Cassazione Penale, Sez. 4, 12 febbraio 2020, n. 5541 - Collasso strutturale della gru nella raffineria. Difetto di fabbricazione del macchinario


 

Le Sezioni Unite di questa Corte hanno stabilito che "Qualora un infortunio sia dipeso dalla utilizzazione di macchine od impianti non conformi alle norme antinfortunistiche, la responsabilità dell'imprenditore che li ha messi in funzione senza ovviare alla non rispondenza alla normativa suddetta non fa venir meno la responsabilità di chi ha costruito, installato, venduto o ceduto gli impianti o i macchinari stessi".
In applicazione di detto principio numerose successive pronunce di questa Corte hanno ribadito che il costruttore riveste una posizione di garanzia in relazione ai difetti strutturali dei macchinari messi in commercio, rispondendo per gli eventi dannosi causalmente ricollegabili alla fornitura di tali macchinari, a meno che non si provi che l'utilizzatore abbia compiuto sulla macchina trasformazioni di natura e di entità tale da poter essere considerate causa sopravvenuta da sola sufficiente a determinare l'evento. Se ciò non si verifica - come avvenuto nel caso in esame - si ha una permanenza della posizione di garanzia del costruttore che non esclude il nesso di condizionamento con l'evento (così Sez. 4, n. 1216 dei 26/10/2005, dep. 13/01/2006, Rv. 233174 - 01)
Anche il lamentato uso improprio del macchinario, messo in rilievo dalla difesa nella parte in cui rileva l'avvenuto sovraccarico del cestello, non può dare luogo ad un esonero di responsabilità ove non si dimostri che tale uso improprio sia stato da solo causa sufficiente a determinare l'evento.


 

Presidente: DI SALVO EMANUELE Relatore: BRUNO MARIAROSARIA Data Udienza: 08/11/2019

 

Fatto

 

1. La Corte di appello di Roma, con sentenza emessa in data 25/6/2015, in parziale riforma della pronuncia resa dal Tribunale dì Roma in data 20/3/2013, ha dichiarato estinti per prescrizione i reati ascritti a S.G.; ha confermato l'affermazione di responsabilità nei confronti degli imputati B.L. e F.M., riducendo la pena ai predetti inflitta in quella di mesi dieci di reclusione ciascuno; ha confermato la condanna degli imputati al risarcimento del danno nei confronti delle parti civili costituite ed al pagamento di una provvisionale, immediatamente esecutiva, stabilita nella misura di euro 35.000,00.
Gli imputati erano ritenuti responsabili del delitto di omicidio colposo e di lesioni colpose in danno di T.M. e di D.E., in seguito ad un infortunio sul lavoro occorso ai predetti in data 27/11/2007, in Roma, presso gli stabilimenti della "Raffineria di Roma S.p.A.".
I fatti possono essere così riassunti.
I tecnici T.M. e D.E., dipendenti della "Eco Control S.r.l." erano stati incaricati di effettuare un campionamento dei fumi dei camini della "Raffineria di Roma S.p.A.". In data 27/11/2007, per procedere alla suddetta verifica, si erano posizionati all'interno di un cestello che era sollevato dal braccio meccanico di una gru collocata su un autocarro, di proprietà della Soc. "Romedil". Nel momento della elevazione il braccio telescopico si era spezzato con conseguente caduta degli occupanti. A causa della caduta al suolo, il T.M. era deceduto subito dopo il trasporto in ospedale, il D.E. aveva riportato lesioni gravissime poiché era riuscito ad aggrapparsi al cestello. Sulla base delle testimonianze raccolte e degli accertamenti tecnici effettuati attraverso le diverse consulenze acquisite agli atti, il Tribunale e la Corte di appello, nelle due sentenze conformi, ritenevano che la causa del sinistro fosse da attribuirsi ad un "collasso strutturale" della gru, modello JIB42N, fabbricata dalla Soc. Italmec.
Secondo quanto era stato accertato dall'Ing. Rodolfo F., le cui conclusioni sono state condivise dai Giudici di merito, il braccio aveva ceduto nel punto in cui era stata saldata una "staffa" per il sostegno della canaletta su cui venivano appoggiate le tubazioni idrauliche e gli impianti elettrici che raggiungevano il cestello per consentirne la movimentazione.
Osservavano i Giudici che tale saldatura, peraltro erroneamente eseguita, non era stata prevista nel progetto originario del macchinario. Essa aveva comportato una modifica nella realizzazione del macchinario a cui non era seguita alcuna comunicazione all'Ente notificato, come previsto nella "Direttiva Macchine".
Sulla base di tali elementi i Giudici di merito pervenivano all'affermazione di reponsabilità nei confronti degli odierni imputati, avvicendatisi nella qualità di legali rappresentanti della società costruttice "Italmec", successivamente incorporata dalla soc. "Heila Gru s.r.l." .
2. Avverso tale sentenza hanno proposto ricorso per Cassazione gli imputati, a mezzo dei rispettivi difensori, che hanno dedotto le censure di cui appresso si dirà.
2.1 Per B.L. e F.M. il comune difensore, con separati atti di ricorso, lamenta quanto segue.
Inosservanza ed erronea applicazione degli artt. 589, 590 cod. pen in relazione all'art. 40 cod. pen.
La Corte di merito avrebbe erroneamente confermato la responsabilità dei ricorrenti, trascurando di considerare una serie di significative circostanze emerse nel corso della istruttoria dibattimentale ed esaminando in maniera illogica ed approssimativa il materiale probatorio acquisito al processo. Non avrebbe considerato che la macchina era stata costruita nell'anno 2001 e consegnata al primo proprietario nel maggio 2001. Essa era stata venduta dalla Italmec alla società di noleggio "All Service S.r.l." e da questa venduta alla "Romedil", senza mai rientrare nella disponibilità della casa costruttrice.
Al momento del sinistro, avvenuto nel novembre dell'anno 2007, la macchina aveva operato per oltre sei anni al di fuori di ogni controllo del fabbricante e senza il rispetto delle regole di manutenzione imposte dal costruttore. In proposito, evidenzia la difesa, risulta dall'esame del teste S.S. e dalla consultazione del "libretto manutenzioni" che la macchina non era stata sottoposta ai dovuti controlli durante questo lungo periodo di tempo. I diversi noleggiatori, succedutisi nel possesso della macchina, avevano omesso sistematicamente di sottoporla alle dovute verifiche di manutenzione presso una delle officine autorizzate dal fabbricante.
La compiuta istruttoria aveva accertato che il macchinario era stato alterato dalla Romedil, che aveva scollegato il sistema di sicurezza che impediva il funzionamento del macchinario quando il cestello raggiungeva il peso limite.
Il macchinario, nell'anno 2007, era diverso da quello che era stato posto in circolazione da Italmec nell'anno 2001. La Romedil aveva in tal modo violato gli accordi contrattuali previsti con il costruttore, in base ai quali l'utilizzatore si impegnava a rispettare determinati limiti di impiego e ad effettuare periodiche manutenzioni.
