Cassazione Penale, Sez. 4, 02 dicembre 2019, n. 48788 - Fare formazione sui rischi derivanti dal macchinario ma non mantenerlo in sicurezza: l'adempimento del primo obbligo non fa venire meno l'incidenza causale dell'inadempimento del secondo


 

Qualora il datore di lavoro provveda alla formazione dei lavoratori sui rischi derivanti da un particolare macchinario ma ometta di mantenere il detto macchinario in condizione di essere utilizzato in sicurezza, non provvedendo a corredarlo dei prescritti dispositivi di cautela, l'adempimento del primo obbligo non fa venire meno l'incidenza causale dell'inadempimento del secondo.
Affinché l'informazione e la formazione del lavoratore non si risolvano nella trasmissione di un sapere tecnico astratto occorre, in realtà, che esse si possano tradurre nell'utilizzazione di macchinari conformi all'uso in condizioni di sicurezza e nel ricorso a procedure effettivamente percorribili, rimanendo altrimenti confinate in un ambito teorico che, per la sua genericità, non consente di incidere in modo concreto sulla prevenzione degli infortuni e sulla sicurezza del lavoro.


Presidente: MENICHETTI CARLA Relatore: NARDIN MAURA Data Udienza: 19/11/2019

 

Fatto

 

1. Con sentenza della Corte di Appello di Napoli ha confermato la sentenza del Tribunale di Nola con cui D.DP. è stato riconosciuto colpevole del reato di cui all'art. 590, commi lAe 3A cod. pen., per avere nella sua qualità di legale rappresentante della Ineca S.p.a., per colpa consistita in negligenza, imprudenza ed imperizia e violazione della disciplina sulla prevenzione degli infortuni su lavoro - ed in particolare dell'art. 70, comma 2 con riferimento all'allegato V, punto 5.7.1 d. Lgs. 81/2008, nonché degli artt, 29, 36 e 37 d.lgs. 81/2008- cagionato a M.M. lesioni personali gravissime, consistite nell'amputazione traumatica a livello III prossimale dell'avambraccio destro.
2. Il fatto, non contestato nella sua materialità, può essere così descritto: M.M., operaio palista, incaricato di alimentare con un escavatore la tramoggia del 'fresato', nell'impianto di frantumazione della Ineca S.p.a., resosi conto che nell'estrattore a nastro, posto sotto la tramoggia, era finito del materiale 'fresato', scendeva dalla pala meccanica per accertarsene. Nondimeno, nell'atto di scendere, perdeva l'equilibrio ed inciampando urtava con il braccio sul macchinario, finendo con le dita nel nastro trasportatore, che gli trascinava l'arto sotto il rullo.
3. Le sentenze di primo e secondo grado, non essendo contestata la modalità di accadimento, hanno affermato la responsabilità di D.DP., nella sua qualità di datore di lavoro, ritenendo che l'infortunio fosse derivato dalla violazione di norme cautelari imposte a tutela della sicurezza dei lavoratori.
In particolare, l'impianto di frantumazione, come risultato dagli accertamenti disposti dalla A.S.L., si presentava privo di sistemi di blocco idonei a prevenire l'accesso incondizionato del personale, in violazione dell'art. 70, comma 2 con riferimento all'allegato V, punto 5.7.1 d. Lgs. 81/2008; il documento di valutazione dei rischi, redatto il 30 aprile 2011, non conteneva la valutazione del rischio dovuto all'utilizzo ed alla manutenzione delle macchine di cui all'impianto di frantumazione, in violazione dell'art. 29 d.lgs. 81/2008; il personale alle dipendenze dell'impresa, non aveva ricevuto formazione sufficiente, in violazione degli artt. 36 e 37 d.lgs. 81/2008.
4. La Corte nel rigettare l'appello ha ribadito che la presenza delle barriere avrebbe impedito l'evento, dando atto che era stato accertato dagli Ispettori del lavoro, che procedettero al sequestro del macchinario, che detti sistemi protettivi non erano presenti al momento dell'infortunio, tanto che fu impartita la prescrizione di provvedere alla loro adozione, non concretamente adempiuta a causa della rottamazione dell'impianto, successiva al dissequestro a ciò finalizzato. A ciò, ha aggiunto che i documenti - relativi a verbali di riunioni su temi di prevenzione dei rischi relativi agli anni 2002-2007- prodotti nel corso del giudizio di appello, allo scopo di provare l'adempimento