Cassazione Penale, Sez. 4, 06 dicembre 2019, n. 49551 - Infortunio dell'addetto all'impianto di produzione della pasta filata. Nessun vizio occulto del macchinario


Presidente: PICCIALLI PATRIZIA Relatore: TORNESI DANIELA RITA Data Udienza: 10/09/2019

 

Fatto

 

1. Con sentenza del 6 luglio 2016 il Tribunale di Brescia dichiarava R.M. responsabile dei reati di cui all'art. 590, comma 3, cod. pen. e 71, comma 1, d.lgs. n. 81/2008 e, concesse l'attenuante di cui all'art. 62 n. 6 cod. pen. e le attenuanti generiche con giudizio di equivalenza rispetto alla contestata aggravante, lo condannava alla pena di mesi due di reclusione, sostituita, ai sensi degli arti. 53 legge n. 689/1981 e 135 cod. pen., con la multa pari ad euro 15.000.
1.1. A R.M., nella qualità di procuratore della società Caseificio Villa s.r.l. con sede legale ed unità produttiva in Erbusco, nella qualità di delegato per gli aspetti di sicurezza sul lavoro dell'azienda, era ascritto di avere cagionato a A.E., lesioni personali gravi consistite nella amputazione della «falange 3-4 raggio mano sinistra», giudicate guaribili in 57 giorni e postumi permanenti valutati dall'Inail nella misura del 6% per colpa consistente in negligenza, imprudenza e imperizia nonché nell'inosservanza dell'art. 71, comma 1, d.lgs. n. 81/2008 per non avere messo a disposizione dei lavoratori attrezzature idonee alla tutela della salute e della sicurezza e adeguate al lavoro.
Secondo la prospettazione accusatoria il predetto lavoratore, addetto all'impianto di produzione della pasta filata presso l'unità locale della ditta, dopo essersi accorto che si era verificata un'ostruzione sulla bocca di ingresso della tramoggia di carico degli sfridi di lavorazione della taglierina, interveniva sulla tramoggia stessa andando a spingere manualmente il materiale incagliatosi cosicché l'organo lavoratore (taglierina) trascinava le dita della mano sinistra, determinando le sopra descritte conseguenze lesive.
In Erbusco il 3 marzo 2014.
1.2. Secondo la ricostruzione dei fatti operata dal giudice di primo grado nel mese di dicembre 2010, su commissione del caseificio Villa s.r.l., la società Almac s.r.l. produceva una macchina filatrice corredata di nastro di recupero degli sfridi da impiegare nella unità produttrice di Erbusco al cui vertice vi era il direttore dello stabilimento R.M..
Si trattava di un prototipo progettato per venire incontro alle esigenze della committente che abbinava alla tradizionale filatrice per la produzione di pasta filata (mozzarella), la quale doveva essere confezionata in forma di orecchiette, un nastro trasportatore che serviva a trasportare lo strido, cioè lo scarto della produzione del formaggio verso una taglierina che lo riduceva in piccoli pezzi che venivano poi recuperati e reimmessi nel ciclo produttivo.
Così come originariamente progettata e venduta la macchina, dotata di dichiarazione di conformità ai sensi della direttiva 2006/42/CE, presentava una griglia a forma di L, la cui parte alta misurava circa quaranta centimetri e fungeva da scudo rispetto al rettangolo, posizionato sul retro, ove erano collocati gli organi taglienti. Tale griglia serviva, appunto, a isolare la zona dei coltelli in movimento.
Secondo il progetto originario la macchina doveva essere utilizzata da un solo operatore destinato a posizionarsi nei pressi del quadro comandi, all'estremità opposta del lungo nastro per il recupero degli sfridi.
Una volta trasportata e montata la macchina nella sede di Erbusco, veniva chiesto al tecnico della società Almac di modificare la griglia che, secondo la committenza del caseificio Villa, ostacolava il processo di produzione, e ciò nell'ottica di consentire la presenza, oltre all'addetto ai comandi, di una seconda persona sull'impianto con il compito di convogliare con le mani la pasta filata verso gli organi di taglio e districare eventuali ingorghi per rendere più veloce il procedimento ed anche per ridurre al minimo lo scarto.
L'A.E. provvedeva così a modificare la griglia pochi giorni dopo il collaudo ed essa veniva trasformata in una tramoggia, ossia in una specie di imbuto dalla forma rettangolare alta meno della metà.
