Cassazione Penale, Sez. Fer., 07 novembre 2019, n. 45317 - Caduta dall'alto. Il CSE non può rispondere per la mancata predisposizione di cautele in un'opera non prevista nel contratto di appalto


 

La Corte territoriale, senza approfondire la questione relativa all'inquadramento del rischio, sostanzialmente addebita al C.S.E. di non avere previsto che la Lisar s.p.a, una volta smontati i pannelli laterali, avrebbe dovuto o voluto continuare a lavorare, e che di conseguenza le lavorazioni Lisar sarebbero rimaste esposte agli agenti esterni ed alla polvere, se non si fosse provveduto a creare una barriera fisica. Da questa mancata previsione e dalla mancata predisposizione nel P.S.C. di opportuni accorgimenti al riguardo, sarebbe derivato il rischio di soluzioni improvvisate, come quella escogitata dal dirigente (di fatto) della Lisar, ing. G.L., che aveva comportato la necessità di salire degli operai sulla copertura, per stendere i teli laterali, a protezione delle produzioni.
Ora, la Corte non si fa carico di distinguere fra l'ipotesi in cui una simile attività, consistente nella copertura laterale del capannone, coincida con segmento delle previsioni del contratto di appalto (fra Lisar s.p.a. e Sarroch Granulati s.r.l.) -così rientrando fra le attività rispetto alle quali si sarebbe dovuta verificare la necessità di predisporre, con il P.S.C., prescrizioni relative alle possibili interferenze- e quella in cui la sua esecuzione derivi da una estemporanea decisione del datore di lavoro (e per lui del suo dirigente). Né si avvede che, in questo secondo caso, in assenza di una previsione contrattuale, non potrebbe ascriversi al C.S.E (e prima a C.S.P.) di non avere predisposto cautele per un'opera non prevista, non potendo certamente egli provvedere per opere che le parti contrattuali non hanno inteso realizzare.


 

Presidente: DIOTALLEVI GIOVANNI Relatore: NARDIN MAURA Data Udienza: 29/08/2019

 

Fatto

 