all'obbligo formativo ed informativo di cui agli artt. 36 e 37 d.lgs. 81/2008, reputato non dimostrato dal giudice di primo grado sulla base delle dichiarazioni testimoniali- non sono utili ad integrare il positivo accertamento della partecipazione della persona offesa alle previste attività formative. Invero, non solo siffatti documenti non sono stati prodotti all'Ispettorato del lavoro, all'indomani del sinistro, ma essi sono riferiti alla società Fll.i DP., mentre fino all'anno 2008 M.M. era dipendente della Co.Ge.Fo, con la conseguenza che da quelle produzioni non può trarsi la partecipazione della persona offesa a corsi di formazione ed addestramento.
5. Avverso la sentenza della Corte di appello propone ricorso per cassazione l'imputato, a mezzo del suo difensore, affidandolo a due motivi.
6. Con il primo fa valere, ex art. 606, comma 1, lett.re b) ed e) cod. proc. pen., la violazione di legge, in relazione all'art. 40 cod. pen. ed agli artt. 29, 36, 37, 70, comma 2, in relazione all'allegato V, parte II, punto 5.7.1 del d.lgs. 81/2008 ed il vizio di motivazione. Osserva che la decisione, ritenendo la condotta del lavoratore esente da rimproveri, ha omesso di valutarne l'incidenza causale esclusiva, posto che laddove la persona offesa avesse provveduto a spegnere l'impianto, prima di provvedere all'ispezione, il sinistro non si sarebbe verificato. Tanto più che, come correttamente descritto nell'imputazione, il lavoratore era inciampato, perdendo l'equilibrio, nell'atto di recarsi sotto la tramoggia, cioè quando aveva già varcato l'accesso all'impianto delimitato dalle sbarre di protezione. Sicché la contestata mancata adozione di sistemi di protezione va ritenuta ininfluente in relazione al prodursi dell'evento. Sostiene che la sentenza impugnata si manifesta gravemente illogica nella parte in cui, dopo avere dato atto del fatto che M.M. era un esperto 'palista', svolgendo dette mansioni da oltre vent'anni, ed essendo da sempre addetto all'utilizzo di quella tramoggia, si sottrae al confronto con la deposizione dell'ing. A., che aveva curato la formazione e l'informazione della persona offesa, proprio in relazione ai rischi dell'impianto semovente. Il teste, infatti, escusso nel corso del giudizio di appello, ha affermato di avere svolto corsi di formazione per contro della DP F.Ili , cui avevano partecipato anche dipendenti di altre imprese che operavano nella cava, precisando di avere proiettato nel corso delle sedute videoriprese di sinistri relativi a quella tipologia di impianto, e depositando, al termine della sua deposizione, i verbali di quelle riunioni, dai quali aveva desunto la presenza di M.M.. Cionondimeno, la Corte, valorizzando la tardività della produzione, pur non disconoscendo la genuinità della testimonianza e la veridicità del materiale, ne ometteva la valutazione, limitandosi a constatare che M.M. non era, all'epoca, dipendente della F.Ili DP.. Assume che siffatte considerazioni consentono di ritenere superata anche la contestazione inerente alla mancata valutazione del rischio relativo all'utilizzo ed alla manutenzione delle macchine e conseguentemente di escludere il nesso di causalità fra la
contestata omissione e l'infortunio.
7. Con il secondo motivo lamenta violazione dell'art. 606, comma 1A, lett. b) in relazione agi artt. 62 bis, 69, 132, 133, 590 commi 3 e 5 cod. pen.. Rileva che la Corte territoriale ha applicato una pena illegale. Ed infatti ha determinato la pena base in anni uno di reclusione, ridotta a mesi otto per la concessione delle circostanze attenuanti generiche, benché applicando la riduzione di un terzo, abbia chiaramente ritenuto le circostanze di cui all'art. 62 bis cod. pen., prevalenti sulla contestata aggravante di cui all'art 590 comma 3A cod. pen.. Cosicché il calcolo avrebbe dovuto muovere da una pena base determinata nella cornice edittale del reato non circostanziato (reclusione fino a tre mesi ed euro 309,00 di multa) di cui all'art. 590 comma 1 cod. pen., anziché come ritenuto dalla Corte dalla pena base del reato 'così come aggravato', di cui all'art. 590, comma 3A cod. pen. (da uno a tre anni di reclusione).
 

