Categoria: Cassazione civile
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Cassazione Civile, Sez. Lav., 24 gennaio 2020, n. 1661 - Riconoscimento della patologia neoplastica vescicale. Prescrizione


Presidente: D'ANTONIO ENRICA Relatore: BOGHETICH ELENA Data pubblicazione: 24/01/2020

 

 

 

RILEVATO CHE
1. Con sentenza n. 551 del 19.6.2014 la Corte di appello di Torino, confermando la pronuncia sentenza del Tribunale di Cuneo, ha rigettato la domanda proposta da G.B. finalizzata ad ottenere dall'Inail il riconoscimento della malattia professionale da cui era affetto (patologia neoplastica vescicale diagnosticata nel settembre 2007), per l'intervenuta prescrizione dell'azione, essendo stata la domanda amministrativa presentata nel dicembre 2012. Riteneva la Corte che correttamente il primo giudice avesse fatto decorrere il termine di prescrizione triennale per l'azione previsto dal D.P.R. n. 1124 del 1965, art. 112 dalla diagnosi della malattia trattandosi di malattia tabellata ed indicata, dal d.m. 14 gennaio 2008, come patologia la cui origine lavorativa è di elevata probabilità in caso, come per il G.B. operaio addetto alla Michelin Italiana s.p.a., di esposizione ad ammine aromatiche e correlata come lavorazione-esposizione all'Industria della gomma, anche considerato che lo stesso ricorrente aveva fatto riferimento ad un procedimento penale risalente al 2005 avente ad oggetto omicidio e lesioni personali relativi a colleghi di lavoro colpiti da patologie neoplastiche e non aveva contestato la dedotta sussistenza di conoscenze scientifiche, all'epoca della diagnosi, che collegavano la malattia denunciata all'attività lavorativa di lavorazione dei pneumatici;
2. Avverso la sentenza ricorre G.B. affidando il ricorso a due motivi, cui ha resistito l'Inail con controricorso.
 

 