1. Con sentenza del 13 giugno 2018 la Corte di Appello di Cagliari ha confermato la sentenza del Tribunale di Cagliari con cui M.S.V. è stato ritenuto responsabile del reato di cui all'art. 590, comma 3 cod. pen. perché nella sua qualità di coordinatore per l'esecuzione dei lavori di ampliamento della lavanderia Usar s.p.a., omettendo di verificare l'applicazione da parte della Sarroch Granulati s.r.l., appaltatrice dei lavori, della disposizione contenuta nel Piano di sicurezza e coordinamento (P.S.C.) che prevedeva l'installazione, in ipotesi di lavori di svolgersi sopra i lucernai, di tavole riparatrici, nonché di verificare l'idoneità del Piano operativo di sicurezza (P.S.O.) rispetto al P.S.C. in relazione all'evoluzione dei lavori ed alle modifiche intervenute in corso d'opera cagionava a P.M., per colpa consistita nella violazione dell'art. 92 comma 1 d.lgs. 81/2008, lesioni gravi (politrauma con indebolimento permanente della funzione psichica e della funzione prensile) da cui derivava l'incapacità di attendere alle ordinarie occupazioni per 365 giorni.
2. Il fatto materiale, come risultante dalle sentenze di merito, può essere così riassunto: nel corso di lavori di ampliamento del capannone della società Lisar s.p.a., appaltati alla Sarroch Granulati s.r.l., non essendo stata interrotta all'interno della struttura l'attività produttiva della Lisar, nonostante lo smontaggio di pannelli verticali prefabbricati di tamponatura, al fine di evitare l'esposizione delle attrezzature e delle lavorazioni agli agenti atmosferici ed alle polveri di cantiere, fu disposto da G.L., consulente della Lisar, con incarichi 'di fatto’ dirigenziali, di porre a protezione delle aperture laterali dell'immobile alcuni teloni di plastica, appositamente acquistati. Alla stesura dei teloni provvedettero inizialmente i soli operai della Lisar indi, nella fase conclusiva, G.L. dispose che P.M., dipendente della Sarroch Granulati, con qualifica di capocantiere e gli operai dell'appaltatrice collaborassero per terminare la messa in opera. Gli operai incaricati per accedere al tetto utilizzavano un cestello, assicurandosi al medesimo con le cinture di sicurezza, che venivano sganciate nel momento in cui dovevano salire sulla copertura, ove non c'era possibilità di utilizzarle. Il giorno del sinistro -il lavoro era iniziato probabilmente il giorno prima- il dipendente della Sarroch Granulati S.R., salì con il cestello, assicurato con la cintura, al fine di iniziare la stesura dei teli nella terza parte del capannone, mentre gli operai della Lisar imbracavano i teli sulla gru per portarli in quota. S.R. dopo avere sganciato un telo dalla gru, lo appoggiò a circa un metro di distanza dal bordo della copertura ed attese che qualcuno lo raggiungesse per aiutarlo a stenderlo. Dopo qualche minuto intervenne P.M., salito evidentemente con altri mezzi (una scala a pioli venne rinvenuta appoggiata alla trave del solaio in costruzione). Durante la stesura, P.M., presumibilmente nell'atto di arretrare per srotolare il telo, calpestò un lucernaio in vetroresina, che si sfondò, facendolo precipitare al suolo da un'altezza di circa sette metri. A seguito della caduta P.M. riportò trauma cranico con emorragia sub aracnoidea e focolaio lacero contuso frontale sinistro, ferita lacerocontusa del capo in regione occipitale destra, nonché della mano sinistra, trauma toracico con pneumotorace, atelattasia e versamento pleurico a destra, frattura della scapola, della clavicola e fratture costali multiple a destra, contusione polmonare sinistra, falda di versamento periepatico e frattura del radio sinistro.
3. La sentenza della Corte territoriale, rigettando l'appello proposto da M.S.V., conferma la sussistenza della condotta colposa dell'imputato consistita nella violazione degli obblighi di cui all'art. 92, comma 1 d.lgs. 81/2008 ed in particolare, nell'omesso adeguamento del P.S.C in relazione all'evoluzione dei lavori ed alle modifiche intervenute nello svolgimento delle opere, rilevando che il piano di sicurezza e coordinamento conteneva -peraltro nella seconda parte e non nella prima dedicata all'individuazione ed all'analisi dei rischi concreti di ciascuna fase di lavorazione- solo la previsione astratta e generica di possibili rischi inerenti alla caduta dall'alto e delle relative misure di prevenzione da adottare. E ciò, nonostante egli avesse potuto verificare nella medesima giornata del sinistro l'iniziativa assunta dalla Usar consistente nella stesura dei teli di plastica a copertura dei pannelli laterali del capannone, non originariamente prevista. Alla negligenza nell'effettuazione dei controlli si aggiunge, secondo il giudice di appello, l'impropria 'delega' conferita dall'imputato ad altri soggetti partecipanti ad una riunione di coordinamento, consistente nella richiesta di essere avvisato ogni qualvolta si presentassero