 

Diritto

 


1. Va preliminarmente chiarito che il reato non può essere dichiarato estinto per intervenuta prescrizione. Sebbene la data del commesso delitto sia quella del 12 settembre 2011, il termine di cui all'art. 157 cod. pen., tenuto conto dell'aumento di cui all'art. 161 cod. pen. per effetto degli atti interruttivi, scade in data 8 gennaio 2020. Debbono, infatti, computarsi, ai sensi dell'art. 159, comma 1, n. 3) cod. pen. n. 302 giorni di sospensione. In particolare dal 15 dicembre 2016 al 27 aprile 2017, n. gg. 60, per legittimo impedimento professionale documentato; dal 20 settembre 2017 al 13 dicembre 2017, gg. 84 per richiesta di rinvio della discussione da parte della difesa; dal 13 dicembre 2017 al 21 marzo 2018, gg. 98 su richiesta di rinvio del difensore per adesione all'astensione dalle udienze proclamata dalle Camere penali; infine gg. 60 dal 3 maggio 2019 al 3 luglio 2019 rinvio per discussione su richiesta del difensore.
2. Il primo motivo è manifestamente infondato.
3. La premessa sottesa alla decisione della Corte appello è chiaramente indicata nel disposto dell'art. 70 del D. Lgs. 81/2008, che introduce l'obbligo di utilizzo di macchinari conformi alle disposizioni nazionali e comunitarie (primo comma) o comunque conformi ai requisiti generali di sicurezza di cui all'Allegato V del medesimo d.lgs. 81/2008, se antecedenti la loro approvazione o costruite in loro assenza (secondo comma). In particolare, secondo la previsione contenuta nell'allegato V punto 5.7. del d.lgs. 81/2008 "Gli organi lavoratori dei frantoi, dei disintegratori, dei polverizzatori e delle macchine simili, i quali non siano completamente chiusi nell'involucro esterno fisso della macchina e che presentino pericolo, debbono essere protetti mediante idonei ripari, che possono essere costituiti anche da robusti parapetti collocati a sufficiente distanza dagli organi da proteggere".
4. Si tratta di una normativa specifica di tutela minima volta ad impedire l'intervento dell'operatore a macchinario in moto, che implica la prevedibilità dell'evento allorquando inosservata. Ma anche di una regola di generale prudenza, avuto riguardo alla prevedibilità della realizzazione del rischio connessa al moto non controllato delle apparecchiature, per il caso di contatto con l'operatore, sinanco quando questo è accidentale.
5. Ora, le barriere laterali di cui, secondo i giudici di merito, gli Ispettori del Lavoro hanno constatato l'assenza, prescrivendone l'adozione, rivestono proprio la funzione di impedire il contatto dell'operatore con le parti meccaniche in moto, interponendo un ostacolo fisico fra il corpo ed il movimento.
Dunque, la mancata predisposizione della specifica misura cautelare, normativamente prevista, rivolta alla riduzione del pericolo di casuale o accidentale interazione uomo-macchina, integra la condotta colposa contestata.
6. Che il contatto fra il movimento del macchinario ed il lavoratore sia causalmente connesso con l'evento non è circostanza posta in dubbio dal ricorrente, che si limita ad affermare che il contatto è dipeso esclusivamente dalla condotta dell'operatore, il quale non ha provveduto ad azionare il comando manuale di fermo dell'apparecchiatura, prima di procedere all'ispezione.