E' provato, in base a quanto riferito dal teste S.S. all'udienza del 21/12/12, che, al momento della immissione in circolazione da parte del fabbricante, la macchina era accompagnata dal manuale d'uso e manutenzione contenente specifiche prescrizioni In materia di revisione e manutenzione. Nel novembre 2007, al momento del sinistro, il contatore della- macchina segnalava 5755 ore lavoro. Pertanto, secondo la regola, la macchina avrebbe dovuto essere sottoposta a decine di tagliandi, mai effettuati nella pratica. Invero, di fatto, sul libretto di manutenzione (allegato in atti) non risultava annotato alcun intervento.
2.2 All'atto della immissione in circolazione da parte del fabbricante, il macchinario era dotato di un impianto elettronico di controllo del carico perfettamente funzionante. Inoltre il vano di alloggio dell'impianto elettronico di controllo era chiuso. Al momento del sinistro, secondo quanto è stato verificato in seguito agli accertamenti tecnici compiuti, il vano di alloggio dell'impianto elettronico di controllo era aperto e risultava manomesso (i collegamenti erano in posizione di corto circuito come riferito dal teste F. all'udienza del 21/12/12).
2.3 Si rinviene, in atti, documentazione attestante interventi di manuntenzione eseguiti sul macchinario presso un'autofficina non autorizzata. Inoltre il macchinario era dotato di un manuale d'uso (codice n.955.047) non aggiornato e superato dalla manualistica successiva.
Quindi, dopo 7 anni dalla vendita, in assenza di controlli intermedi presso officine autorizzate, il macchinario funzionava senza che l'operatore potesse conoscere le regole aggiornate di uso della macchina. Se la gru fosse stata revisionata, come prescritto dal costruttore nel corso dei normali cicli di verifica, il costruttore avrebbe potuto intercettare la macchina pericolosa.
2.4 La gru era dotata all'origine di un dispositivo di controllo del carico che bloccava il suo funzionamento quando era superato il limite previsto. Tale dispositivo, al momento degli accertamenti, risultava manomesso. Sulla base di tale circostanza, si deve ritenere che la macchina abbia lavorato stabilmente con il dispositivo di sicurezza disattivato. Si deve altresì ritenere che, al momento dell'incidente, fosse soggetta ad un utilizzo anomalo, contrario alle regole d'uso stabilite dal fabbricante. Si è dunque accertato che, al momento del sinistro, la macchina era sottoposta ad un utilizzo anomalo, non consentito dalle norme di uso imposte dal fabbricante. Con il dispositivo funzionante, il braccio non sì sarebbe sollevato e, pertanto, l'incidente non avrebbe avuto luogo. 
2.5 Errata sarebbe la conclusione a cui giungono i Giudici di merito, secondo la quale il sinistro sarebbe conseguenza di un collasso strutturale del braccio meccanico, verificatosi in prossimità del punto di saldatura della "staffa", come stabilto dalla perizia F..
La perizia e la sentenza ometterebbero di considerare in maniera appropriata le cause della rottura, l'incidenza su di essa dell'accertato sovraccarico, i tempi di propagazione della frattura.
La difesa aveva allegato agli atti del processo la perizia V.. Il Prof. V., cattedratico dell'Università di Bologna ed esperto in metallotecnica, aveva certificato che il braccio della macchina era realizzato in metallo acciaio Weldox 700, materia prima adeguata all'uso e metallo normalmente saldabile. Il Prof. V. all'esito di un procedimento di calcolo tecnico matematico, ha accertato che la frattura del braccio si è verificata solamente molti anni dopo l'esecuzione della saldatura della staffa e dopo molte ore (migliaia) di lavoro. Il perito ha accertato inoltre che la frattura iniziale doveva essere stata provocata da cause esterne, come un urto. Il fatto essenziale, provato documentalmente nel corso del processo e non considerato dai Giudici, è che nel maggio 2007 (vedasi perizia F. pagina 117) la macchina era stata verificata da una officina non autorizzata - la Lift Service srl di Fonte Nuova (Roma) - e dall'Ente pubblico di controllo ARPA, senza che venissero individuati segni dì tale cedimento strutturale. Lo stesso Perito F. scrive che, nel maggio 2007 - quindi sei mesi prima del sinistro - sulla struttura del braccio non si erano manifestate cricche o lesioni evidenti
2.6 E’ stato versato in atti l'elaborato di parte del perito Ing. M. Antonio (esperto di dinamica e meccanica applicata) che ha anche deposto in dibattimento.
L'utilizzo della macchina di sollevamento in condizioni di sistematico sovraccarico (consapevole o inconsapevole) comporterebbe un affaticamento della macchina e ridurrebbe il numero dei cicli sopportabili dai componenti di primo assemblaggio. Nel caso in esame vi sarebbe una prova documentale (fattura di intervento di manutenzione del maggio 2007 da parte di Lift Service srl) che attesta il fatto che nel maggio 2007 non si erano ancora verificate cricche o lesioni di sorta sul braccio della macchina. Da ciò si dovrebbe desumere che la frattura del braccio della macchina si è formata progressivamente, in seguito ad un probabile urto avvenuto dopo il maggio 2007, propagatosi per effetto delle sollecitazioni subite dal macchinario, dovute a cicli di lavoro forzato con sovraccarico del cestello. Il sovraccarico della navicella -prassi illegittima di uso della macchina attuata mediante by pass del sistema di controllo del carico - sarebbe l'elemento scatenante del collasso del braccio. Se fosse stato in funzione il dispositivo di controllo di carico, il braccio non si sarebbe nemmeno alzato giacchè (si veda perizia F.) vi erano a bordo più di 200 kg., limite massimo consentito.
2.7 La Corte di merito non prende in esame l'accelerazione subita dalla frattura in relazione agli sforzi di utilizzo del macchinario.
La perizia del tecnico di parte M. Antonio analizza precisamente (con modello matematico) sia la questione dei tempi di propagazione della fessura, sia la questione del rapporto tra i tempi di propagazione e le condizioni di utilizzo della macchina. Tali questioni non sono state approfondite dal perito F.. Invero, a pagina 102 dell'elaborato, il perito sorvola sull'argomento ed ammette, durante l'udienza del 24/5/10, in sede di incidente probatorio, di non avere esaminato la questione.
2.8 Errano i Giudici di merito nel ritenere che vi sia stata una rottura istantanea del braccio.
La sentenza si contraddice quando ammette che, ancora nel maggio 2007, la macchina aveva superato positivamente i controlli dei tecnici ARPA.
Dal modello matematico presente nella perizia M. risulta che a determinare la propagazione della fessura sarebbero state necessarie 4,28 settimane di lavoro continuo della macchina (senza tempi morti). La macchina in uso alla Romedil srl, come si evince dalla deposizione del teste Fr., non era in funzione il sabato e la domenica, inoltre essa veniva utilizzata dalla Romedil alternandola con altra macchina (come riferito dal teste Fr. Stefano all'udienza del 4/7/12). Il perito M. Antonio, basandosi sulle fotografie allegate dal perito F. (vedasi foto n. 3 perizia F.), esamina e studia anche il problema della "visibilità della frattura". Il collasso immediato della sezione di braccio snodabile presupponeva che dopo l'iniziale innesco, la lesione si fosse già estesa all'intera lunghezza del braccio sino a provocarne il troncamento. Tale fenomeno avrebbe dovuto essere visibile già ad occhio nudo.
