Cassazione Civile, Sez. 6, 15 novembre 2019, n. 29785 - Diritto alla rendita


 

Presidente: DORONZO ADRIANA Relatore: CAVALLARO LUIGI Data pubblicazione: 15/11/2019

 

 

Rilevato in fatto
che, con sentenza depositata il 25.9.2017, la Corte d'appello di Messina, in parziale riforma della pronuncia di primo grado, ha dichiarato il diritto di M.C. alla rendita per i.p.p. in misura pari al 22% a far data dalla cessazione dell’inabilità temporanea assoluta;
che avverso tale pronuncia M.C. ha proposto ricorso per cassazione, deducendo due motivi di censura; che l'INAIL ha resistito con controricorso;
che è stata depositata proposta ai sensi dell'art. 380-bis c.p.c., ritualmente comunicata alle parti unitamente al decreto di fissazione dell’adunanza in camera di consiglio;
 

 

Considerato in diritto
che, con il primo motivo, il ricorrente denuncia violazione dell’art. 112 c.p.c. per avere la Corte di merito riformato la pronuncia di prime cure anche in punto di decorrenza della prestazione, nonostante che non vi fosse stato sul punto specifico alcuna impugnazione dell’appellante INAIL;
che, con il secondo motivo, il ricorrente lamenta violazione degli arti. 161, 182, 421 e 444 c.p.c., per non avere la Corte territoriale assegnato termine all'INAIL per la regolarizzazione della costituzione in giudizio, stante l’assenza in atti della procura ad litem;
che, con riguardo al primo motivo, è consolidato il principio secondo cui, ai fini della selezione delle questioni di fatto o di diritto suscettibili di giudicato interno se non censurate e quindi devolute in appello, occorre aver riguardo all'unità minima suscettibile di acquisire la stabilità del giudicato siccome individuata dalla sequenza logica fatto- norma-effetto giuridico, di talché l'impugnazione motivata anche in ordine ad uno solo degli aspetti di tale sequenza riapre la cognizione sull'intera statuizione che abbia affermato l'esistenza di un fatto sussumibile sotto una norma che ad esso ricolleghi un dato effetto giuridico (cfr. in tal senso tra le più recenti Cass. nn. 2217 del 2016, 12202 del 2017, 16853 e 24783 del 2018, tutte sulla scorta di Cass. n. 6769 del 1998);
che, nella specie, avendo l’INAIL domandato, in totale riforma della sentenza di prime cure, il rigetto della domanda di prestazione (così il conclusum dell’atto di appello, per come debitamente trascritto a pag. 2 del ricorso per cassazione), il devolutum in appello concerneva la spettanza in assoluto della rendita, onde la sua decorrenza ben poteva essere autonomamente accertata dai giudici territoriali, ciò che peraltro essi hanno effettuato coerentemente con il disposto dell’art. 68, T.U. 1124/1965, secondo il quale la decorrenza della rendita per inabilità permanente è fissata al primo giorno successivo alla cessazione dell’indennità temporanea assoluta;
che il primo motivo si rivela pertanto manifestamente infondato; che il secondo motivo è viceversa inammissibile ex art. 360-bis, n. 2, c.p.c., avendo la Corte di merito accertato che non ricorreva in specie alcuna ipotesi di mancanza di procura per avere il difensore dell’INAIL indicato nell’atto di appello gli estremi della procura conferitagli con atto pubblico in notar La S. (così la sentenza impugnata, pag. 2), e non avendo parte ricorrente nemmeno baluginato l’ipotesi che codesta procura conferita per atto pubblico in realtà non esistesse;
che contrari argomenti al riguardo non possono trarsi da Cass. n. 3894 del 2017, non occupandosi tale pronuncia di una procura ad litem rilasciata per atto pubblico e soggetta pertanto allo speciale regime di conoscibilità proprio degli atti pubblici;
che il ricorso, conclusivamente, va rigettato, provvedendosi come da dispositivo sulle spese del giudizio di legittimità, giusta il criterio della soccombenza;
che, in considerazione del rigetto del ricorso, sussistono i presupposti per il versamento, da parte del ricorrente, dell'ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello dovuto per il ricorso;
 

 

P. Q. M.

 


La Corte rigetta il ricorso e condanna parte ricorrente alla rifusione delle spese del giudizio di legittimità, che si liquidano in € 2.200,00, di cui € 2.000,00 per compensi, oltre spese generali in misura pari al 15% e accessori di legge.
Ai sensi dell'art. 13, comma 1 -quater, del d.P.R. n. 115 del 2002, dà atto della sussistenza dei presupposti per il versamento da parte del ricorrente dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello dovuto per il ricorso a norma del comma 1 -bis dello stesso art. 13.
Così deciso in Roma, nell'adunanza camerale del 18.6.2019.