Cassazione Civile, Sez. Lav., 04 febbraio 2020, n. 2524 - Domanda di riconoscimento della rendita vitalizia in relazione alla ipoacusia bilaterale


Presidente: MANNA ANTONIO Relatore: GHINOY PAOLA Data pubblicazione: 04/02/2020

 

Fatto

 


1. La Corte d'Appello di Messina, in riforma della sentenza del Tribunale, rigettava la domanda proposta da C.R. nei confronti dell'Inail volta ad ottenere il riconoscimento della rendita vitalizia in relazione alla malattia (ipoacusia bilaterale neurosensoriale alle alte frequenze di grado medio) di cui è portatore.
2. La Corte territoriale recepiva le conclusioni del consulente tecnico d'ufficio, secondo le quali il danno non poteva ritenersi di origine professionale, in quanto negli esami eseguiti sul periziando, sia di tipo soggettivo (liminare e sopraliminare) che di tipo obiettivo (impedenzometria, studio del riflesso stapediale con test di Metz e Anderson) non erano riscontrabili lesioni a carico delle strutture neurosensoriali dell'orecchio interno con conseguente deficit atonale alle frequenze acute.
3. Per la Cassazione della sentenza C.R. ha proposto ricorso, affidato a due motivi, cui ha resistito l'INAIL con controricorso.
 

 

Diritto

 


4. Come primo motivo il ricorrente sostiene che la decisione del giudice di seconde cure sarebbe affetta da violazione della legge nella parte in cui l'ha condannato al pagamento delle spese processuali dei due gradi di giudizio e di c.t.u..
5. Come secondo motivo deduce l'insufficiente e contraddittoria motivazione circa un punto decisivo della controversia. Lamenta che la Corte non abbia motivato le ragioni dell'adesione alle conclusioni del c.t.u e non abbia confutato le contestazioni operate dalla propria consulente di parte alla consulenza tecnica.
6. Il primo motivo non è fondato.
La condanna alle spese costituisce esito normale della soccombenza ex art. 91 c.p.c., sicché neppure necessita di alcuna motivazione, che è richiesta invece dall'art. 92 c.p.c. per la compensazione, totale o parziale (ex multis, Cass. 23/02/2012 n. 2730). Neppure risulta che il ricorrente abbia dedotto nelle forme previste dall'art. 152 disp. att. c.p.c. (nella formulazione operante ratione temporis, introdotta dal d.l. n. 269 del 2003, conv. dalla l. n. 326 del 2003) la sussistenza delle condizioni reddituali per l'esonero.
7. Il secondo motivo è inammissibile per due ordini di concorrenti ragioni.
In primo luogo, nella parte in cui si duole del mancato esame da parte della Corte d'appello delle osservazioni critiche alla c.t.u. formulate dal proprio c.t.p., non specifica quando ed in che modo queste sarebbero state sottoposte all'esame della Corte territoriale (a pg. 6 del ricorso si dice in proposito che sarebbero già state prodotte in prime cure, e dunque non con riferimento alle conclusioni del c.t.u. nominato in secondo grado).
8. Inoltre, per consolidato orientamento di questa Corte, la sentenza che abbia prestato adesione alle conclusioni del consulente tecnico d'ufficio può richiamarla per relationem, senza essere tenuta a riportarne i singoli passaggi. Tali conclusioni possono inoltre essere contestate in Cassazione soltanto in caso di palese devianza dalle nozioni correnti della scienza medica, la cui fonte va indicata in ricorso, o nell'omissione degli accertamenti strumentali dai quali, secondo le predette nozioni, non può prescindersi per la formulazione di una corretta diagnosi; mentre al di fuori di tale ambito - come avviene nel caso in esame- la censura costituisce un mero dissenso diagnostico che si traduce in un'inammissibile critica del convincimento del giudice (v. ex plurimis da ultimo Cass. ord. 23/12/2014 n. 27378, Cass. 16/02/2017 n. 4124, Cass. 19/05/2017 n. 12722).
9. Segue coerente il rigetto del ricorso.
10. Le spese, liquidate come da dispositivo, seguono la soccombenza.
11. Ai sensi dell'art. 13, co. 1 quater, del d.lgs. n. 115 del 2002 si dà atto della sussistenza dei presupposti processuali per il versamento da parte del ricorrente dell'ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello previsto per il ricorso a norma del comma 1 bis dello stesso art. 13, ove dovuto.
 

 

P.Q.M.

 


La Corte rigetta il ricorso. Condanna la parte ricorrente al pagamento delle spese del giudizio di legittimità, che liquida in complessivi € 3.000,00 per compensi professionali, oltre ad € 200,00 per esborsi, rimborso delle spese generali nella misura del 15% ed accessori di legge.
Ai sensi dell'art. 13, co. 1 quater, del d.lgs. n. 115 del 2002 dà atto della sussistenza dei presupposti processuali per il versamento da parte del ricorrente dell'ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello previsto per il ricorso a norma del comma 1 bis dello stesso art. 13, ove dovuto.
Così deciso in Roma, nella camera di consiglio del 23.10.2019.