La sentenza erra clamorosamente laddove considera che la "portata massima consentita" sia un concetto suscettìbile di tolleranza. La portata massima, indicata dal costruttore sulla base di specifiche prove tecniche eseguite, non ammetteva margini di tolleranza.
Tali considerazioni avrebbero dovuto indurre la Corte di merito a ritenere che nel maggio 2007 (all'epoca della verifica effettuata del manutentore Lift Service) nessuna frattura si era prodotta sul braccio meccanico. La frattura venne provocata da un probabile urto in fase di uso, in epoca successiva al maggio 2007 e sì propagò rapidamente - anche a causa dell'uso eccessivo da parte della Romedil - con conseguente cedimento nel novembre 2007. Il giudice di prime cure omette poi di considerare che, in ragione di un'attenta opera di manutenzione ed ispezione periodica della macchina, si sarebbe potuto individuare l'esistenza della frattura anche a occhio nudo: il sinistro poteva essere evitato con l'ispezione periodica almeno settimanale. Sul punto giova soffemarsi anche sulla deposizione del testimone Fr. Stefano (escusso all'udienza del 4/7/12, pag. 52 della verbalizzazione) il quale afferma di avere eseguito la manutenzione sulla macchina alcuni giorni prima dell'incidente (il sabato precedente), ingrassando tutto il braccio con il pennello, senza rilevare alcuna frattura. La Corte di merito, ancora una volta, non si avvede di tale particolare che costituisce un sicuro elemento a favore della difesa.
3. Erronea applicazione dell'art. 113 cod. pen.
Per la difesa non sarebbe ipotizzabile la cooperazione colposa tra i diversi imputati. La sentenza mostra sul punto un grave difetto di motivazione. Il B.L. ed il F.M. non erano al corrente del comportamento del S.G.. La modifica apportata sul macchinario fu una conseguenza della iniziativa del S.G., che era il coordinatore dell'attività di fabbricazione.
Il certificato CE di collaudo del macchinario venne rilasciato dall'Ente all'Italcert in data 31/1/2001 allorquando era legale rappresentante il S.G..
Il sinistro verificatosi ad Arezzo nell'anno 2006 (e non come scritto in sentenza nel 2005) non poteva in nessun caso costituire un precedente significativo, poiché le condizioni di uso e manutenzione di quel macchinario e le condizioni del sinistro erano del tutto particolari e specifiche. Nell'incidente di Arezzo era coinvolta una macchina di tipo diverso rispetto a quella rimasta coinvolta nell'incidente per cui è causa, come risulta dalla deposizione dei testi S.S. e M. Antonio. Non potrebbe quindi dedursi alcun profilo di responsabilità e consapevolezza in capo al fabbricante, anche perchè - per fatto imputabile alla stessa Romedil srl - il fabbricante non era a conoscenza della posizione del macchinario.
4. Disapplicazione dell'art. 41, comma 2, cod. pen.
Il giudizio non avrebbe accertato la condotta colposa ascritta ai ricorrenti e, soprattutto, non avrebbe accertato il nesso causale tra la condotta e l'evento.
Non avrebbe considerato a questo fine le circostanze idonee ad interrompere l'ipotizzato nesso causale: il cedimento si è verficato dopo oltre sei anni dalla consegna del macchinario alla prima società acquirente; nel maggio 2007 la macchina era stata cotrollata dalla Lift Service che non aveva rilevato anomalie; il teste F. aveva praticato la manutenzione il sabato precedente senza rilevare alcuna frattura; la rottura del braccio meccanico fu un fatto improvviso non riconducibile alla saldatura; era stata accertata una sistematica violazione delle norme di utilizzo del macchinario con disapplicazione del sistema di controllo del peso. 
Si tratta di cause indipendenti sopravvenute, poste ai di fuori del raggio di azione e controllo del fabbricante.
5. Erronea applicazione dell'art. 133 cod. pen. in riferimento agli artt. 2056 e 1227 cod. civile.
La sentenza non avrebbe ponderato l'esistenza di concause e fatti causali indipendenti. Il processo ha accertato che la macchina veniva adoperata senza l'impiego dei prescritti dispositivi di sicurezza.
Nel verbale AUSL del 29/11/07 è attestata la circostanza che i due operatori coinvolti al momento del sinistro non indossavano le cinture di sicurezza predisposte sulla navetta. Inoltre risulta che i due operatori indossavano i caschi slacciati (circostanza ammessa anche dai testi D.E. e Fr. verbale d’udienza 4/7/12). Se i due operatori avessero utilizzato correttamente i caschi e le cinture disponibili, le conseguenze del sinistro sarebbero state ben diverse. L’utilizzo delle cinture avrebbe evitato ad uno degli operatori di precipitare (il corpo di T.M. fu proiettato in avanti venendo espulso dalla navicella durante la rotazione del braccio in caduta). Allo stesso modo il corretto utilizzo del casco avrebbe evitato o limitato le conseguenze del sinistro.
La Corte di appello avrebbe omesso di considerare la posizione di tutti i soggetti a vario titolo coinvolti nella vicenda omettendo di verificare le specifiche relazioni contrattuali che li legavano. Il sinistro si è verificato nell'ambito di un cantiere in cui operano diversi soggetti, ciascuno con specifiche competenze.
Investito delle questioni civili, a fronte del comportamento colposo delle stesse vittime (mancato uso delle cinture e dei caschi), la Corte territoriale avrebbe dovuto valutare in altro modo i fatti e quantificare diversamente, in termini percentuali, i comportamenti colposi.
6. Con specifico riferimento alla posizione di F.M. la difesa lamenta che la motivazione offerta dalla Corte di merito sarebbe contraddittoria ed illogica: il processo avrebbe dimostrato la circostanza che, nel novembre 2007, appena ricevuta la notizia dell'evento verificatosi in Roma, venne incaricato un Ente di Certificazione ("Eco S.p.a." di Fidenza) a cui fu affidato il compito di verificare tutte le macchine poste in commercio dal 1997 al 2002.
7. S.G. impugna la sentenza ai soli effetti civili, articolando i seguenti motivi di ricorso.
7.1 Violazione di legge e vizio di motivazione in relazione al tema della ritenuta responsabilità del ricorrente per l'errore nella realizzazione della saldatura della mensola porta impianti del braccio elevatore collassato.
Nel motivo di appello la difesa aveva lamentato che il Tribunale aveva ascritto collettivamente a tutti gli imputati una serie di condotte ritenute contrarie a regole di prudenza e a regole cautelari, senza fare alcuna distinzione tra le varie posizioni. Nell'atto di appello si era evidenziato che il S.G. era stato legale rapp.te della Soc. Italmec fino al 31.3.2001 allorquando era subentrato il B.L.. La macchina era stata venduta il 31.5.2001, corredata da una dichiarazione di conformità sottoscritta dal B.L..