in itinUre mutamenti in ordine all'esecuzione del progetto, benché gli obblighi di supervisione competessero solo al C.S.E.. Essendo i lucernai posti sul tetto privi di capacità portante, al fine di evitare il pericolo di caduta essi avrebbero dovuto essere protetti con una rete permanente contro lo sfondamento o con tavole riparatrici del carico in caso di calpestio, accorgimenti non adottati. Il rischio di caduta dall'alto, nella ricostruzione della Corte cagliaritana, era noto a tutti, al C.S.E. M.S.V., ai datori di lavoro Sarroch s.r.l. (il cui legale rappresentante S.P. è stato separamente giudicato) e Lisar s.p.a. (il cui legale rappresentante è deceduto nel corso del procedimento), posto che in ogni caso è prassi salire sulla copertura di un capannone per svolgere l'attività di manutenzione, sicché in assenza di specifica previsione nel P.S.C., il mancato aggiornamento del piano, di competenza dell'imputato, a mezzo della valutazione di modalità operative per lo svolgimento in sicurezza di lavori non previsti in appalto, costituisce condotta colposa causalmente connessa con l'evento, evitabile, eventualmente, anche con la sospensione delle operazioni, fino alla piena realizzazione delle condizioni di salvaguardia della salute dei lavoratori.
4. Avverso la sentenza della Corte di appello di Cagliari propone ricorso M.S.V. affidandolo a sei distinti motivi.
5. Con il primo fa valere, ex art. 606, primo comma, lett.re b) ed e) la violazione della legge penale, con riferimento all'art. 92 d.lgs 81/2008, nonché il vizio di motivazione. Osserva che la Corte territoriale, affermando la sussistenza della colpa specifica consistita nell'omesso aggiornamento del piano di sicurezza e coordinamento da parte del C.S.E., a seguito della verifica da parte sua dell'iniziativa assunta in cantiere con la stesura dei teli di plastica a copertura dei pannelli laterali, omette di esaminare i motivi di appello formulati sul punto. Assume che con il gravame si era segnalato non solo l'estemporaneità dell'attività decisa dal dirigente Lisar nel richiedere una lavorazione non prevista in appalto, ma che la previsione relativa ai rischi dei lavori in quota era contenuta nel P.S.C., così come ivi erano indicati i presidi da adottare. Sottolinea che, diversamente da quanto sostenuto dai giudici di entrambi i gradi di giudizio di merito, il P.S.C. è documento unitario e che, pertanto, quanto contenuto nella seconda parte - ove era trattato il rischio da lavoro in quota- non ha minor cogenza di quanto contenuto nella prima. Rileva che lo specifico addebito relativo alla delega di funzioni, che si asserisce essere stata conferita all'esito della riunione di coordinamento del 8 novembre 2011, si fonda sull'errata qualificazione della richiesta di segnalazioni da parte degli addetti, in modo da rendere più penetrante il controllo del C.S.E., e che la formalizzazione di una simile delega si scontra con l'accertata costante presenza in cantiere di M.S.V.. Denuncia la confusione fra il ruolo del C.S.E. e quello del datore di lavoro, emergente da entrambe le sentenze di merito, e ricorda che l'operazione nel corso della quale si è verificato l'infortunio non era prevista dall'appalto, non era stata comunicata né alla Lisar, né alla Sarroch Granulati, ma era stata decisa autonomamente da G.L. che vi aveva illegittimamente impiegato anche i dipendenti dell'appaltatrice.
6. Con il secondo motivo lamenta ex art. 606, comma 1A lett.re b) ed e) la violazione di legge penale in relazione all'art. 92 d.lgs. 81/2008. ed il vizio di motivazione. Censura la sentenza impugnata nella parte in cui individuando i compiti del C.S.E. li sovrappone a quelli del datore di lavoro. Al coordinatore per l'esecuzione, al contrario, compete solo 'l'alta vigilanza' sulle lavorazioni in ordine alla verifica del rischio interferenziale fra le attività riconducibili ad imprese diverse e non il controllo continuativo sull'osservanza delle prescrizioni previste dal P.O.S., come articolate dal P.S.C., che deve essere svolto a cura del datore di lavoro. Osserva che la lavorazione -nel cui ambito si è verificato il sinistro- non era stata contrattualmente prevista, così che, in assenza della prospettiva di un rischio interferenziale fra imprese diverse, non poteva esserci alcun onere in capo al C.S.E.. Siffatto rischio, peraltro, non è stato identificato dai giudici del merito, che hanno finito per far coincidere i compiti gravanti sul coordinatore per l'esecuzione con quelli del datori di lavoro e del preposto della Usar.
