Categoria: Cassazione civile
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Cassazione Civile, Sez. 6, 14 novembre 2019, n. 29684 - Patologia dell'operaio piastrellista con l'hobby della lotta libera. Nesso eziologico tra malattia e attività lavorativa


Presidente: DORONZO ADRIANA Relatore: DE FELICE ALFONSINA Data pubblicazione: 14/11/2019

 

 

Rilevato che
La Corte d'Appello di Ancona, in riforma della sentenza del Tribunale di Macerata, ha accolto la domanda dell'Inail rivolta a sentir dichiarare, ai fini del riconoscimento della rendita per malattia professionale, l'assenza del nesso eziologico tra la patologia denunciata da M.C.C. (spondilo listesi L4-L5) e l'attività lavorativa di operaio piastrellista dallo stesso svolta;
il Giudice dell'appello, recependo gli esiti della CTU da lui stesso disposta, e ritenuta maggiormente accurata rispetto a quella resa in primo grado, ha affermato l'inesistenza del nesso causale, data la limitata durata nel tempo dell'attività lavorativa in questione, ritenendo verosimile che la causa della patologia sofferta fosse piuttosto da attribuirsi alla pratica sportiva della lotta libera seguita dal lavoratore nel proprio paese d'origine, considerata anche la circostanza che i sintomi della malattia si erano manifestati già dopo pochi giorni dall'assunzione del lavoratore;
la cassazione della sentenza è domandata da M.C.C. sulla base di tre motivi, illustrati da successiva memoria; l'Inail si è costituito con tempestivo controricorso;
è stata depositata proposta ai sensi dell'art. 380-bis cod. proc. civ., ritualmente comunicata alle parti unitamente al decreto di fissazione dell'adunanza in camera di consiglio.
 

 

Considerato che
col primo motivo, formulato ai sensi dell'art. 360, n.5 e n. 3 cod. proc. civ. parte ricorrente lamenta omesso esame di un fatto decisivo, nonché violazione dell'art. 434 c.p.c.; il Giudice di secondo grado avrebbe dovuto dichiarare la nullità dell'appello, in ragione del fatto che l'atto introduttivo non conteneva una critica specifica alla sentenza impugnata ma riproduceva espressamente (virgolettando, di fatto, l'interezza del ricorso - p. 4 ric.) e formalmente le deduzioni precisate in data 29/4/2016, assumendole quale motivo del ricorso in appello;
denuncia inoltre, che dalla domanda non era dato evincere neppure gli elementi qualificanti della critica rivolta al ragionamento logico adottato dal giudice di primo grado, quegli elementi che avrebbero potuto "...astrattamente evitare il sacrificio del processo ai sensi del citato art. 434 c.p.c.", e chiede a questa Corte di "...prendere in esame gli atti del grado per valutare la fondatezza della censura";
col secondo motivo, formulato ai sensi dell'art. 360, n.3 cod. proc. civ., il ricorrente ritiene che il recepimento, da parte della Corte territoriale, delle risultanze della CTU disposta in secondo grado, sia stato operato in modo acritico, senza alcuna comparazione con l'opposto esito della perizia di primo grado;
col terzo motivo, formulato ai sensi dell'alt. 360, n.5 cod. proc. civ., il ricorrente lamenta omesso esame di un fatto decisivo per il giudizio, consistente nel mancato accertamento della durata dell'adibizione alle mansioni di piastrellista, che asserisce essere stata di durata ben superiore a un anno; il primo motivo è inammissibile;
in base al principio di diritto affermato da questa Corte "Il vizio di omessa pronuncia non ricorre, nonostante la mancata decisione su un punto specifico, quando la decisione adottata comporti una statuizione implicita di rigetto sul medesimo" (Così ex multis Cass. n. 20191 del 2017); è quanto si è verificato nel caso in esame, ove la sentenza impugnata, negando, nel merito, la sussistenza del nesso causale tra la patologia occorsa al lavoratore e l'attività lavorativa svolta, ha implicitamente deciso sull'ammissibilità del ricorso in appello dell'Inail; il secondo motivo è inammissibile;
esso non trova corrispondenza nell'esame della decisione gravata, ove il giudice dell'appello prende espressamente in considerazione le conclusioni della seconda CTU, ritenendo di doverle fare proprie "...in quanto frutto di esaurienti ed accurate indagini, immuni da vizi logici o da errori di metodo ed ulteriormente chiarite in seguito alle osservazioni formulate dalle parti" (p. 3 sent.);
in ogni caso, sulla base del l'orienta mento della giurisprudenza di legittimità (cfr., da ultimo, Cass. n. 15147 del 2018), "Qualora il giudice del merito aderisca al parere del consulente tecnico d'ufficio, non è tenuto ad esporne in modo specifico le ragioni poiché l'accettazione del parere, delineando il percorso logico della decisione, ne costituisce adeguata motivazione, non suscettibile di censure in sede di legittimità, ben potendo il richiamo, anche "per relationem" dell'elaborato, implicare una compiuta positiva valutazione del percorso argomentativo e dei principi e metodi scientifici seguiti dal consulente";
il terzo motivo è inammissibile;
le Sezioni Unite di questa Corte hanno precisato che «nel rigoroso rispetto delle previsioni degli artt. 366, primo comma, n. 6, e 369, secondo comma, n. 4, cod. proc. civ., il ricorrente deve indicare il "fatto storico", il cui esame sia stato omesso, il "dato", testuale o extratestuale, da cui esso risulti esistente, il "come" e il "quando" tale fatto sia stato oggetto di discussione processuale tra le parti e la sua "decisività", fermo restando che l'omesso esame di elementi istruttori non integra, di per sé, il vizio di omesso esame di un fatto decisivo qualora il fatto storico, rilevante in causa, sia stato comunque preso in considerazione dal giudice, ancorché la sentenza non abbia dato conto di tutte le risultanze probatorie» ( Cass. S.U. n. 8053/2014);
la formulazione della censura da parte del ricorrente finisce per denunciare non già l'omesso esame di un fatto storico decisivo, bensì la mancata valorizzazione di risultanze istruttorie, che si assumono erroneamente valutate dalla Corte territoriale, in riferimento alla durata dell'adibizione dell'odierno ricorrente alle mansioni di piastrellista, già oggetto di accertamento da parte del giudice di merito;
in definitiva, il ricorso va dichiarato inammissibile; le spese, come liquidate in dispositivo, seguono la soccombenza;
in considerazione dell'esito del giudizio, sussistono i presupposti per il versamento, da parte del ricorrente, dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello dovuto per il ricorso.
 

 

P.Q.M.

 


La Corte dichiara inammissibile il ricorso. Condanna il ricorrente al rimborso delle spese del giudizio di legittimità in favore del controricorrente, che liquida in Euro 200 per esborsi, Euro 2000 per compensi professionali, oltre spese generali nella misura forfetaria del 15 per cento e accessori di legge.
Al sensi dell'art. 13, comma 1 -quater, del d.P.R. n. 115 del 2002, dà atto della sussistenza dei presupposti per il versamento da parte del ricorrente dell'ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello, dovuto (per il ricorso a norma del comma 1 -bis dello stesso art. 13.
Così deciso in Roma, all'Adunanza camerale del 18 giugno 2019