tale ultimo procedimento con un provvedimento di archiviazione o di proscioglimento in sede istruttoria>>.
Da ultimo si è, altresì, chiarito (Cass. sez. lav. n. 27102 del 25.10.2018) che <<In base all'art. 295 c.p.c., il giudizio instaurato dall'INAIL nei confronti del datore di lavoro, ex art. 11 d.P.R. n. 1124 del 1965, per ottenere il rimborso di quanto corrisposto al lavoratore per effetto di un infortunio sul lavoro non è soggetto a sospensione necessaria in attesa dell'esito del procedimento penale a carico del datore di lavoro per i medesimi fatti, giacché, in applicazione dell'art. 654 c.p.p., l'efficacia della emananda sentenza penale di condanna o di assoluzione non potrà fare stato nei confronti dell'INAIL, che non è parte nel giudizio penale e che non era legittimato a costituirsi, trattandosi non della proposizione di un'azione civile per le restituzioni e il risarcimento del danno da reato, ma dell'azione di regresso, diversa da quelle considerate dall'art. 74 c.p.p.>>.
4. Quanto al secondo motivo va preliminarmente osservato che lo stesso, seppur formulato come vizio di violazione di legge, implica, in realtà, per come è stato prospettato, una rivisitazione del merito istruttorio che nel giudizio di legittimità non è consentita. In ogni caso, il motivo è infondato, posto che non risulta superata la "ratio decidendi" formatasi sull'accertamento della sussistenza delle condizioni di rischio cui era stato esposto l'apprendista e sulla mancanza della prova liberatoria da parte della datrice di lavoro.
5. In effetti, con motivazione congrua ed immune da rilievi di legittimità, la Corte territoriale ha posto bene in evidenza che l'infortunato, il quale lavorava come giovane apprendista, era caduto dal secondo piano mentre passava da un balcone all'altro dell'edificio oggetto di intervento, servendosi di tavole di legno da lui stesso approntate; il suo compito era quello di preparare l'intonaco stando all'interno del balcone, ma l'infortunato aveva dichiarato che doveva passare all'altro balcone, per cui logicamente la Corte ha tratto il convincimento sulla necessità dell'operazione, così come ha avuto modo di accertare che quella parte dello stabile era sprovvista di impalcatura e che l'apprendista non era dotato di cinture di sicurezza ed era stato lasciato solo a svolgere il suo lavoro, senza essere affiancato da un operaio esperto, per cui era evidente una responsabilità della datrice di lavoro per omessa sorveglianza.
6. Giova, al riguardo, ricordare che con costante orientamento di legittimità si è affermato che le norme dettate in tema di prevenzione degli infortuni sul lavoro sono dirette a tutelare il lavoratore non solo dagli incidenti derivanti dalla sua disattenzione, ma anche da quelli ascrivibili ad imperizia, negligenza ed imprudenza dello stesso, con la conseguenza che il datore di lavoro è sempre responsabile dell'infortunio occorso al lavoratore, sia quando ometta di adottare le idonee misure protettive, sia quando non accerti e vigili che di queste misure venga fatto effettivamente uso da parte del dipendente, non potendo attribuirsi alcun effetto esimente, per l'imprenditore, all'eventuale concorso di colpa del lavoratore, la cui condotta può comportare l'esonero totale del medesimo imprenditore da ogni responsabilità solo quando presenti i caratteri dell'abnormità, inopinabilità ed esorbitanza rispetto al procedimento lavorativo ed alle direttive ricevute, così da porsi come causa esclusiva dell'evento, essendo necessaria, a tal fine, una rigorosa dimostrazione dell'indipendenza del comportamento del lavoratore dalla sfera di organizzazione e dalle finalità del lavoro, e, con essa, dell'estraneità del rischio affrontato a quello connesso alle modalità ed esigenze del lavoro da svolgere (v. Cass. Sez. Lav. n. 4656 del 25.2.2011, n. 19494 del 10.9.2009, n. 9689 del 23.4.2009, n. 4980 dell'8.3.2006, n. 5920 del 24.3.2004)