Sulla base di tali elementi doveva essere esclusa la responsabilità del S.G., poiché non emergevano dagli atti circostanze dalle quali era possibile desumere che fosse stato il S.G. ad ordinare la realizzazione della saldatura (eseguita male, lasciando sulla superficie pericolosi spruzzi di vernice e senza procedere al preriscaldamento dei materiali, determinando il formarsi della "cricca").
Ebbene, la Corte di merito pur avendo individuato la causa della rottura del braccio, ha omesso di offrire congrua motivazione in ordine alla individuazione del soggetto a cui era imputabile la condotta.
7.2 Inosservanza di norme processuali e vizio di motivazione con riferimento all'affermata responsabilità dell'imputato per la progettazione e l'esecuzione della modifica apportata sul braccio elevatore del macchinario.
La compiuta istruttoria avrebbe consentito di accertare che non erano mai esistiti progetti e tavole riguardanti il braccio allestito con la canaletta. La situazione di pericolo venutasi a creare non sarebbe ascrivibile al S.G., ma al suo successore. Il fatto che durante il periodo di amministrazione del S.G. siano stati realizzati alcuni bracci dotati della canaletta non implica che tale soluzione sia stata replicata in tutte le successive macchine. Se così fosse stato, si sarebbero dovuti rinvenire i progetti che, tuttavia, non esistono.
7.3 Travisamento della prova con riferimento alla ritenuta esistenza di un progetto di costruzione del braccio elevatore dotato di canaletta.
7.4 Inosservanza di norme processuali e mancanza di motivazione con riferimento al tema della responsabilità concorrente delle vittime nella causazione dell'evento dannoso.
7.5 Mancanza di motivazione e travisamento della prova con riferimento al tema dell'uso dei caschi protettivi da parte dei lavoratori.
7.6 Mancanza di motivazione e travisamento della prova con riferimento al tema della colpa concorrente del proprietario della macchina collassata e del manovratore al momento del fatto.
7.7 Erronea applicazione della legge penale ed illogicità della motivazione con riferimento alla ritenuta sussistenza della cooperazione colposa nel reato ex art. 113 cod. pen.
8. Le parti civili costituite, a mezzo dei rispettivi difensori, hanno depositato memorie nelle quali chiedono che i ricorsi siano rigettati o dichiarati inammissibili.

Diritto


1. Osserva preliminarmente la Corte come i reati ascritti al ricorrente B.L. siano estinti per intervenuta prescrizione.
E' necessario tuttavia effettuare talune precisazioni in proposito.
E' d'uopo rilevare che, prima dell'introduzione dell'art.1, comma 1, lett.c) del d.l. 23 maggio 2008, n.92, convertito nella l. 24 luglio 2008, n.125, la pena edittale massima prevista per il reato di omicidio colposo commesso con violazione delle norme per la prevenzione degli infortuni sul lavoro era di anni cinque di reclusione.
Il raddoppio dei termini di prescrizione, ex art. 157, comma 6, cod. pen., è stato introdotto dall'art. 6 della I. 5 dicembre 2005, n.251 (cd. legge "Cirielli") in vigore dall'8/12/2005.
Per effetto del raddoppio, il termine massimo di prescrizione del suddetto reato, prima dell'innalzamento del limite edittale massimo della pena (portato ad anni sette dal citato d.l. 92/2008) era, nella vigenza del nuovo regime di prescrizione, di anni 15 di reclusione.
Erra, pertanto, la Corte territoriale nell'affermare che il raddoppio del termine di prescrizione è "conseguente alle modifiche introdotte con il D.L. n. 92/2008". Il richiamo al d.l. 92/2008 è inconferente poiché la previsione del raddoppio della prescrizione è stata introdotta con I. 251/2005.
Sebbene i fatti risalgano al 27.11.2007, epoca in cui si è verificato l'evento del decesso del T.M. e delle lesioni occorse al D.E., le condotte ascritte al B.L. risultano anteriori alla entrata in vigore della I. 251/2005, essendosi realizzate nel periodo compreso tra il 31/5/2001 - allorquando il B.L. assunse la qualifica di legale rapp.te della Soc. Italmenc ponendo in commercio il macchinario, accompagnato dalla inveritiera certificazione di conformità - ed il 21/10/2003 (data nella quale dismise la carica di legale rappresentate).
1.2 Ai fini della individuazione del regime di prescrizione da applicarsi in relazione alla posizione di B.L., occorre rilevare come questa Sezione abbia avuto modo di affermare che, ulteriore corollario del percorso argomentativo della pronuncia a Sezioni Unite Pittala, sebbene non espressamente declinato nella pronuncia, in quanto non compreso nell'oggetto del devolutum nella ordinanza di rimessione, debba essere ravvisato nella possibilità di estendere la regola enunciata nella predetta sentenza anche al regime della prescrizione, tenuto conto delle modifiche ad esso apportate dall'art. 6 L. 5.12.2005 n.251 [cfr. Sez. 4, n. 13582 del 23/01/2019, Rv. 275800 - 01, così massimata: "In tema di prescrizione, nel caso di condotta interamente posta in essere sotto il vigore di una legge penale più favorevole e di un evento intervenuto nella vigenza della legge più sfavorevole, trova applicazione la disciplina vigente al momento della cessazione della condotta. (Fattispecie in tema di omicidio colposo plurimo con inosservanza della normativa antinfortunistica In materia di amianto, in cui, essendo intervenuto il decesso delle persone offese nella vigenza della meno favorevole disciplina sulla prescrizione introdotta dalla legge 05 dicembre 2005, n. 251, la Corte ha ritenuto applicabile la normativa di cui al previgente art. art. 157 cod. pen.)"].
E' il caso di rammentare, per quanto di interesse in questa sede, che la sentenza delle Sezioni Unite Pittala era stata chiamata a pronunciarsi sul seguente quesito: "se, a fronte di una condotta interamente posta in essere sotto il vigore di una legge penale più favorevole e di un evento intervenuto nella vigenza di una legge penale più sfavorevole, debba trovare applicazione la legge vigente al momento della condotta ovvero quella vigente al momento dell'evento".
All'esito dell'articolata motivazione, le Sezioni Unite hanno affermato il seguente principio di diritto:"In tema di successione di leggi penali, nel caso in cui l'evento del reato intervenga nella vigenza di una legge penale più sfavorevole rispetto a quella in vigore al momento in cui è stata posta in essere la condotta, deve trovare applicazione la legge vigente al momento della condotta. (Nella specie la Corte ha annullato la sentenza di patteggiamento con cui era stata applicata la pena più severa introdotta dalla norma incriminatrice dell'omicidio stradale di cui all'art. 589-bis cod. pen., entrata in vigore medio tempore, prima della verificazione dell'evento lesivo)" (così Sez. U, n. 40986 del 19/07/2018, Rv. 273934 - 01).
