Cassazione Penale, Sez. 4, 04 febbraio 2020, n. 4626 - Caduta durante le operazioni di disarmo dei pannelli di armatura in legno all'interno di un cavedio. La presenza di un responsabile di cantiere non esime il DL dalle proprie responsabilità


Presidente: DI SALVO EMANUELE Relatore: DAWAN DANIELA Data Udienza: 08/11/2019

 

 

 

Fatto

 

1. La Corte di appello di Milano ha confermato la sentenza con cui il Tribunale di Milano, all'esito del dibattimento, riteneva P.S. responsabile del reato di cui all'art. 590 cod. pen. e, riconosciutegli le circostanze attenuanti generiche equivalenti alla contestata aggravante, lo condannava alla pena di mesi 2 nonché, in solido con i coimputati, al risarcimento dei danni alla costituita parte civile da liquidarsi in separata sede civile, con provvisionale immediatamente esecutiva pari ad euro 40.000 al cui adempimento subordinava la sospensione condizionale della pena.
2. L'imputazione ha riguardo all'infortunio occorso a H.K., dipendente dell'impresa Edil Varallo srl - di cui l'imputato era titolare - assunto con qualifica di operaio e addetto al cantiere sito in Milano, via Caldara 21, di titolarità della ZH General Construction Company spa, a seguito del quale la persona offesa riportava lesioni consistite in fratture di ulna ed omero sinistro, frattura traversi lombari, fratture vertebrali, trauma toracico e addominale, con oltre 150 giorni di prognosi.
3. Il fatto, in data 08/10/2012 H.K. veniva incaricato dal geom. G.S. (coimputato), a sua volta dipendente della Edil Varallo srl e responsabile del cantiere in questione, di effettuare le operazioni di disarmo dei pannelli di armatura in legno posti all'Interno di un cavedio, alto circa 5 metri e 50, largo 2 metri circa e con una lunghezza che si riportava per diverse decine di metri, nel quale era già presente un impalcato di legno - montato nelle settimane precedenti dagli operai della Edil. Per svolgere la procedura di disarmo, la persona offesa si recava all'interno del cavedio e saliva sull'impalcato; per salire sul piano di ponte, levava alcune tavole che non provvedeva a riposizionare per richiudere il vano. Al di sopra dell'impalcato H.K. posizionava una scala che appoggiava alla parete stretta del muro dell'intercapedine con la base a circa tre metri di distanza dal foro, senza fissarla né alla base né all'altezza. La scala poggiava - senza essere attaccata in altro modo - sul muro di fondo del cavedio e il buco era sotto di essa. L'operaio disarmava i pannelli presenti (che avevano la dimensione di 2,0 metrix0,50 metri e un peso di 13/14 kg) avvalendosi di un leverino e gettandoli sul solaio. Ad un certo punto, mentre H.K. teneva con una mano il leverino e con l'altra uno dei pannelli rimossi, uno di questi gli scivolava dalle mani e cadeva sull'asse di ponte facendo perdere l'appoggio alla scala. L'uomo, quindi, precipitava all'interno dell'apertura presente nell'impalcato e finiva a terra da un'altezza di circa 5 metri.
4. Dalle risultanze dibattimentali era emerso che il POS, redatto dalla Edil Varallo srl, risultava inadeguato perché la società aveva omesso di riportarvi la valutazione dei rischi connessi all'attività di scasseratura e di descrivere quali fossero le opere provvisionali che era necessario attuare per lo svolgimento di quel tipo di lavorazione. L'ufficiale di p.g. presso la ASL di Milano, O.C., rilevava anche che: l'impalcato sul quale poggiava la scala utilizzata dalla persona offesa presentava un'apertura fuori norma dovuta alla mancanza di alcune tavole; la scala utilizzata dall'H.K., pur conforme alle normative tecniche, era stata posizionata in modo errato il giorno dell'incidente perché non era stata assicurata né alla sommità né alla base; la persona offesa aveva svolto il lavoro da solo, senza l'ausilio di un collega che tenesse ferma la scala; i lavoratori non avevano ricevuto una formazione idonea, sia con riguardo al corretto utilizzo delle opere provvisionali, sia con riferimento all'uso delle scale.
