Cassazione Civile, Sez. Lav., 02 ottobre 2019, n. 24628 - Decesso per malattia professionale. Mancanza di nesso causale


Presidente: MANNA ANTONIO Relatore: BERRINO UMBERTO Data pubblicazione: 02/10/2019

 

Fatto

 


La Corte d'appello di Catanzaro (sentenza del 22.4.2014) ha rigettato l'impugnazione proposta da M.O. avverso la sentenza del Tribunale di Cosenza che le aveva respinto la domanda volta al riconoscimento della pensione di reversibilità del coniuge C.G. che, secondo la tesi della ricorrente, era deceduto il 27.8.2006 a causa di malattia professionale.
Ha spiegato la Corte territoriale che la consulenza d'ufficio espletata in secondo grado aveva consentito di appurare che la causa del decesso del C.G. non era riconducibile alla denunziata malattia professionale della silicosi, bensì alle differenti patologie della melena e della ematemesi da rottura di varici esofagee, dipendenti da una epatite C, dalla quale era poi derivata la cirrosi epatica HCV correlata.
Per la cassazione della sentenza ricorre M.O. con due motivi, illustrati da memoria, cui resiste l'Inail con controricorso.
 

 

Diritto

 


1. Con un primo motivo la ricorrente deduce l'omesso esame circa un fatto decisivo per il giudizio che è stato oggetto di discussione tra le parti, (art. 360, comma 1, n. 5 cod. proc. civ.)
2. Con un secondo motivo la ricorrente lamenta la violazione e falsa applicazione di norme di diritto. (art360, comma 1, n. 3 cod. proc. civ.)
3. In particolare la ricorrente si duole del fatto che la Corte d'appello ha basato il proprio convincimento sugli esiti della consulenza tecnica d'ufficio espletata in secondo grado, omettendo di esaminare le risultanze della relazione tecnica di parte depositata in atti, ed aggiunge che il perito d'ufficio di seconde cure aveva sposato la tesi del precedente consulente senza aver svolto un esame più approfondito delle patologie che avevano afflitto il C.G.. A tal riguardo M.O. precisa che, pur non escludendosi che le cause principali del decesso del suo dante causa fossero da addebitare alla cirrosi ed alla epatite, non era nemmeno da escludere che unitamente a queste ultime vi fossero concause dirette o indirette, posto che un'attenta lettura dell'elaborato peritale di parte avrebbe consentito di far ritenere provata l'esistenza della malattia silicotica e del nesso di causalità tra la stessa e l'evento morte.
4. Osserva preliminarmente la Corte che il secondo motivo è inammissibile in quanto lo stesso si sostanzia in una generica deduzione del vizio di violazione di legge, senza alcuna specificazione delle norme che sarebbero state violate dalla Corte territoriale riguardo all'adottata decisione di rigetto.
Invero, nel ricorso per cassazione il vizio della violazione e falsa applicazione della legge di cui all'art. 360, primo comma n. 3, cod. proc. civ., giusta il disposto di cui all'art. 366, primo comma n. 4, cod. proc. civ. deve essere, a pena d'inammissibilità, dedotto mediante la specifica indicazione delle affermazioni in diritto contenute nella sentenza gravata che motivatamente si assumano in contrasto con le norme regolatrici della fattispecie o con l'interpretazione delle stesse fornita dalla giurisprudenza di legittimità o dalla prevalente dottrina, non risultando altrimenti consentito alla S.C. di adempiere al proprio compito istituzionale di verificare il fondamento della denunziata violazione (in tal senso v. Cass. Sez. 3, n. 14832 del 27.6.2007).
5. E', invece, infondato il primo motivo, proposto per omesso esame di fatto decisivo per il giudizio che è stato oggetto di discussione tra le parti, risolvendosi lo stesso, sia in una mera richiesta di rivisitazione del merito istruttorio, già adeguatamente scrutinato dalla Corte territoriale, non consentita nel giudizio di legittimità, soprattutto alla luce del novellato art. 360 n. 5 cod. proc. civ. in tema di restringimento dei poteri di controllo delle valutazioni eseguite dal giudice del merito, sia nella formulazione di in un mero dissenso diagnostico delle risultanze peritali poste a base dell'impugnata decisione di rigetto, senza alcuna denunzia di discostamento di quest'ultima dai canoni scientifici.
6. Infatti, la ricorrente si è limitata a contestare genericamente la decisione della Corte di merito per il solo fatto che la stessa era basata sulle conclusioni del perito d'ufficio che, a suo giudizio, non avrebbero tenuto conto dei rilievi del consulente di parte. Inoltre, la ricorrente, pur ammettendo che non poteva escludersi che le cause principali del decesso del suo dante causa fossero da addebitare alla cirrosi ed alla epatite, ha sostenuto che altre concause dirette o indirette del decesso erano evincibili, a suo dire, da un'attenta lettura dell'elaborato peritale di parte che avrebbe consentito di appurare l'esistenza della malattia silicotica e del nesso di causalità tra la stessa e l'evento morte. 