In ordine alla ratio sottesa alla estensione al regime della prescrizione della regola di diritto appena enunciata, la pronuncia di questa Sezione ha osservato: "le ragioni di interpretazione sistematica e di consonanza con i principi costituzionali richiamati a conforto della conclusione assunta dalle sezioni unite nella sentenza Pittalà appaiono invero applicabili anche alla normativa penale che disciplina il tempo necessario a prescrivere. Se infatti il cittadino al momento della condotta deve avere la concreta conoscibilità del sistema ordinamentale, precettivo e sanzionatorio che consegue all'inosservanza della norma penale, in una prospettiva anche della funzione preventiva della pena, appare del tutto coerente con il sistema delineato dalle sezioni unite riconoscere preminente rilievo alla garanzia fornita al consociato di mettere in preventivo i costi e l’afflitti vita dell'illecito ricomprendendo in essa la previsione del tempo necessario a estinguere il reato in ragione dell'omesso o intempestivo esercizio dell'azione penale. Invero a sostegno della rilevanza sostanziale dell'istituto della prescrizione e della riconducibilità delle disposizioni sulla individuazione del termine necessario a prescrivere al principio di legalità, nelle sue varie declinazioni di tassatività e di non ultrattività della norma penale e di divieto di retroattività della norma penale più sfavorevole trovano fondamentali agganci nella giurisprudenza di legittimità, anche a sezioni unite e del giudice delle leggi" (cosi in motivazione la già citata Sez. 4, n. 13582 del 23/01/2019, Rv, 275800 - 01).
1.3 Tutto ciò premesso, in ossequio al condivisibile orientamento richiamato, devono ritenersi estinti per prescrizione i reati ascritti a B.L.. Come osservato in precedenza, al paragrafo 1 della parte in diritto, le condotte poste in essere dal ricorrente si collocano temporalmente nel periodo compreso tra il 31/5/2001 ed il 21/10/2003, ossia in epoca anteriore alla entrata in vigore del regime di prescrizione introdotto dalla I. 251/2005 illo tempore (vale a dire negli anni 2001- 2003) il delitto di omicidio colposo, commesso con violazione delle norme per la prevenzione degli infortuni sul lavoro, era punito con la pena massima di anni cinque di reclusione. Il termine di prescrizione massimo, in base ai previgenti artt. 157 e 160 cod. pen., era di anni 15 (anni 10 più la metà di anni 10).
In virtù del regime di prescrizione vigente prima della introduzione della cd. legge "Cirielli", per consolidato orientamento della Corte di legittimità, in tema di omicidio colposo aggravato dalla violazione delle norme antinfortunistiche, la concessione delle attenuanti generiche, in rapporto di prevalenza sull'aggravante, influiva sulla determinazione del tempo necessario a prescrivere (cfr. ex multis Sez. 4, Sentenza n. 8879 del 11/05/1987, Rv. 176498 - 01: "In tema di prescrizione, quando il reato di omicidio colposo, aggravato dalla violazione delle norme sulla circolazione stradale o antinfortunistiche, sia attenuato da circostanze dichiarate prevalenti sull'aggravante, deve ritenersi sanzionato con una pena edittale massima inferiore a cinque anni di reclusione, determinandosi, così, il termine di prescrizione di cui all'art. 157, primo comma n. 4 cod. pen., prolungabile fino a sette anni e sei mesi a norma dell'art. 160 ult. cpv. stesso codice").
Nel caso in esame, il Giudice di primo grado ha concesso al B.L. le circostanze attenuanti generiche. Benché non lo abbia espressamente indicato, dal testo della sentenza, nella parte dedicata al trattamento sanzionatorio, si evince che ha applicato le attenuanti generiche con giudizio di prevalenza sulla contestata aggravante (la pena è stata determinata nel modo seguente: pena base anni 1 mesi 9 di reclusione, ridotta per la concessione delle attenuanti generiche ad anni 1 mesi 2 di reclusione, aumentata ad anni 1 mesi 4 di reclusione per la continuazione tra i reati).
Sulla base di tali elementi deve ritenersi che il termine massimo di prescizione del reato di omicidio colposo ascritto al B.L. sia di anni 7 e mesi 6.
Facendo decorrere tale termine dalla data di consumazione del reato di omicidio colposo (27/11/07), ed aggiungendo il periodo di sospensione della prescrizione, pari a giorni 60, detto reato risulta estinto per prescrizione alla data del 27/7/2015. Ad analogo esito si perviene con riferimento al reato di lesioni colpose, il cui termine massimo di prescrizione è di anni 7 e mesi 6.
Per completezza argomentativa, si aggiunge che la previsione di cui all'ultimo comma di cui all'art. 589 cod. pen., riguardante l'ipotesi della morte di più persone e della morte e lesioni di più persone derivanti da un'unica condotta, non è suscettibile di incidere sul regime di prescrizione poiché, secondo consolidato orientamento della Corte di legittimità, ciascun reato conserva la propria individualità ai fini della prescrizione ( cfr. ex muttis Sez. 4, n. 3127 del 27/01/1999, Rv. 213221 - 01: «In tema di omicidio colposo la fattispecie disciplinata dall’ultimo comma dell’art. 589 cod. pen. non costituisce un'autonoma figura di reato complesso, ne' dà luogo alla previsione di circostanza aggravante rispetto al reato previsto dal primo comma, ma prevede un'ipotesi di concorso formale di reati, unificati solo "quoad poenam", con la conseguenza che ogni fattispecie di reato conserva la propria autonomia e distinzione. (Fattispecie di prescrizione, il cui termine, in applicazione di detto principio, va calcolato in relazione a ciascun reato)».
E' il caso di aggiungere che la ricostruzione fin qui operata in ordine al regime di prescrizione da applicarsi al B.L. vale solo con riferimento alla sua posizione. Le condotte ascritte a F.M. si sono protratte oltre la data di entrata in vigore della legge 251/05. Quindi, per il F.M., in relazione al delitto di omicidio colposo contestato, vale il raddoppio dei termini di prescrizione contemplato dall'art. 157, comma 6, cod. pen.
1.4 Per B.L. sussistono le condizioni per rilevare d'ufficio l'intervenuta causa estintiva dei reati per cui si procede, non presentando il ricorso profili di inammissibilità suscettibili d'incidere sulla valida instaurazione del rapporto di impugnazione. In lìnea generale, la inammissibilità del ricorso, sotto il profilo contenutistico, si caratterizza per l'aspecificità dei motivi, i quali, per essere tali, devono presentare aspetti di genericità ed indeterminatezza o risultare carenti della necessaria correlazione con le argomentazioni riportate nella decisione impugnata (cosi ex multis Sez. 4, Sentenza n. 18826 del 09/02/2012, Rv. 253849 - 01). Deve rilevarsi come tali qualificazioni non siano individuabili nei motivi di censura proposti, in rapporto ai quali non è sostenibile la ricorrenza di ipotesi ascrivibili alla categoria della inammissibilità, pur dovendosi dare atto della loro infondatezza che rileva, in questa sede, ai fini del rigetto del ricorso agli effetti civili.