Tra l'altro, proprio con riferimento alla circostanza, ritenuta nell'impugnata sentenza di non scarso rilievo, per la quale l'infortunato era un giovane apprendista carpentiere che necessitava, in quanto tale, di essere affiancato da un operaio esperto, questa Corte ha già avuto occasione di affermare (Cass. sez. lav. n. 11622 del 18.5.2007) che <<Il dovere di sicurezza a carico del datore di lavoro a norma dell'art. 2087 cod. civ., assolto con l'adozione di tutte le cautele necessarie ad evitare il verificarsi dell'evento dannoso ed anche con l'adozione di misure relative all'organizzazione del lavoro, tali da evitare che lavoratori inesperti siano coinvolti in lavorazioni pericolose, si atteggia in maniera particolarmente intensa nei confronti dei lavoratori di giovane età e professionalmente inesperti, esaltandosi in presenza di apprendisti nei cui confronti la legge pone precisi obblighi di formazione e addestramento, tra i quali primeggia l'educazione alla sicurezza del lavoro (art. 11, legge n. 25 del 1955). Conseguentemente, l'accertato rispetto delle norme antinfortunistiche di cui agli artt. 47 e 48 del d.P.R. n.626 del 1994 e dell'allegato VI a tale decreto, non esonera, il datore di lavoro, dall'onere di provare di aver adottato tutte le cautele necessarie ad impedire il verificarsi dell'evento, con particolare riguardo all'assetto organizzativo del lavoro, specie quanto ai compiti dell' apprendista, alle istruzioni impartitegli, all'informazione e formazione sui rischi nelle lavorazioni, senza che in contrario possa assumere rilievo l'imprudenza dell'infortunato nell'assumere, come nella specie, un'iniziativa di collaborazione nel cui ambito l'infortunio si sia verificato>> (in senso conf., in tema di sicurezza degli apprendisti sui luoghi di lavoro, v. Cass. Sez. 3, n. 944 del 24.1.2012)
7. Per quel che concerne, invece, l'ipotesi del c.d. rischio elettivo si è di recente ribadito (Cass. sez. lav. n. 798 del 13.1.2017) che << In tema di infortuni sul lavoro e di cd. rischio elettivo, premesso che la "ratio" di ogni normativa antinfortunistica è quella di prevenire le condizioni di rischio insite negli ambienti di lavoro e nella possibile negligenza, imprudenza o imperizia degli stessi lavoratori, destinatari della tutela, la responsabilità esclusiva del lavoratore sussiste soltanto ove questi abbia posto in essere un contegno abnorme, inopinabile ed esorbitante rispetto al procedimento lavorativo ed alle direttive ricevute, cosi da porsi come causa esclusiva dell'evento e creare condizioni di rischio estranee alle normali modalità del lavoro da svolgere. In assenza di tale contegno, l'eventuale coefficiente colposo del lavoratore nel determinare l'evento è irrilevante sia sotto il profilo causale che sotto quello dell'entità del risarcimento dovuto>> (in senso conf. v. anche Cass. sez. lav., ord. n. 16026 del 18.6.2018).
8. Pertanto, il ricorso va rigettato. 
Le spese di lite seguono la soccombenza della ricorrente e vanno liquidate come da dispositivo.
Ricorrono i presupposti per la condanna della ricorrente al pagamento dell'ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello dovuto per il ricorso, a norma dell'art. 13 del d.p.r. n. 115/2002.
 

 

P.Q.M.

 


La Corte rigetta il ricorso. Condanna la ricorrente al pagamento delle spese nella misura di € 5.200,00, di cui € 5.000,00 per compensi professionali, oltre spese generali al 15% ed accessori di legge.
Ai sensi dell'art. 13 comma 1 quater del d.P.R. n. 115 del 2002, dà atto della sussistenza dei presupposti per il versamento, da parte della ricorrente, dell'ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello dovuto per il ricorso, a norma del comma 1-bis dello stesso art. 13.
Così deciso in Roma il 28 maggio 2019