Nel corso del giudizio di primo grado emergevano valutazioni difformi da parte dei rispettivi consulenti di parte sull'utilizzo della scala. Secondo alcuni, le operazioni di disarmo dei pannelli ben potevano essere effettuate con l'utilizzo di una scala purché questa fosse adeguatamente fissata, la procedura di disarmo fosse effettuata da più di una persona, la scala avesse una data inclinazione, l'apertura dell'impalcato fosse richiusa. Secondo altri, la causa dell'infortunio era da rinvenirsi nell'utilizzazione della scala a pioli invece del trabattello. Sul punto, il primo giudice concludeva affermando che la causa dell'incidente dovesse essere identificata soprattutto nella scelta di dare avvio alle procedure di disarmo senza avvalersi di un'opera provvisionale idonea allo svolgimento di quel preciso lavoro in quota. Non escludeva tuttavia che tale procedura potesse essere realizzata anche utilizzando una scala a pioli purché adottando le precauzioni più sopra menzionate.
5. Il ricorso del difensore dell'imputato avverso la sentenza di appello consta di tre motivi. Con il primo, deduce violazione di legge in relazione all'elemento soggettivo, alla causalità della colpa e alla non evitabilità dell'evento nonché vizio di motivazione. La Corte del merito non ha tenuto in considerazione i motivi di appello in ordine alla abnormità ed imprevedibilità della condotta del lavoratore il quale ha mancato di osservare tutte le prescrizioni imposte ai lavoratori in tema di sicurezza. Invece di utilizzare una scala opportunamente fissata e di avvalersi del supporto del collega, H.K. si serviva di una scala esterna, appoggiata senza ancoraggio al muro e collocata su un terreno irregolare. La persona offesa, peraltro, ha ammesso di aver rimosso le assi dell'impalcatura esistente al fine di ottenere l'accesso alla zona che doveva raggiungere, di non aver risistemato i pannelli, di aver personalmente predisposto l'attrezzatura occorrente per lavorare, compreso il posizionamento della scala, con la conseguenza che unicamente alla stessa va attribuita la responsabilità del fatto. Già in fase di indagini preliminari era emerso come, all'Interno del cantiere, tutti gli operai fossero dotati dei dispositivi di protezione individuale idonei allo svolgimento di ogni singola attività. Erano, poi, stati nominati un capo cantiere e un responsabile della sicurezza, con conseguente trasferimento della posizione di garanzia in capo a questi. I giudici di merito, peraltro, hanno omesso di accertare se una condotta diversa da quella tenuta dall'imputato avrebbe potuto scongiurare l'evento. Le motivazioni dei giudizi di merito si fondano esclusivamente su due rilievi errati: l'asserita carenza di un POS e il fatto che lo P.S. non si sia premurato di predisporre l'attrezzatura idonea a prevenire incidenti durante le operazioni di disarmo delle strutture temporanee. Con riguardo al primo, lo stesso era del tutto idoneo allo scopo, in quanto il d. lgs. n. 81/08 non prevede l'obbligo di fornire una descrizione dettagliata di ogni singola procedura poiché ciò comporterebbe un risultato abnorme. La predisposizione della scala era sufficiente ad effettuare in sicurezza le operazioni purché utilizzata secondo le regole dell'arte; l'operaio non si era premurato di indossare la cintura anticaduta non perché non presente ma perché non prevista per tale lavorazione. Con il secondo motivo, lamenta vizio di motivazione con riguardo al mancato riconoscimento delle circostanze attenuanti generiche in misura prevalente rispetto alla contestata aggravante perché la Corte non ha dato conto dei criteri per i quali non ha valutato gli elementi positivi a favore dell'imputato. Con il terzo motivo, infine, censura la mancanza di motivazione in relazione alla concessione della sospensione condizionale della pena subordinata all'adempimento degli obblighi di cui all'art. 165 cod. pen. Le sentenze di merito nulla dicono in ordine alla valutazione della condizione economica dell'Imputato presupposto necessario dell'applicazione dell'art. 165 cod. pen.