E' d'uopo rammentare, proprio con riferimento a tale ultimo aspetto, che nel giudizio di impugnazione, in presenza di una condanna al risarcimento dei danni o alle restituzioni pronunciata dal primo giudice o dalla Corte d'appello, in seguito a costituzione di parte civile nel processo, è preciso obbligo del giudice, anche di legittimità, secondo il disposto dell’art. 578 cod. proc. pen., esaminare il fondamento dell'azione civile e verificare, senza alcun limite, l'esistenza di tutti gli elementi della fattispecie penale al fine di confermare o meno la condanna alle restituzioni ed al risarcimento pronunciate nei precedenti gradi.
1.5 Tutto ciò premesso, occorre rilevare come i motivi di doglianza dedotti dal B.L. siano, come detto, infondati.
Con il primo motivo la difesa sostiene che la Corte di merito avrebbe trascurato di considerare circostanze rilevanti ai fini di una diversa risoluzione della vicenda, lamentando che non si era tenuto conto, sotto il profilo della determinazione del nesso causale, del lungo tempo trascorso dal momento dell'alienazione del macchinario e della mancanza di una regolare manutenzione durante quel periodo (dal 2001 al 2007) presso officine autorizzate.
Tali argomentazioni dovrebbero valere, secondo l'intendimento della difesa, ad escludere il nesso di causalità tra la condotta addebitata al B.L. (l'avere venduto il macchinario collassato accompagnato da una certificazione di conformità che non si riferiva a quel modello) e l'evento. In realtà la difesa, nel prospettare cause alternative a quelle indicate in motivazione dalla Corte di merito, non spiega come esse possano avere determinato da sole il cedimento del braccio telescopico, interrompendo il decorso causale puntualmente evidenziato in sentenza, e non individua aspetti critici nel ragionamento seguito dalla Corte territoriale in sentenza.
In proposito la Corte di merito offre una risposta accurata, non censurabile in sede di legittimità, ponendo in evidenza che la causa accertata del cedimento strutturale del braccio telescopico deve essere individuata in un difetto di fabbricazione del macchinario, riconducibile alle modifiche apportate dall'azienda costruttrice sul braccio medesimo, consistite nella saldatura - imperfetta e mal eseguita - sul predetto braccio, di una mensola di appoggio della canalina porta impianti che aveva reso vulnerabile la parte interessata, determinandone la rottura (si legge nella sentenza che il collasso aveva interessato la sezione del primo elemento JIB della piattaforma di lavoro elevabile dove era stata appunto saldata la staffa per il sostegno della canaletta). 
La modifica introdotta, inesistente nel progetto originario, non era stata approvata dall'Ente notificato. Secondo quanto stabilisce il punto 5 dell'allegato VI della Direttiva Macchine 98/37/CE, richiamato nelle sentenze di merito, tendente a realizzare un controllo specifico sulla conformità di macchinari ai requisiti di sicurezza prima della loro immissione in commercio, il fabbricante deve informare l'organismo notificato di tutte le modifiche, sia pure di scarsa importanza, che abbia apportato o che intende apportare alla macchina che forma oggetto del modello. L'organismo notificato, dopo le opportune verifiche, decide sulla permanenza della validità della certificazione CE, la quale rende lecita la produzione e la commercializzazione della macchina.
1.6 Per un corretto inquadramento della fattispecie concreta esaminata dai giudici di merito con riguardo al profilo normativo, occorre ricordare che la disciplina introdotta con il d.P.R. 24 luglio 1996, n. 459 (denominato Regolamento per l'attuazione delle 89/392/CEE, 91/368/CEE, 93/44/CEE e 93/68/CEE concernenti il riavvicinamento delle legislazioni degli Stati membri relative alle macchine), meglio conosciuto con il nome "Direttiva Macchine", ha regolamentato i presidi antinfortunistici concernenti le macchine e i componenti di sicurezza immessi sul mercato. Tali norme traevano origine dalla Direttiva n. 89/392, la cui base giuridica era costituita dall'art. 100 del Trattato CE (sostituito dall'art. 114 del Trattato sul funzionamento dell'unione europea - TFUE), che consente all'Unione di adottare misure volte al riavvicinamento delle legislazioni degli Stati membri nei vari settori d'interesse. La Direttiva Macchine, nella sua originaria versione, è stata poi modificata dalle successive seguenti Direttive: la Direttiva 91/368/CEE5, che ha ampliato il campo d'applicazione della Direttiva Macchine alle attrezzature intercambiabili, alle macchine mobili e alle macchine per il sollevamento di cose; la Direttiva 93/44/CEE, che ha esteso il campo di applicazione della Direttiva Macchine ai componenti di sicurezza ed alle macchine per il sollevamento.
La Direttiva originaria e le sue successive modifiche sono state unificate nella Direttiva 98/37/CEE, a sua volta lievemente modificata con l'esclusione dei dispositivi medici (Direttiva 98/79/CE), che è rimasta in vigore fino al 29 dicembre 2009. L'intera normativa è stata poi trasfusa nella successiva nuova Direttiva n. 2006/42/CE, attuata nell'ordinamento italiano con il d.lgs. 27 gennaio 2010, n. 17.
Dal raccordo del complesso di tale normativa con il sistema prevenzionistico già in vigore, si è da tempo desunta un'anticipazione della soglia di tutela antinfortunistica al momento della costruzione, vendita, noleggio e concessione in uso dei macchinari, che implica il coinvolgimento della responsabilità del fabbricante per la mancata rispondenza dei prodotti alle normative di sicurezza (si vedano in proposito Sez. 3, n. 37408 del 24/06/2005, Guerinoni, n,m.; Sez. 4, n. 4923 del 15/12/2009, dep. 2010, Bonfiglioli, n.m.).
Nel presente caso, la violazione dell'obbligo imposto dalla normativa richiamata, rispondente alla necessità che siano messi in circolazione prodotti sicuri, è reso ancora più evidente dalla circostanza, rimarcata in sentenza, che il macchinarlo, oltre ad essere stato sottoposto a modifiche non approvate dall'organo notificato, fu posto in commercio accompagnato da una certificazione di conformità che si riferiva al modello 42NR (altro diverso modello da quello interessato dal cedimento).
1.7 Ebbene, le argomentazioni proposte dalla difesa, non si confrontano realmente con la motivazione offerta dalla Corte: il ricorrente, pur non contestando la esistenza della modifica praticata sul macchinario, individua plurime causali alternative dell'infortunio le quali, come osservato correttamente nella motivazione della sentenza impugnata, possono astrattamente escludere la responsabilità del fabbricante, secondo i principi generali (artt. 40 e 41 cod. pen.), soltanto ove sia dimostrato che abbiano determinato da sole l'evento, interrompendo o escludendo il rapporto causale con le condotte contestate, non essendo al contrario ammissibile che la concorrenza anche di altre cause nel verificarsi dell'evento sia ex se fonte di esonero di responsabilità, per il noto principio della equivalenza di esse.