7. Con il terzo motivo fa valere la violazione di legge sempre con riferimento all'art. 92 d.lgs. 81/2008. ed il vizio di motivazione sotto il profilo dell'illogicità, della contraddittorietà e della carenza. Ricorda che, nonostante l'errata lettura della Corte territoriale, il dovere di 'alta vigilanza' consiste in azioni di coordinamento, di informazione e di verifica dell'adeguatezza sostanziale delle disposizioni contenute nel piano di sicurezza e coordinamento. E si realizza con l'identificazione di momenti topici delle lavorazioni, attraverso la mediazione delle attività delle imprese esecutrici, ma non nella diuturna presenza in cantiere e nell'esplicazione di un intervento diretto ed immediato, spettante a datore di lavoro, ed alle figure operative dei dirigenti e del preposto, ma estraneo al C.S.E.. Questi, infatti, agisce in modo formalizzato, a mezzo di procedure, governando la generale conformazione del cantiere, la configurazione delle lavorazioni, in presenza aumentato rischio di infortuni, dovuto alla contemporanea attività di più imprese e non presiedendo al controllo continuativo delle lavorazioni, né alla contingenza quotidiana dei rischi da queste derivanti. Nel caso di specie, dunque, l'infortunio occorso non costituisce la realizzazione di un rischio interferenziale, ma nel rischio specifico del datore di lavoro Usar. Osserva che ignorando siffatta distinzione fra le competenze i giudici di merito hanno fondato l'affermazione di responsabilità dell'imputato su un'interpretazione estensiva del ruolo del C.S.E., largamente superata dalla giurisprudenza più recente.
8. Con il quarto motivo fa valere il vizio motivazione della sentenza impugnata in relazione all'affermazione dell'omessa ottemperanza da parte dell'imputato dell'onere di aggiornamento del P.S.C., nonostante l'intervenuta presa visione dell'iniziativa assunta con la stesura dei teli di plastica a protezione delle lavorazioni svolte internamente al capannone e nonostante la mancata previsione delle medesime in fase di progettazione. Osserva come il P.S.C. (allegato ai fini dell'autosufficienza) prevedesse espressamente i rischi inerenti ai lavori in quota ed in particolare sulle coperture ed i lucernai, chiarendo le cautele da adottare, individuati in primo luogo nell'accertamento della resistenza meccanica delle coperture ed indi, in ipotesi di dubbia resistenza, nell'apposizione di tavole sopra le orditure o sottopalchi, facendo uso, in ogni caso, delle cinture di sicurezza. Ed aggiunge che i lavoratori erano dotati di dispositivi di protezione individuali (DPI), utilizzati da tutti anche nell'occasione, fuorché dalla persona offesa, come pacificamente emerso in giudizio.
9. Con il quinto motivo si duole del vizio di cui all'art. 606, comma 1A lett. e) cod. proc. pen. in ordine alla mancata motivazione sulla causalità della condotta colposa addebitata a M.S.V., avendo la Corte omesso un effettivo giudizio controfattuale, semplicemente individuando la condotta antidoverosa nella mera osservanza del precetto senza valutare se la concreta realizzazione della condotta doverosa avrebbe impedito l'evento.
10. Con il sesto motivo lamenta ex art. 606, comma 1 lett. b) ed e) la violazione della legge penale in relazione agli artt. 40, 41, 43 cod. pen. ed il vizio di motivazione, sotto il profilo della carenza, per avere trascurato, nonostante la proposizione della specifica doglianza in appello, di verificare l'abnormità della condotta del lavoratore infortunato che non aveva utilizzato il cestello e non indossava le cinture di sicurezza nonostante la sua qualifica di capocantiere-preposto, come tale tenuto ad assicurare la concreta sicurezza delle lavorazioni, attraverso direttive specifiche agli operai che attendono alle diverse mansioni. Osserva che gli operai della Sarroch Granulati erano tutti informati e formati sui rischi dei lavori in quota e circa i presidi di sicurezza previsti dal P.O.S. e dal P.S.C. ed infatti, nel giorno del sinistro, avevano utilizzato tutti il cestello elevatore e le cinture di sicurezza, come indicato nel P.S.C. per tale tipologia di intervento. Rispetto al comportamento deliberatamente assunto dalla persona offesa non può configurarsi alcuna responsabilità in capo al C.S.E., la cui posizione di garanzia è limitata alla generale configurazione delle lavorazioni che implichino rischio interferenziale e non il puntuale controllo delle attività lavorative, spettante al datore di lavoro e per lui al preposto, P.M.. D'altro canto, fu proprio P.M. che diede, al termine del proprio orario lavorativo, la propria disponibilità a svolgere lavorazioni non previste contrattualmente e non spettanti alla Sarroch Granulati, a mezzo del suo personale, per soddisfare la richiesta del direttore di stabilimento della Usar, e coadiuvare lavorazioni proprie della Usar, senza utilizzare personalmente i presidi previsti nel P.O.S. della Sarroch Granulati e nel P.S.C., correttamente utilizzati dai lavoratori a lui subordinati. A fronte di detto quadro, qualsiasi disposizione relativa all'uso di presidi e di cautele, incombente sul C.S.E., si sarebbe dimostrata, come effettivamente accaduto, priva di efficacia causale sull'evento.
 