Si tratta di un'osservazione del tutto inidonea a scardinare gli argomenti su cui si fonda la motivazione dei giudici di merito, avuto riguardo al fatto che anche un comportamento gravemente imprudente del lavoratore non avrebbe avuto alcuna conseguenza, ove le cautele previste fossero state predisposte, soddisfacendo proprio quei requisiti generali di sicurezza, contenuti nell'allegato V, come richiamato dall'art. 70 d.lgs. 81/2008, e cioè assicurando sistemi protettivi rivolti ad escludere l’accesso alle zone pericolose e ad arrestare i movimenti pericolosi dei macchinari prima che sia possibile accedere a dette zone, interponendo una barriera fisica non eludibile dal comportamento tenuto dal lavoratore, ancorché questi si riveli gravemente imprudente.
7. Il ragionamento contenuto nella sentenza impugnata non viene, quindi, scalfito dalle censure che gli vengono mosse, che, in qualche modo, denunciando il difetto di contraddittorietà della motivazione invertono l'inferenza logica, pretendendo di ricavare da un comportamento del lavoratore, ritenuto antidoveroso, la sufficienza dei sistemi di sicurezza approntati dal datore di lavoro, che, invece, come ben ha chiarito la Corte territoriale, non erano conformi alle disposizioni antinfortunistiche.
8. Questa premessa consente di escludere la consistenza dell'ulteriore profilo relativo all'adeguatezza della informazione e della formazione impartita dal datore di lavoro. A di là della mancata considerazione delle produzioni dei verbali, relativi ai corsi tenuti negli anni dal 2002 al 2007, ritenuti tardivamente prodotti dalla Corte territoriale, che dà atto che fra i documenti tempestivamente prodotti non vi sono attestati di frequenza di M.M., vi è che la mancata apposizione delle barriere costituisce un addebito che supera anche l'eventuale assolvimento dell'obbligo formativo ed informativo. Va affermato, infatti, che qualora il datore di lavoro provveda alla formazione dei lavoratori sui rischi derivanti da un particolare macchinario, ma ometta di mantenere il detto macchinario in condizione di essere utilizzato in sicurezza, non provvedendo a corredarlo dei prescritti dispositivi di cautela, l'adempimento del primo obbligo non fa venire meno l'incidenza causale dell'inadempimento del secondo.
9. Affinché l'informazione e la formazione del lavoratore non si risolvano nella trasmissione di un sapere tecnico astratto occorre, in realtà, che esse si possano tradurre nell'utilizzazione di macchinari conformi all'uso in condizioni di sicurezza e nel ricorso a procedure effettivamente percorribili, rimanendo altrimenti confinate in un ambito teorico che, per la sua genericità, non consente di incidere in modo concreto sulla prevenzione degli infortuni e sulla sicurezza del lavoro.
10. Il secondo motivo, invece, è fondato.
11. Ed invero, la Corte incorre in errore laddove riconoscendo le attenuanti generiche opera la diminuzione di un terzo sulla pena del reato aggravato, ai sensi dell'art. 590, comma terzo cod. pen., anziché su quella di cui all'art. 590, comma primo cod. pen., nonostante la diminuente di cui all'art. 62 bis cod. pen., appaia concessa in regime di prevalenza sulla contestata aggravante, posto che la riduzione è stata effettivamente calcolata.
12. La sentenza deve, pertanto, essere annullata sul punto, con rinvio per nuovo esame alla Corte di appello di Napoli, dichiarando inammissibile il ricorso nel resto.
 

 

P.Q.M.

 


Annulla la sentenza impugnata limitatamente al trattamento sanzionatorio e rinvia per nuovo esame sul punto ad altra sezione della Corte di appello di Napoli. Dichiara inammissibile nel resto il ricorso. Visto l'art. 624 cod. proc. pen. dichiara irrevocabile l'affermazione di responsabilità dell'imputato.
Così deciso il 19/11/2019