In particolare, come già detto in precedenza, la difesa ritiene che l'infortunio sia da addebitarsi non alla modifica strutturale apportata al macchinario, ma al decorso del tempo, alla mancanza di manutenzione del macchinario presso ditte autorizzate, all'uso improprio del braccio elevatore, caricato oltre il limite imposto dal fabbricante mediante disattivazione del congegno di rilevazione del carico, al mancato impiego dei caschi e delle cinture di sicurezza da parte dei tecnici che avevano preso posto nel cestello. Ebbene, ciascuna di tali cause alternative è stata puntualmente esaminata dai Giudici di merito che sono pervenuti alla conclusione della irrilevanza della loro incidenza sul decorso causale, con motivazione del tutto adeguata.
Il profilo del decorso del tempo è stato esaminato in sentenza, sia pure implicitamente, nella parte in cui si evidenzia che l'analisi delle modalità di accadimento del fatto e le condivisibili risultanze della perizia effettuata dall'Ing. F. hanno rivelato che il cedimento del braccio è stato istantaneo e che la causa è riconducibile unicamente alla saldatura effettuata sul macchinario. Quanto alla manutenzione, la Corte di merito ha ricordato che il macchinario era stato sottoposto alla revisione annuale dell'ARPA ed al controllo della Lift Service, officina indicata dalla Heila - Italmec, sei mesi prima dell'incidente. 
Per altro verso, è d'uopo rilevare che la distanza temporale della condotta colposa rispetto al risultato dell'evento, secondo principi già affermati dalla giurisprudenza di legittimità in materia di omicidio e lesioni colpose, non impedisce di riconoscere la responsabilità penale del soggetto che tale condotta abbia posto in essere. Sì è invero affermato che deve essere tenuto nettamente distinto il momento nel quale fu posta in essere la condotta dell’Imputato e quello degli eventi che si ritengono generati da quella condotta, dato che condotta ed evento, pur essendo elementi costitutivi di un unico fatto rilevante, possono essere tra loro temporalmente distanti senza che ciò possa incidere sull'affermazione di responsabilità (così Sez. 5, n. 998 del 31/3/1992, Quaglino, Rv. 190422 in una fattispecie relativa ad eventi -deflagrazione di una miscela aria-gas metano a seguito della quale era crollato un fabbricato cagionando la morte di un abitante - verificatisi nel 1986, in cui la Corte ha ritenuto legittimo che la condotta causativa di tali eventi penalmente rilevanti potesse esser ricercata con riferimento ad eventuali deficienze nella costruzione dell'impianto del gas sotto la casa della vittima avvenuta tra il 1970 e il 1972).
Quanto al lamentato sovraccarico del cestello, sulla base dei dati ricavati dalla compiuta istruttoria e dall'elaborato peritale dell'Ing. F., la Corte ha accertato che il superamento del peso indicato dalla casa costruttrice non ha influito in alcun modo sul determinarsi dell'infortunio.
Ha infatti evidenziato che il carico esistente al momento del cedimento era di 223 kg., superiore del 10% a quello stabilito dalla casa costruttrice e, comunque, inferiore a quello massimo consentito (pari a 240 kg.). Il dispositivo di controllo e di sicurezza del carico - benché trovato disattivato dopo l'infortunio - non si sarebbe comunque attivato nella circostanza in esame, perché tarato per entrare in funzione solo in caso di superamento del 120% del carico nominale,
Quanto all'impiego delle cinture e dei caschi, tali dispositivi, si legge in sentenza, non avrebbero impedito il verificarsi dell'evento poiché, dopo la frattura del braccio, i due tecnici sono precipitati al suolo con tutto il cestello e le cinture erano state concepite non per tenere l’operatore ancorato saldamente all'interno della struttura, ma per impedirgli la caduta nei movimenti, essendo collegate al parapetto del cestello tramite funi abbastanza lunghe.
Da tutto quanto precede, deve ritenersi che la Corte di merito abbia offerta congrua risposta in ordine alla causa dell'infortunio occorso ai due tecnici, esponendo argomentazioni che si rivelano incensurabili in questa sede, poiché sorrette da valutazioni logiche e coerenti, oltreché rispondenti ai principi di diritto stabiliti in sede di legittimità.
1.8 Più in particolare, quanto ai princìpi generali che informano la materia, a cui si attenuta la Corte di merito, è il caso di rammentare che le Sezioni Unite di questa Corte hanno stabilito che "Qualora un infortunio sia dipeso dalla utilizzazione di macchine od impianti non conformi alle norme antinfortunistiche, la responsabilità dell'imprenditore che li ha messi in funzione senza ovviare alla non rispondenza alla normativa suddetta non fa venir meno la responsabilità di chi ha costruito, installato, venduto o ceduto gli impianti o i macchinari stessi" (Sez. U, n. 1003 del 23/11/1990, dep. 30/01/1991, Rv. 186372 - 01).
In applicazione di detto principio numerose successive pronunce di questa Corte hanno ribadito che il costruttore riveste una posizione di garanzia in relazione ai difetti strutturali dei macchinari messi in commercio, rispondendo per gli eventi dannosi causalmente ricollegabili alla fornitura di tali macchinari, a meno che non si provi che l'utilizzatore abbia compiuto sulla macchina trasformazioni di natura e di entità tale da poter essere considerate causa sopravvenuta da sola sufficiente a determinare l'evento. Se ciò non si verifica - come avvenuto nel caso in esame - si ha una permanenza della posizione di garanzia del costruttore che non esclude il nesso di condizionamento con l'evento (così Sez. 4, n. 1216 dei 26/10/2005, dep. 13/01/2006, Rv. 233174 - 01)
Anche il lamentato uso improprio del macchinario, messo in rilievo dalla difesa nella parte in cui rileva l'avvenuto sovraccarico del cestello, non può dare luogo ad un esonero di responsabilità ove non si dimostri che tale uso improprio sia stato da solo causa sufficiente a determinare l'evento [cfr. Sez, 4, Sentenza n. 39157 del 18/01/2013, Rv. 256390 - 01: "In tema di responsabilità per colpa, il costruttore risponde per gli eventi dannosi causalmente ricollegabili alla costruzione del prodotto ove risulti privo dei necessari dispositivi o requisiti di sicurezza e sempre che l'utilizzatore non ne abbia fatto un uso improprio, tale da poter essere considerato causa sopravvenuta, da sola sufficiente a determinare l'evento. (Fattispecie in tema di responsabilità del produttore di un aliante, a seguito di un incidente in volo per una manovra acrobatica)"].
In conclusione, la rilevata mancanza di efficacia sul decorso causale delle circostanze rilevate dalla difesa, predicata dalla Corte di merito nella sentenza impugnata, alla luce dei principi espressi in sede di legittimità in casi analoghi, è del tutto idonea ad escludere un esonero di responsabilità del ricorrente.
1.9 Il rilievo sulla erronea configurazione dell'art. 113 cod. pen., oggetto del secondo motivo di ricorso, non ha incidenza sui profili di responsabilità individuati a carico del B.L..