Qualche anno dopo, e precisamente il giorno 3 marzo 2014, A.E., lavoratore somministrato inviato dalla Workforce ori line s.p.a. il quale lavorava da qualche tempo presso il caseificio nella qualità di addetto ad un altro tipo di produzione, veniva richiesto dal S. di sostituire altro dipendente alla filatrice e gli veniva affidato il compito di convogliare la mozzarella verso la tramoggia. Ad un certo punto, mentre era intento a districare lo strido di pasta filata e ad accompagnarlo verso la tramoggia, l'A.E. avvicinava eccessivamente le mani alla base inferiore e, dunque, al gruppo coltelli della cui presenza non si era nemmeno accorto. Nel compiere questo movimento le dita della mano sinistra rimanevano imprigionate ed erano trascinate verso il basso della tagliola in movimento provocandogli l'amputazione delle falangi.
1.3.Il Tribunale di Brescia perveniva al convincimento che il R.M., direttore dello stabilimento di Erbusco, si era direttamente interfacciato con i responsabili della società Almac e aveva commissionato una modifica essenziale della filatrice che incideva sulla parte pericolosa del macchinario, ovvero quella posta in prossimità della taglierina filatrice.
La macchina non risultava così più conforme alle norme di sicurezza in quanto, a fronte di una distanza di 22- 23 cm. tra imboccatura superiore e lame in movimento, la larghezza della base inferiore della tramoggia era di circa cm. 3,5, anziché di cm. 2, e consentiva ad un operatore di raggiungere con le mani la zona pericolosa. 
Inoltre gli veniva addebitato di avere adibito ad una lavorazione potenzialmente pericolosa un lavoratore il quale ignorava pressoché completamente il funzionamento dell'impianto e, tra l'altro, non comprendeva bene la lingua italiana.
2. Con sentenza del 28 settembre 2018 la Corte d'Appello di Brescia, in parziale riforma dell'impugnata sentenza, ha concesso al R.M. il beneficio della non menzione, confermando nel resto la statuizione di condanna.
3. R.M., a mezzo del difensore di fiducia, ricorre per cassazione avverso la predetta sentenza eccependo, con unico motivo, la nullità della pronuncia per vizio motivazionale in relazione alla natura occulta del vizio riscontrato sul macchinario.
Sostiene che la Corte d'appello, dopo aver illustrato in modo approfondito le ragioni che imporrebbero la reiezione del primo profilo di impugnazione (ovvero l'attribuibilità al prevenuto delle modifiche strutturali della macchina che l'avrebbero resa meno sicura), avrebbe totalmente trascurato di affrontare il secondo profilo della censura incentrato sul carattere occulto del vizio che rendeva pericoloso il macchinario rappresentato dal minimo scarto tra la misura della larghezza dell'apertura inferiore della tramoggia (cm. 3,5) e le misure di legge funzionali ad impedirne il passaggio della mano verso la zona di operatività delle lame (cm. 2).
Evidenzia che le emergenze probatorie consentono di escludere che l'utilizzatore del macchinario potesse in qualche modo prevedere che lo stesso fosse pericoloso per i lavoratori anche laddove risultasse provato un suo intervento per modificare le protezioni. Quest'ultima opzione non poteva in alcun modo determinare l'automatica evidenza della criticità della macchina trattandosi in ogni caso di una mancanza in termini di sicurezza che nemmeno i tecnici specializzati sarebbero stati in grado di ravvisare e pertanto prevedere la pericolosità dell'azione.
 

 

Diritto

 


1. Il ricorso è infondato.
2. Ed invero i giudici di secondo grado hanno escluso, con argomentazioni ampie e logiche, il preteso carattere occulto del vizio del macchinario.
Al riguardo è stato correttamente evidenziato che incombeva su R.M., il quale aveva avuto l'iniziativa di apportare modifiche al macchinario al fine di rendere più celere il processo di produzione e limitare al massimo gli scarti della mozzarella, fare in modo che la tramoggia fosse costruita in modo tale da garantire la sicurezza dei lavoratori ad esso addetti, e ciò a maggior ragione considerando la sua potenziale intrinseca pericolosità in ragione dello stretto collegamento con gli organi taglienti.
3. Il rigetto del ricorso comporta la condanna del ricorrente I pagamento delle spese processuali.
 

 

P.Q.M.

 


Rigetta il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle spese processuali. Così deciso il 10/9/2019