 


Diritto

 


1. Il ricorso non si confronta adeguatamente con la motivazione della sentenza impugnata, che appare logica e congrua, nonché corretta in punto di diritto, e pertanto immune da vizi di legittimità.
2. Il primo motivo è infondato. La sentenza ha fatto buon governo dell'insegnamento secondo il quale il datore di lavoro risponde dell'Infortunio occorso al lavoratore, in caso di violazione degli obblighi, di portata generale, relativi alla valutazione dei rischi presenti nei luoghi di lavoro nei quali siano chiamati ad operare i dipendenti, e della formazione dei lavoratori in ordine ai rischi connessi alle mansioni, anche in correlazione al luogo in cui devono essere svolte (Sez. 4, n. 27871 del 20/03/2019, Simeone Massimo, Rv. 276242; Sez. 4, n. 45808 del 27/06/2017, Catrambone e altro, Rv. 271079). A ciò si aggiunge il previsto obbligo del datore di lavoro di richiedere l'osservanza da parte dei singoli lavoratori delle norme vigenti, nonché delle disposizioni aziendali in materia di sicurezza e di igiene del lavoro e di uso dei mezzi di protezione collettivi e dei dispositivi di protezione individuali messi a loro disposizione (art. 18, co. 1 lett. f d.lgs. n. 81/2008); previsione che conferisce plastica evidenza all'obbligo, peraltro già rinvenibile in chiave logica, di dare concreta attuazione alle misure di prevenzione identificate con la valutazione dei rischi, al cui ampio genus appartiene anche il Pos che, nel caso di specie, come si è più sopra ricordato, non riportava la valutazione dei rischi connessi all'attività di scasseratura e non descriveva quali fossero le opere provvisionali che era necessario attuare per lo svolgimento di quel tipo di lavorazione.
La sentenza impugnata - ricordando come il d.lgs. 81/08 abbia disegnato un'efficace rete di protezione della salute e sicurezza dei lavoratori, assegnando ruoli prevenzionali e di garanzia a tutte le figure apicali presenti nei cantieri mobili o temporanei, «non esimendo dalla propria responsabilità alcuna delle figure datoriali o in posizione di garanzia, a fronte della presenza di altri corresponsabili, rimanendo tutti coinvolti nella diuturna ed efficace ottemperanza delle norme di legge » - sottolinea che la presenza, come nel caso di specie, di un responsabile di cantiere non esime, per le ragioni dianzi esposte, il datore di lavoro dalle responsabilità a lui facenti capo, tra cui quella sancita dall'art. 122 d. lgs. 81/08.
In conseguenza, correttamente la Corte di appello afferma che sul datore di lavoro, in quanto titolare di una posizione di garanzia in ordine all'incolumità fisica dei lavoratori, incombe il dovere di accertarsi del rispetto dei presidi antinfortunistici vigilando sulla sussistenza e persistenza delle condizioni di sicurezza ed esigendo dagli stessi lavoratori il rispetto delle regole di cautela. Ne deriva che è radicalmente destituita di fondamento la pretesa di connotare la condotta lavorativa dell'infortunato di caratteri di imprevedibilità e di abnormità, e ciò proprio alla luce dei consolidati principi giurisprudenziali di cui la sentenza impugnata mostra di aver fatto buon governo. Invero, il datore di lavoro, destinatario delle norme antinfortunistiche, è esonerato da responsabilità solo quando il comportamento del dipendente sia abnorme, dovendo definirsi tale il comportamento imprudente del lavoratore che sia stato posto in essere del tutto autonomamente e in un ambito estraneo alle mansioni affidategli - e, pertanto, al di fuori di ogni prevedibilità per il datore di lavoro - o rientri nelle mansioni che gli sono proprie ma sia consistito in qualcosa radicalmente, ontologicamente, lontano dalle ipotizzabili e, quindi, prevedibili, imprudenti scelte del lavoratore nella esecuzione del lavoro [Sez. 4, n. 7188 del 10/01/2018, Bozzi, Rv. 272222; Sez. 4, n. 15124 del 13/12/2016 (dep. 2017), Gerosa e altri, Rv. 269603; Sez. 4, n. 37986 del 27/06/2012, Battafarano, Rv. 254365].
Nel caso di specie, osserva la sentenza impugnata, la condotta dell'infortunato non può ritenersi abnorme, «in quanto pienamente inserita nell'attività lavorativa e addirittura oggetto di specifica direttiva ricevuta dallo G.S. [responsabile del cantiere]», dovendosi, al contrario, reputare del tutto prevedibile che un operaio che lavora, da solo, su una scala, del tutto priva di ancoraggi, posta sopra un impalcato con apertura, possa cadere dalla scala e precipitare nel varco.
Esattamente al contrario dell’assunto difensivo, si è, pertanto, trattato di un evento drammatico occorso nell’esercizio e a causa dello svolgimento d’una attività integrata puntualmente nel contesto lavorativo, come tale del tutto prevedibile e prevenibile dal garante. L'accento posto dal ricorrente sulla imprevedibilità del comportamento dei lavoratore infortunato non considera che il comportamento del dipendente è imprevedibile quando non è preventivamente immaginabile, e non già quando l'irrazionalità della condotta del dipendente sia controllabile, pensabile in anticipo, risolvendosi nel fare l'esatto contrario di quel che si dovrebbe fare per non incorrere in infortuni [Sez. 4, n. 15124 del 13/12/2016, Gerosa e altri, cit.; Sez. 4, n. 36339 del 07/06/2005, Pistoiesi, Rv. 232227; Sez. 4, n. 37001 