7. Orbene, va ricordato che la valutazione espressa dal giudice di merito in ordine alla obbiettiva esistenza delle infermità ed alla loro natura ed entità, costituisce tipico accertamento di fatto incensurabile in sede di legittimità quando è sorretto, come nella fattispecie, da motivazione immune da vizi logici e giuridici che consenta di identificare l'iter argomentativo posto a fondamento della decisione.
In effetti, allorquando il giudice di merito fondi, come nel caso in esame, la sua decisione sulle conclusioni del consulente tecnico d'ufficio, facendole proprie, perché i lamentati errori e lacune della consulenza determinino un vizio di motivazione della sentenza di merito, censurabile in sede di legittimità, è necessario che essi siano la conseguenza di errori dovuti alla documentata devianza dai canoni della scienza medica o di omissione degli accertamenti strumentali e diagnostici dai quali non si possa prescindere per la formulazione di una corretta diagnosi.
Quindi, sotto questo specifico aspetto, non è sufficiente, per la sussistenza del vizio di motivazione, la mera prospettazione di una semplice difformità tra le valutazioni del CTU e quella della parte circa l'entità e l'incidenza del dato patologico, poiché in mancanza degli errori e delle omissioni sopra specificate le censure di difetto di motivazione costituiscono un mero dissenso diagnostico non attinente a vizi del processo logico e si traducono in una inammissibile richiesta di revisione del merito del convincimento del giudice (cfr. tra le tante Cass. n. 7341/2004; in senso conforme v. Cass. Sez. Lav., n. 9988 del 29.4.2009 e Sez. 6 - L, ord. n. 1652 del 3.2.2012).
Va, infatti, rilevato che, nella fattispecie, alla valutazione del consulente tecnico d'ufficio recepita dal giudice di appello la ricorrente ha contrapposto un diverso apprezzamento sulla possibile esistenza di concause dirette o indirette dell'evento morte del suo dante causa, senza però evidenziare alcuna specifica carenza o deficienza diagnostica o errore scientifico della relazione del consulente d'ufficio condivisa dalla Corte di merito, bensì limitandosi ad esprimere una diversa valutazione del quadro patologico e a lamentarsi genericamente della omessa considerazione dei rilievi svolti dal consulente di parte. 
8. Quando al lamentato vizio motivazionale si osserva che nel sistema l'intervento di modifica dell'art. 360 c.p.c., n. 5 comporta un'ulteriore sensibile restrizione dell'ambito di controllo, in sede di legittimità, del controllo sulla motivazione di fatto. Invero, si è affermato (Cass. Sez. Un., 7 aprile 2014, n. 8053) essersi avuta, con la riforma dell'art. 360 c.p.c., n. 5, la riduzione al minimo costituzionale del sindacato sulla motivazione in sede di giudizio di legittimità, per cui l'anomalia motivazionale denunciabile in questa sede è solo quella che si tramuta in violazione di legge costituzionalmente rilevante e attiene all'esistenza della motivazione in sè, come risulta dal testo della sentenza e prescindendo dal confronto con le risultanze processuali, e si esaurisce, con esclusione di alcuna rilevanza del difetto di sufficienza, nella mancanza assoluta di motivi sotto l'aspetto materiale e grafico, nella motivazione apparente, nel contrasto irriducibile fra affermazioni inconciliabili, nella motivazione perplessa ed obiettivamente incomprensibile.
Ma è evidente che nella specie la valutazione operata dalla Corte d'appello non denota alcuna delle predette anomalie, avendo la stessa chiaramente spiegato che la consulenza d'ufficio espletata in secondo grado e supportata dalla documentazione clinica esibita aveva consentito di appurare che la causa del decesso del C.G. non era riconducibile alla denunziata malattia professionale della silicosi, bensì alle differenti patologie della melena e della ematemesi da rottura di varici esofagee, dipendenti da una epatite C, dalla quale era poi derivata la cirrosi epatica HCV correlata. Quindi, sulla base di tali risultanze, la Corte di merito ha evidenziato che la patologia cardiaca e quella epatica erano state nel corso degli anni la causa principale dei vari ricoveri, così come la patologia epatica era stata la causa della morte, mentre la malattia della silicosi nulla aveva avuto a che fare col decesso, in quanto il quadro silicotico era da inquadrare al primo stadio, senza complicanze respiratorie.
9. In definitiva, il ricorso va rigettato.
Le spese di lite seguono la soccombenza della ricorrente e vanno liquidate come da dispositivo.
Ricorrono i presupposti per la condanna della ricorrente al pagamento dell'ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello dovuto per il ricorso, a norma dell'alt. 13 del d.p.r. n. 115/2002.
 

 

P.Q.M.

 


La Corte rigetta il ricorso. Condanna la ricorrente al pagamento delle spese nella misura di € 3.200,00, di cui € 3.000,00 per compensi professionali, oltre spese generali al 15% ed accessori di legge.
Ai sensi dell'art. 13 comma 1 quater del d.P.R. n. 115 del 2002, dà atto della sussistenza dei presupposti per il versamento, da parte della ricorrente, dell'ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello dovuto per il ricorso, a norma del comma 1-bis dello stesso art. 13.
Così deciso in Roma il 28 maggio 2019