Categoria: Cassazione civile
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Cassazione Civile, Sez. 6, 16 ottobre 2019, n. 26190 - Aggravamento della patologia dovuto ad un ritardo della diagnosi da parte del medico competente


Presidente: DORONZO ADRIANA Relatore: RIVERSO ROBERTO Data pubblicazione: 16/10/2019

 

 

Considerato che
la Corte d’appello di Lecce sezione distaccata di Taranto con sentenza n.67/2017, accogliendo l’appello proposto da M.M. ha riconosciuto che l’aggravamento accertato con TAC del torace del 2007 del carcinoide bronchiale, già evidenziato all’esito del controllo radiologico di routine eseguito presso l’Ilva spa nel novembre 2002, era dipeso dal “ritardo nella diagnosi” ed aveva prodotto a carico dell’appellante un danno biologico pan al 6% condannando l’Inail alle prestazioni di legge, oltre accessori.
Contro la sentenza ha proposto ricorso per cassazione l’Inail con due motivi; ai quali ha resistito M.M. con controricorso. L’Inail ha depositato memoria.
 

 

Rilevato che
L- col primo motivo il ricorso deduce violazione e falsa applicazione dell’articolo 3 del d.p.r. 30 giugno 1965 n. 1124 ex art. 360 n. 3 c.p.c. per avere la Corte d’appello accolto la domanda del lavoratore e riconosciuto il suo diritto al danno biologico nella misura del 6%, pur essendo stata riscontrata la natura di malattia comune dell’accertata neoplasia polmonare.
2. - Con il secondo motivo il ricorso denuncia la violazione dell’articolo 132, comma 1 n. 4 c.p.c., nonché dell’articolo 111 Cost. ( ai sensi dell’articolo 360 n. 3 c.p.c.) per avere la Corte d’appello accolto la domanda del lavoratore sulla base della considerazione espressa dal CTU nominato nel secondo grado secondo cui il quadro accertato a mezzo TAC del torace nel 2007 rappresentasse un aggravamento del processo patologico già emerso nel 2002 , non approfondito con esami strumentali epperciò non trattato in maniera tempestiva e consona.
3. Il Collegio reputa che i due motivi di ricorso, da esaminare unitariamente per la connessione delle censure, siano inammissibili.
4. - Ed invero, va rilevato, anzitutto, che la motivazione della sentenza impugnata esiste ed è idonea a rendere intellegibili le ragioni di fatto e di diritto della decisione, attraverso il richiamo del contenuto essenziale della ctu medico legale espletata in fase di gravame.
5. - Va inoltre considerato che - secondo quanto risulta dal controricorso - l’appello proposto dal lavoratore avverso la sentenza di primo grado sollevava specificamente, tra l’altro, la questione dell’incidenza del ritardo nella diagnosi da parte del medico competente aziendale nel processo causale del danno riportato dal lavoratore in conseguenza della patologia sofferta; questione su cui, per contro, nulla dice il ricorso dell’INAIL.
6. - Le stesse censure sollevate nei motivi di ricorso non si confrontano, in realtà, con la ratio decidendi della pronuncia impugnata: la quale non ha condannato l’INAIL a pagare un indennizzo in relazione all’esistenza di una malattia comune, come in esse si suppone. Ma ha, bensì, accertato che la patologia tumorale, di origine comune, avesse subito un successivo aggravamento legato ad un fattore di carattere professionale; fattore che la Corte territoriale ha in effetti identificato, sulla scorta della ctu, nel ritardo della diagnosi da parte del medico aziendale e del correlato trattamento terapeutico.
7. - Ed è proprio sulla scorta di tale preliminare accertamento che la Corte territoriale si è limitata a condannare l'INAIL al pagamento del solo indennizzo relativo alla percentuale di danno biologico prodotto dall’aggravamento ritenuto di natura professionale, nella percentuale pure quantificata dal ctu.
8. - Su tutti questi punti essenziali della decisione il ricorso dell’INAIL risulta privo di specificità dal momento che nulla dice se rientri nella nozione di rischio tutelato ex art. 3 TU 1124/1965, alla stregua dell’evoluzione impressa al concetto dalla giurisprudenza di questa Corte (su cui , da ultimo, sent. n.20774/2018 e ord. n. 5066/2018 ), anche l’aggravamento professionale che derivi da un ritardo della diagnosi da parte del medico aziendale e del correlato trattamento terapeutico, secondo la ratio decidendi accolta dal giudice d’appello.
9. - In definitiva, per le riportate ragioni, il ricorso deve essere dichiarato inammissibile. Le spese seguono la soccombenza come in dispositivo.
10. - Deve darsi atto che sussistono le condizioni richieste dall'art. 13, comma 1 quater del d.P.R. n. 115 del 2002 per il raddoppio del contributo unificato a carico del ricorrente.
 

 

P.Q.M.
 

 

La Corte dichiara l’inammissibilità del ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle spese processuali liquidate in complessive € 2.200 di cui € 2.000 per compensi professionali, oltre al 15% per spese generati ed accessori di legge. Ai sensi dell’art.13, comma 1-quater D.P.R. n.115 del 2002 si da atto della sussistenza dei presupposti per il versamento da parte del ricorrente dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello dovuto per il ricorso principale a norma del comma 1 -bis dello stesso art. 13.
Roma, così deciso nella camera di consiglio del 7.5.2019 e del 3 luglio 2019 in seguito a riconvocazione.