 

Diritto

 


1. Le doglianze debbono essere esaminate nel loro ordine logico e trattate congiuntamente per quanto necessario.
2. Vanno preliminarmente analizzati il secondo ed il terzo motivo di ricorso, strettamente connessi fra loro. Con essi, ribadita la definizione delle competenze proprie sul C.S.E., in rapporto a quelle di altre figure chiamate a garantire la sicurezza del lavoro nei cantieri in cui si presenti un rischio interferenziale, si affronta l'articolazione concreta degli obblighi del coordinatore per la sicurezza in fase di esecuzione.
La censura si sofferma in modo particolare sulla differente funzione svolta dal C.S.E. e dal datore di lavoro, sostenendo che le sentenze di merito ne avrebbero confuso e sovrapposto i compiti, assegnando al primo doveri di intervento propri del secondo, senza neppure chiarire la natura interferenziale del rischio realizzatosi.
3. Ora, per dare una risposta al quesito formulato con le censure, senza dilungarsi su formule ampiamente condivise in giurisprudenza, il cui contenuto, viene tuttavia spesso disatteso in sede applicativa, ci si può limitare a richiamare la ricognizione normativa e l'evoluzione giurisprudenziale tratteggiata da questa Corte sulla figura del C.S.E.. Deve cioè ricordarsi che il coordinatore per l’esecuzione nell'ambito dei cantieri temporanei o mobili che prevedano il concorso di più imprese esecutrici ricopre una posizione di garanzia che si affianca a quella degli altri soggetti destinatari della normativa antinfortunistica, spettandogli compiti di 'alta vigilanza', consistenti: a) nel controllo sulla corretta osservanza, da parte delle imprese, delle disposizioni contenute nel piano di sicurezza e di coordinamento, nonché sulla scrupolosa applicazione delle procedure di lavoro a garanzia dell'incolumità dei lavoratori; b) nella verifica dell'idoneità del piano operativo di sicurezza (POS) e nell'assicurazione della sua coerenza rispetto al piano di sicurezza e coordinamento; c) nell'adeguamento dei piani in relazione all'evoluzione dei lavori ed alle eventuali modifiche intervenute, verificando, altresì, che le imprese esecutrici adeguino i rispettivi P.O.S. (Sez. 4, n. 45862 del 14/09/2017 - dep. 05/10/2017, Prina, Rv. 271026; Sez. 4, n. 3288 del 27/09/2016 - dep. 23/01/2017, Bellotti e altro, Rv. 269046; Sez. 4, n. 44977 del 12/06/2013 - dep. 07/11/2013, Lorenzi e altri, Rv. 257167).
L'alta vigilanza, in altre parole, riguarda la generale configurazione delle lavorazioni e non si confonde con quella operativa propria del datore di lavoro e delle figure che da esso ricevono poteri e doveri, quali il dirigente ed il preposto (Sez. 4, n. 18149 del 21/04/2010 - dep. 13/05/2010, Cellie e altro, Rv. 247536).
Tanto è vero che il coordinatore articola le sue funzioni in modo formalizzato e solo laddove possa verificarsi un'interferenza fra le lavorazioni, cioè un contatto rischioso fra lavoratori appartenenti ad imprese diverse che operino nello stesso luogo di lavoro.
Questa Sezione ha chiarito che "Il concetto di interferenza, ai fini dell'operatività degli obblighi di coordinamento e cooperazione previsti dall'art. 7 d.lgs. 626 del 1994 (ora art. 26 d.lgs. 9 aprile 2008, n. 81), è dato dal contatto rischioso tra il personale di imprese diverse operanti nello stesso contesto aziendale e pertanto occorre aver riguardo alla concreta interferenza tra le diverse organizzazioni, che può essere fonte di ulteriori rischi per l'incolumità dei lavoratori, e non alla mera qualificazione civilistica attribuita al rapporto tra le imprese che cooperano tra loro - vale a dire contratto d'appalto o d'opera o di somministrazione - in quanto la ratio della norma è quella di obbligare il datore di lavoro ad organizzare la prevenzione dei rischi interferenziali attivando percorsi condivisi di informazione e cooperazione nonché soluzioni comuni di problematiche complesse" (Sez. 4, n. 9167 del 01/02/2018, Verity James e altro, Rv. 273257; da ultimo, nello stesso senso Sez. 4, n. 1777 del 06/12/2018 - dep. 16/01/2019, Perano Gianfranco, Rv. 275077; in precedenza: Sez. 4, n. 30557 del 07/06/2016 P.C. e altri in proc. Carfi' e altri, Rv. 267687; Sez. 4, n. 44792 del 17/06/2015, Mancini e altro, Rv. 264957).