CONSIDERATO CHE
1. con entrambi i motivi, il ricorrente, in relazione all'art. 360, primo comma, nn. 3 e 5, cod.proc.civ. deduce la violazione degli artt.  112 D.P.R. n. 1124 del 1965, 115 cod.proc.dv., 2727 e 2729 cod.civ., anche con riferimento all'art. 38 Cost, nonché apparente motivazione su fatti decisivi discussi tra le parti, avendo, la Corte territoriale, trascurato che l'inserimento in tabella della neoplasia vescicale correlata all'industria della gomma non consente di ritenere tout court "fatto notorio" la potenziale cancerogenicità dell'Industria, essendo necessario verificare la consapevolezza del lavoratore dell'esposizione a quelle determinate ammine aromatiche contemplate dal d.p.r. n. 1124 del 1065, né conoscendo, il G.B., il contenuto delle indagini preliminari relative a procedimento penale concernente ai colleghi;
2. il ricorso non merita accoglimento: secondo il più recente e condiviso orientamento della giurisprudenza di questa Corte (da ultimo v. Cass. n. 11593 de 12017, Cass. n. 598 del 2016, Cass. n. 17700 del 2014), la manifestazione della malattia professionale, rilevante quale dies a quo per la decorrenza del termine prescrizionale di cui al D.P.R. n. 1124 del 1965, art. 112, può ritenersi verificata (in un equilibrato rilievo tra l’elemento oggettivo della manifestazione e la consapevolezza soggettiva da parte del lavoratore che non frustri lo scopo degli interventi della giurisprudenza costituzionale, Corte Cost. n.116 del 1969, n. 129 del 1986, n. 206 del 1988, n. 31 del 1991), quando la consapevolezza circa l'esistenza della malattia, la sua origine professionale e il suo grado invalidante siano desumibili da eventi oggettivi ed esterni alla persona dell'assicurato, che costituiscano fatto noto ai sensi degli artt. 2727 e 2729 c.c., quali la domanda amministrativa, nonché la diagnosi medica, contemporanea, dalla quale la malattia sia riconoscibile per l'assicurato (cfr. ex plurimis, Cass. nn. 23457 del 2009; Cass. 14584 del 2009; Cass. n. 7323 del 2005; Cass. n. 23418 del 2004; Cass. n. 23110 del 2004; Cass. n. 19575 del 2004; Cass. 2625 n.2004);
3. Quanto, poi, alla "manifestazione", quale fatto normativamente previsto dall'indicato art. 112, questa Corte ha già da tempo avuto modo di evidenziare (cfr. Cass. n. 11790 del 2003; n. 16178 del 2004; n. 8249 del 2011, n. 12317 del 2011, n. 14281 del 2011) che essa è la forma oggettiva che assume il fatto, nel suo essere manifesto, e che consente al fatto stesso di essere conosciuto; è, in definitiva, l'oggettiva possibilità che il fatto sia conosciuto dal soggetto interessato, e cioè la sua "conoscibilità"; tale conoscibilità coinvolge l'esistenza della malattia, ed i suoi caratteri di professionalità ed indennizzabilità; la conoscibilità, dunque, è cosa diversa dalla conoscenza ed altro non è che la possibilità che un determinato elemento (nella fattispecie la origine professionale di una malattia) sia riconoscibile in base alle conoscenze scientifiche del momento, possibilità che esclude anche che sia necessario che l'origine professionale sia già stata riconosciuta in sede giudiziaria o amministrativa;
4. alla stregua di quanto sopra deve escludersi l'esistenza dei vizi attribuiti alla sentenza impugnata, atteso che l'interpretazione della disposizione in parola fornita dalla Corte territoriale è assolutamente conforme al contenuto normativo della disposizione in questione;
5. la Corte territoriale ha fatto coincidere, nella sua indagine, il decorso della prescrizione con la diagnosi della malattia (momento antecedente alla proposizione della domanda amministrativa) ed ha fatto riferimento alla conoscibilità dell'eziologia professionale della malattia avuto riguardo alle conoscenze scientifiche del momento che consentivano certamente di collegare la malattia sofferta all'attività lavorativa, conoscenze scientifiche corroborate altresì dalla previsione della specifica patologia tumorale nella tabella di cui al d.m. 14 gennaio 2008 in presenza di ammine aromatiche (sostanze, dunque, che - seppur in determinate sue componenti - facevano insorgere la presunzione legale di nocività) nonché dall'azione penale promossa nel 2005 dalla Procura della Repubblica della città di residenza del lavoratore (Cuneo) avverso il datore di lavoro dell'assicurato per i reati di omicidio e lesioni personali colpose gravi commessi in danno di numerosi ex dipendenti;
6. in ordine alla lamentata omissione di fatto decisivo, l'interpretazione di questa Corte (da ultimo, Cass. n. 27415 del 2018) ha chiarito come l'art. 360, primo comma, n. 5, cod.proc.civ., riformulato dall'art. 54 del d.l. 22 giugno 2012, n. 83, conv. in legge 7 agosto 2012, n. 134, abbia introdotto nell'ordinamento un vizio specifico denunciabile per Cassazione, relativo all'omesso esame di un fatto storico, principale o secondario, la cui esistenza risulti dal testo della sentenza o dagli atti processuali, che abbia costituito oggetto di discussione tra le parti e abbia carattere decisivo (vale a dire che, se esaminato, avrebbe determinato un esito diverso della controversia);
7. costituisce, pertanto, un "fatto", agli effetti dell'art. 360, comma 1, n. 5, cod.proc.dv., non una "questione" o un "punto", ma un vero e proprio "fatto", in senso storico e normativo, un preciso accadimento ovvero una precisa circostanza naturalistica, un dato materiale, un episodio fenomenico rilevante (Cass. Sez. 1, 04/04/2014, n. 7983; Cass. Sez. 1, 08/09/2016, n. 17761; Cass. Sez. 5, 13/12/2017, n. 29883; Cass. Sez. 5, 08/10/2014, n. 21152; Cass. Sez. U., 23/03/2015, n. 5745; Cass. Sez. 1, 5/03/2014, n. 5133); non costituiscono, viceversa, "fatti", il cui omesso esame possa cagionare il vizio ex art. 360, comma 1, n. 5, cod.proc.dv., le argomentazioni o deduzioni difensive (Cass. Sez. 2, 14/06/2017, n. 14802: Cass. Sez. 5, 08/10/2014, n. 21152); gli elementi istruttori; una moltitudine di fatti e circostanze, o il "vario insieme dei materiali di causa" (Cass. Sez. L, 21/10/2015, n. 21439);
8. E' quindi inammissibile l'invocazione del vizio di cui all'art. 360 n. 5 cod.proc.civ. per sostenere il mancato esame di deduzioni istruttorie, di documenti, di eccezioni di nullità della sentenza non definitiva e degli atti conseguenti, di critiche rivolte agli elaborati peritali (ovvero di semplici allegazioni difensive a contenuto tecnico), o della "non contestazione dell'avvenuta usucapione" (un fatto che non sia stato "oggetto di discussione tra le parti" è, d'altro canto, fuori dall'ambito dell'art. 360 n. 5 cod.proc.civ. per sua stessa definizione), o per lamentarsi di una "motivazione non corretta";
9. le spese di lite sono regolate secondo il principio della soccombenza, non risultando dalla sentenza d'appello le condizioni di cui all'art. 152 disp att. cod.proc.civ.;
10. sussistono i presupposti processuali per il versamento, da parte del ricorrente, dell'ulteriore importo a titolo di contributo unificato previsto dal d.P.R. 30 maggio 2002, n. 115, art. 13, comma 1 quater, introdotto dalla L. 24 dicembre 2012, n. 228, art. 1, comma 17 (legge di stabilità 2013) pari a quello - ove dovuto - per il ricorso, a norma del comma 1-bis dello stesso art. 13;
 

 

P.Q.M.

 


La Corte rigetta il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle spese del presente giudizio di legittimità che liquida in euro 200,00 per esborsi ed in euro 4.000,00 per compensi professionali, oltre spese generali al 15% ed accessori di legge.
Ai sensi dell'art. 13, comma 1-quater, del d.P.R. 30 maggio 2002, n. 115, nel testo introdotto dall'art. 1, comma 17, della legge 24 dicembre 20012, n. 228, dà atto della sussistenza dei presupposti processuali per il versamento, da parte del ricorrente, dell'ulteriore importo a titolo di contributo unificato, pari a quello per il ricorso, a norma del comma 1-bis dello stesso art. 13, se dovuto.
Così deciso in Roma, nell'Adunanza camerale del 7 novembre 2019.