del 07/07/2003, Masotti, Rv. 225957]. Orbene, se è vero che sul lavoratore medesimo incombe l'obbligo di osservare le prescrizioni cautelari che a lui si indirizzano, va però puntualizzato che il piano della rimproverabilità del lavoratore per la violazione commessa e quello della causalità (tra la condotta trasgressiva del datore di lavoro e le lesioni subite dal quel lavoratore) non coincidono, come dimostra il semplice rilievo che la violazione prevenzionistica del lavoratore, osservata sotto la diversa prospettiva, può risultare esito proprio di quella imprudenza, imperizia o imperizia che il sistema di tutela prevenzionistica incorpora come un "ordinario" fattore di rischio da considerare, valutare e neutralizzare o attenuare. Ma, soprattutto, va osservato come la più recente giurisprudenza suggerisca di abbandonare il criterio della imprevedibilità del comportamento del lavoratore nella verifica della relazione causale tra condotta del reo ed evento, perché ciò che davvero rileva è che tale comportamento attivi un rischio eccentrico o, se si vuole, esorbitante dalla sfera di rischio governata dal soggetto al quale viene attribuito l'evento (per tutte si veda, Sez. U, n. 38343 del 24/04/2014, P.G., R.C., Espenhahn e altri, Rv. 261106, in motivazione).
3. Parimenti infondato è il secondo motivo. Giova premettere che le statuizioni relative al giudizio di comparazione tra opposte circostanze sono censurabili in Cassazione soltanto nell'ipotesi in cui siano frutto di mero arbitrio o di ragionamento illogico (Sez. U, n. 10713 del 25/02/2010, Contaldo Rv. 245931; Sez. 2, n. 31543 del 08/06/2017, Pennelli, Rv. 270450), atteso che il giudizio di comparazione, implicando una valutazione discrezionale tipica del giudizio di cognizione, sfugge al sindacato di legittimità qualora sia sorretto da corretta e sufficiente motivazione. Nel caso in disamina, la motivazione si appalesa corretta e sufficiente poiché la Corte di merito, nel respingere l'invocata prevalenza, ha valorizzato il grado di colpa degli imputati e le gravi conseguenze lesive derivate alla parte civile.
4. Deve essere altresì respinto il terzo motivo. La sospensione condizionale della pena è stata correttamente ed opportunamente subordinata alla corresponsione delle somme liquidate a favore della parte civile, in attuazione del principio stabilito dall'alt 165, comma primo, cod. pen., avuto riguardo al fatto che la persona offesa non aveva ottenuto alcun risarcimento per l'incidente occorsogli. Ad avviso del ricorrente, che cita alcune isolate pronunce di questa Corte di legittimità, la decisione in questione sarebbe, invece, illegittima, per avere il giudice subordinato la concessione della sospensione condizionale della pena al risarcimento del danno, senza procedere, con apprezzamento motivato, alla valutazione, sia pure sommaria, delle condizioni economiche dell'imputato e della sua concreta possibilità di sopportare l'onere del risarcimento pecuniario (in tal senso si sono orientate Sez. 5, n. 21557 del 02/02/2015, Solazzo e altro, Rv. 263675; Sez. 2, n. 22342 del 15/02/2013, Cafagna e altri, Rv. 255665).
Ritiene, tuttavia, il Collegio che vada ribadito l'orientamento che appare assolutamente maggioritario secondo cui, in tema di sospensione condizionale della pena, nel caso in cui il beneficio venga subordinato all'adempimento dell'obbligo risarcitorio, il giudice della cognizione non è tenuto a svolgere alcun accertamento sulle condizioni economiche dell'Imputato (Sez. 2, n. 26221 del 11/6/2015, Dammico, Rv. 264013). Ciò in quanto la verifica dell'eventuale impossibilità di adempiere da parte del condannato rientra nella competenza del giudice dell'esecuzione [Sez. 5, n. 12614 del 9/12/2015 (dep. il 2016), Fanella, Rv. 266873; Sez. 5, n. 15800 del 17/11/2015 (dep. 2016), Foddi e altro, Rv. 266690, ove la Corte ha chiarito che tale principio è utile al fine di impedire che l'accertamento venga svolto due volte, dal momento che in sede di esecuzione è comunque consentito al reo dimostrare l'eventuale modifica peggiorativa della sua situazione economica). L'accertamento che richiede l'odierno ricorrente, in altri termini, comporterebbe la necessità di una istruttoria nel contraddittorio delle parti, che potrebbe rivelarsi inutile, non precludendo al soggetto interessato di dimostrare, in sede esecutiva, la modifica peggiorativa della propria situazione economica (Sez. 4, n. 50028 del 04/10/2017, Pastorelli, Rv. 271179).
5. In conclusione, si impone il rigetto del ricorso, cui consegue la condanna del ricorrente al pagamento delle spese processuali nonché alla rifusione delle spese sostenute dalla parte civile costituita, H.K., che vengono liquidate in euro 2.500,00, oltre accessori come per legge da liquidarsi in favore dello Stato, essendo stata la parte civile ammessa al patrocinio a spese dello Stato.
 

 

P.Q.M.

 


Rigetta il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle spese processuali nonché alla rifusione delle spese sostenute dalla parte civile costituita, H.K., che liquida in euro 2.500,00, oltre accessori come per legge, da liquidarsi in favore dello Stato essendo stata la parte civile ammessa al patrocinio a spese dello Stato.
Così deciso in data 8 novembre 2019