Nel definire il contenuto del piano per la sicurezza ed il coordinamento l'art. 100 d.lgs. 81/2008 stabilisce che "Il piano è costituito da una relazione tecnica e prescrizioni correlate alla complessità dell'opera da realizzare ed alle eventuali fasi critiche del processo di costruzione, atte a prevenire o ridurre i rischi per la sicurezza e la salute dei lavoratori", segnando una stretta connessione fra i compiti assegnati al C.S.P. ed indi al C.S.E. e la sicurezza dell'area di cantiere, intesa come "conformazione dell'opera, dell'area di cantiere e della sequenza delle lavorazioni (...) alle necessità di sicurezza dei lavoratori" (cfr. Sez. 4, n. 3288 del 27/09/2016, Bel lotti e altro, in motivazione).
La complessità dell'opera, invero, condiziona l'estensione dei compiti di prevenzione, tanto è vero che contenuti 'minimi' del P.S.C., sono descritti all'allegato XV del d.lgs. 81/2008 come "risultato di scelte progettuali ed organizzative conformi alle prescrizioni dell'articolo 15" del d.lgs. medesimo, con il quale si stabiliscono le misure generali di tutela della salute e della sicurezza dei lavoratori nei luoghi di lavoro, che, per quanto concerne gli obblighi del C.S.E. dovranno trovare attuazione proprio in relazione ai rischi concreti del cantiere, derivanti dall'interferenza delle lavorazioni, da individuarsi a mezzo di una "relazione concernente l'individuazione, l'analisi e la valutazione dei rischi concreti, con riferimento all'area".
Per distinguere, dunque, fra l'area di rischio governata dal C.S.E. e quella di competenza del datore di lavoro -o dei soggetti da lui delegati- può farsi ricorso, secondo l'elaborazione di questa Sezione, all'ambito di intervento del C.S.E come delineato, ai sensi del disposto dell'allegato XV, dal piano di sicurezza e coordinamento, che ne determina le aree estendendole: ai rischi connessi all’area di cantiere (punto 2.2.1.); rischi connessi all’organizzazione del cantiere (punto 2.2.2.); ai rischi connessi alle lavorazioni, nei quali sono compresi i rischi da interferenze (punto 2.2.3.).
Sono, quindi, esclusi i rischi specifici 'propri' dell'attività di impresa.
Il concetto di rischio specifico del datore di lavoro è, infatti, legato "alle competenze settoriali di natura tecnica, alla conoscenza delle procedure da adottare nelle singole lavorazioni o all’utilizzazione di speciali tecniche o nell’uso di determinate macchine" generalmente mancante in chi opera in settori diversi (Sez. 4, n. 31296 del 17/05/2005 - dep. 19/08/2005, Mogliani, in motivazione e con riferimento al disposto dell'art. 7 comma 3 u.p. d.lgs. 626/1994,; cfr. anche Sez. 4, n. 14440 del 05/03/2009 - dep. 02/04/2009, P.C., Ferraro e altri, Rv. 243882). E', dunque, un rischio connesso alle competenze proprie del datore di lavoro in relazione al settore di appartenenza, come si evince dalle stesse parole del legislatore che già con l'art. 7, comma 3 d.lgs. 626/1994 ed ora con l'art. 26, d.lgs. 81/2008 che nel delimitare il rischio interferenziale ne ha escluso l'estensione "ai rischi specifici propri dell’attività delle imprese appaltataci o dei singoli lavoratori autonomi" (art. 7 cit., comma 3 u.p. ed art. 26, comma 3 cit.).
Si è detto anche che il rischio specifico del datore di lavoro "è il negativo di quello affidato alle cure del coordinatore per la sicurezza" (cfr. Sez. 4, n. 3288 del 27/09/2016, Bel lotti e altro, in motivazione), in qualche modo individuando 'a contrario' il contenuto del rischio specifico, rispetto a quello generico, che inerisce solo all'interferenza fra attività lavorative facenti capo ad imprese e soggetti diversi che operano nello stesso spazio lavorativo (committente ed appaltatore o imprese diverse che svolgano la loro attività nel medesimo luogo, cantiere o sede aziendale).
Il rischio generico riflette il 'contatto rischioso' fra le attività di lavoratori appartenenti ad imprese diverse operanti in un determinato contesto spaziale.
Questa premessa generale è indispensabile per qualificare la natura del rischio realizzatosi nel caso di specie, che identifica il titolare della posizione di garanzia che quel rischio doveva prevedere ed evitare.
Ora, l'allegato XV al punto 2.2.3, stabilendo che al C.S.E. spetti il compito di suddividere le singole lavorazioni in fasi di lavoro e, quando la complessità dell'opera lo richiede, in sottofasi di lavoro" al fine di eseguire "l'analisi dei rischi presenti, con riferimento all'area e alla organizzazione del cantiere, alle lavorazioni e alle loro interferenze, ad esclusione di quelli specifici propri dell'attività dell'Impresa", individua alcuni fra i rischi che formano oggetto delle prescrizioni di competenza del C.S.E. e degli obblighi sul medesimo incombenti, ai sensi dell'art. 92 d.lgs. 81/2008. Fra questi è indicato alla lett. c) anche 'il rischio di caduta dall'alto'.
Nondimeno, come è stato già sottolineato in altra occasione da questa Sezione (Sez. 4, n. 3288 del 27/09/2016, Bellotti e altro, in motivazione), i rischi indicati al punto 2.2.3 dell'allegato XV, non sono necessariamente rischi generici di competenza del C.S.E., ben potendo detti rischi realizzarsi al di fuori degli ambiti di interferenza fra lavorazioni, qualora costituiscano espressione concreta di rischi specifici del datore di lavoro. Ciò che connota la specificità o la genericità del rischio, così individuandone anche il garante, infatti, è la sua derivazione dall'interazione delle lavorazioni nel cantiere (o comunque nello spazio lavorativo ove operi più di un'impresa). Laddove siffatta interazione non ci sia ed il rischio, pur elencato dal punto 2.2.3 dell'allegato XV, si realizzi all'interno della sfera di competenza del singolo datore di lavoro -inerendo alla sua attività, ai macchinari da lui usati, alle procedure seguite nella sua produzione- esso va qualificato come 'rischio specifico' estraneo all'ambito di intervento del C.S.E..
4. Ecco, dunque, che per determinare l'estensione della posizione di garanzia occorre prima inquadrare la natura del rischio, verificando in concreto se la sua realizzazione sia conseguenza di un'attività riconducibile all'interferenza fra l'opera di più imprese o se, invece, essa inerisca all'esclusiva attività della singola impresa.
5. Ebbene questa valutazione concreta è mancata nel caso di specie.
6. La Corte territoriale, infatti, senza approfondire la questione relativa all'inquadramento del rischio, sostanzialmente addebita al C.S.E. di non avere previsto che la Lisar s.p.a, una volta smontati i pannelli laterali, avrebbe dovuto o voluto continuare a lavorare, e che di conseguenza le lavorazioni Lisar sarebbero rimaste esposte agli agenti esterni ed alla polvere, se non si fosse provveduto a creare una barriera fisica. Da questa mancata previsione e dalla mancata predisposizione nel P.S.C. (non compilato, di fatto, da M.S.V., che subentrò successivamente) di opportuni accorgimenti al riguardo, sarebbe derivato il rischio di soluzioni improvvisate, come quella escogitata dal dirigente (di fatto) della Lisar, ing. G.L., che aveva comportato la necessità di salire degli operai sulla copertura, per stendere i teli laterali, a protezione delle produzioni.
Ora, la Corte non si fa carico di distinguere fra l'ipotesi in cui una simile attività, consistente nella copertura laterale del capannone, coincida con segmento delle previsioni del contratto di appalto (fra Lisar s.p.a. e Sarroch Granulati s.r.l.) -così rientrando fra le attività rispetto alle quali si sarebbe dovuta verificare la necessità di predisporre, con il P.S.C., prescrizioni relative alle possibili interferenze- e quella in cui la sua esecuzione derivi da una estemporanea decisione del datore di lavoro (e per lui del suo dirigente). Né si avvede che, in questo secondo caso, in assenza di una previsione contrattuale, non potrebbe ascriversi al C.S.E (e prima a C.S.P.) di non avere predisposto cautele per un'opera non prevista, non potendo certamente egli provvedere per opere che le parti contrattuali non hanno inteso realizzare.
La decisione, al contrario, ascrive all'imputato non la mancata previsione di misure atte a prevenire gli infortuni per le opere previste, che comportino interferenze fra le attività di più imprese, ma la mancata previsione contrattuale delle opere da parte dei contraenti.
Si tratta, in ogni caso, di un'impostazione che non si preoccupa della distinzione fra il rischio specifico e rischio generico e che finisce per attribuire alla sfera di competenza del C.S.E. anche rischi non riconducibili ad attività per le quali si è fatto ricorso ad imprese esecutrici (appaltatori) e che rientrano nella sfera di attività del datore di lavoro (committente).
Come si è detto, infatti, il C.S.E. nell'effettuare l'analisi dei rischi di cui al punto 2.2.3 dell'allegato XV deve prendere in considerazione solo quelli che derivino da opere che 'interagiscono con il cantiere' e che come tali non rientrano fra i rischi specifici del datore di lavoro.
In assenza di previsione contrattuale relativa all'esecuzione dell'opera ed al soggetto tenuto a provvedervi, ciò che deve valutarsi è se i rischi -in questo caso di caduta dall'alto- occasionati dall'estemporanea assunzione di un'iniziativa da parte del dirigente della Lisar s.p.a., al fine di assicurare la prosecuzione delle lavorazioni all'interno dello stabilimento, a seguito dello smontaggio dei pannelli verticali, rientrino fra i rischi la cui gestione è demandata al C.S.E. se, invece, ricada nell'ambito dell'esclusiva sfera di influenza del datore di lavoro l'opera 'non programmata' rivolta ad assicurare la proficua continuazione dell'attività di impresa, cui si provveda attraverso la propria forza lavoro, senza interferire con l'attività di imprese diverse, né con 'l'infrastruttura' cantiere.
E' chiaro, d'altro canto, che la figura del coordinatore per l'esecuzione avrebbe, senza dubbio, assunto rilevanza laddove fosse stato previsto che alla stesura dei pannelli dovesse provvedere l'appaltatore, posto che in una simile ipotesi si sarebbe verificata una situazione di interferenza fra le lavorazioni. Ma diversamente, il ricorso alla propria manodopera, l'acquisto diretto dei materiali necessari, in un caso di decisione non programmata, l'assunzione della direzione delle opere da parte del proprio dirigente, che, peraltro, decide l'intervento senza comunicarlo, utilizzando in modo del tutto estemporaneo, fuori orario di lavoro, e solo per terminare rapidamente il lavoro, anche operai della Sarroch Granulati, non incaricati dalla propria azienda, deve imporre una attenta valutazione sul perimetro di competenza di ricaduta dei rischi.
Né vale a superare il vulnus motivazionale la considerazione che il C.S.E. vide personalmente lo svolgimento dell'opera il giorno dell'infortunio. La circostanza, peraltro incontestata, non muta il quadro. Ed invero, l'obbligo di cui all'art. 92, lett. f) d.lgs. 81/2008, in forza del quale coordinatore per l'esecuzione dei lavori deve sospendere le lavorazioni, in caso di pericolo grave ed imminente direttamente riscontrato, fino alla verifica degli avvenuti adeguamenti da parte delle imprese interessate, non opera allorquando il pericolo inerisca al rischio specifico del datore di lavoro. In un simile caso l'intervento del C.S.E costituisce un'ingerenza nella gestione di lavori estranei alla sua sfera di competenza, comportando la presa in carico di rischi specifici dell'impresa esecutrice. Il che implica, ai sensi dell'art. 299 d.lgs. 81/2008, l'assunzione della posizione di garanzia propria del datore di lavoro. La disposizione, infatti, stabilisce che "Le posizioni di garanzia relative ai soggetti di cui all'art. 2, comma 1, lettere b), d) ed e), gravano altresì su colui il quale, pur sprovvisto di regolare investitura, eserciti in concreto i poteri giuridici riferiti a ciascuno dei soggetti ivi definiti".
D'altra parte, se l'assunzione da parte del C.S.E. di rischi che non gli competono comporta che il medesimo risponda dell'evento lesivo conseguito alla violazione della normativa precauzionale, non può sostenersi che egli sia tenuto ad assumere direttamente un rischio, intervenendo su situazioni di pericolo non inerenti al suo ambito di intervento.
La mancanza da parte della sentenza impugnata dell'approfondimento essenziale sulla natura del rischio, impone l'annullamento della sentenza impugnata con rinvio ad altra Sezione della Corte di appello di Cagliari, restando assorbiti gli altri motivi.
 

 

P.Q.M.

 


Annulla la sentenza impugnata e rinvia per nuovo giudizio ad altra Sezione della Corte di appello di Cagliari.