Va subito ricordato che la cooperazione nel delitto colposo si distingue dal concorso di cause colpose indipendenti per la necessaria reciproca consapevolezza dei cooperanti di contribuire alla realizzazione di un evento non voluto [cfr. Sez. 4, n. 49735 del 13/11/2014, Jimenez Vellejro, Rv. 261183: "La cooperazione nel delitto colposo si distingue dal concorso di cause colpose indipendenti per la necessaria reciproca consapevolezza dei cooperanti della convergenza dei rispettivi contributi all'incedere di una comune procedura in corso, senza che, peraltro, sia necessaria la consapevolezza del carattere colposo dell'altrui condotta in tutti quei casi in cui il coinvolgimento integrato di più soggetti sia imposto dalla legge ovvero da esigenze organizzative connesse alla gestione del rischio o, quantomeno, sia contingenza oggettivamente definita della quale gli stessi soggetti risultino pienamente consapevoli. (Fattispecie in cui è stata ritenuta responsabile di omicidio colposo a titolo di cooperazione la madre della vittima, la quale era salita a bordo dell'autovettura guidata dal coniuge, che versava in evidente stato di ebbrezza alcolica, senza preoccuparsi di collocare nel seggiolino di sicurezza il figlio, che rimaneva ucciso nell'incidente stradale causato dalla condotta di guida del padre)]".
Benché non sia ravvisabile nel caso in esame una ipotesi tipica di cooperazione colposa, poiché il S.G. ed il B.L. si sono avvicendati nella carica di legali rappresentanti della Società, il rilievo non ha carattere dirimente circa la esclusione della riferibilità al B.L. delle condotte colpose che hanno determinato l'infortunio: come già detto in precedenza, il B.L., quale legale rappresentante della società Italmec, ha posto in commercio il macchinario difettoso, accompagnato da una certificazione di conformità che non si riferiva a quel determinato modello.
1.10 Infondate risultano le ulteriori critiche contenute nel terzo motivo di ricorso nelle quali si ribadisce l'ipotesi che l'infortunio sia dipeso da cause diverse dal difetto di fabbricazione strutturale del macchinario, sopravvenute rispetto alla messa in circolazione del mezzo ed interruttive del nesso di causalità. La difesa in questa parte del ricorso, riallacciandosi ai rilievi precedenti ed alle risultanze delle consulenze di parte, prospetta una diversa ricostruzione dei fatti, affermando che le cause del cedimento del braccio telescopico erano da ricercarsi nel mancato rispetto delle regole di uso e manutenzione, nella omessa applicazione da parte della Romedil delle norme di sicurezza, nella disattivazione dei sistemi di controllo di cui la macchina era dotata. Oltre ad essere sostanzialmente ripetitive dei concetti già espressi nel primo motivo di ricorso, i rilievi sollecitano, da parte della Corte di legittimità, una non consentita rivalutazione delle emergenze probatorie. E' il caso di rammentare, con riferimento ai più generali poteri di controllo esperibili in questa sede, come alla Corte di Cassazione non spetti il compito di procedere ad una rinnovata valutazione degli elementi probatori posti a base del giudizio di responsabilità, (cfr. Sez. U n. 12 del 31/05/2000, Rv. 216260 - 01, Jakani, così massimata: «In tema di controllo sulla motivazione, alla Corte di cassazione è normativamente preclusa la possibilità non solo di sovrapporre la propria valutazione delle risultanze processuali a quella compiuta nei precedenti gradi, ma anche di saggiare la tenuta logica della pronuncia portata alla sua cognizione mediante un raffronto tra l’apparato argomentativo che la sorregge ed eventuali altri modelli di ragionamento mutuati dall'esterno; ed invero, avendo il legislatore attribuito rilievo esclusivamente al testo del provvedimento impugnato, che si presenta quale elaborato dell'Intelletto costituente un sistema logico in sè compiuto ed autonomo, il sindacato di legittimità è limitato alla verifica della coerenza strutturale della sentenza in sè e per sè considerata, necessariamente condotta alla stregua degli stessi parametri valutativi da cui essa è "geneticamente" informata, ancorché questi siano ipoteticamente sostituibili da altri»; Sez. U, n. 6402 del 30/04/1997, Rv. 207944 - 01 , così massimata: «L'indagine di legittimità sul discorso giustificativo della decisione ha un orizzonte circoscritto, dovendo il sindacato demandato alla Corte di cassazione essere limitato - per espressa volontà del legislatore - a riscontrare l'esistenza di un logico apparato argomentativo sui vari punti della decisione impugnata, senza possibilità di verificare l'adeguatezza delle argomentazioni di cui il giudice di merito si è avvalso per sostanziare il suo convincimento, o la loro rispondenza alle acquisizioni processuali. Esula, infatti, dai poteri della Corte di cassazione quello di una "rilettura" degli elementi di fatto posti a fondamento della decisione, la cui valutazione è, in vìa esclusiva, riservata al giudice di merito, senza che possa integrare il vizio di legittimità la mera prospettazione di una diversa, e per il ricorrente più adeguata, valutazione delle risultanze processuali»).
In ordine poi all'apprezzamento espresso dal Giudice di merito circa i risultati della cd. "prova scientifica", occorre rammentare che esso è soggetto a controllo di legittimità solo con riferimento agli aspetti motivazionali che sostengono l'approccio del Giudice al sapere scientifico e che giustificano l'affidabilità delle informazioni che si ricavano da esso (in argomento Sez. 5, n. 6754 del 07/10/2014, dep. 16/02/2015, Rv. 262722 - 01, così massimata: «In tema di prova scientifica, la Cassazione non deve stabilire la maggiore o minore attendibilità scientifica delle acquisizioni esaminate dal giudice di merito e, quindi, se la tesi accolta sia esatta ma solo se la spiegazione fornita sia razionale e logica; essa, infatti, non è giudice del sapere scientifico ed è solo chiamata a valutare la correttezza metodologica dell’approccio del giudice di merito al sapere tecnico-scientifico, che riguarda la preliminare, indispensabile verifica critica in ordine all'affidabilità delle informazioni utilizzate ai fini della spiegazione del fatto. Ne deriva che il giudice di legittimità non può operare una differente valutazione degli esiti di una consulenza, trattandosi di un accertamento di fatto, insindacabile in sede di legittimità, se congruamente motivato»). 
Ebbene, anche in ordine a tale profilo le argomentazioni espresse dalla Corte di appello non risultano censurabili. Sul piano della valutazione degli apporti scientifici, la Corte di merito ha inteso condividere le conclusioni espresse dal perito Ing. Rodolfo F. evidenziando la completezza del suo elaborato e la persuasività tecnico scientifica delle sue conclusioni anche alla luce di tutti gli elementi probatori acquisiti nel corso del giudizio, oggetto di puntuale disamina in sentenza nella parte dedicata alla ricostruzione dei fatti.
1.12 Sul piano dell'accertamento del grado della colpa, risulta infondato l'assunto difensivo secondo il quale i Giudici di merito non avrebbero adeguatamente tenuto conto delle concorrenti condotte colpose degli altri soggetti coinvolti nella vicenda e degli stessi lavoratori colpiti dall'infortunio i quali avrebbero serbato una condotta imprudente, mancando di indossare i caschi e le cinture di sicurezza.
Anche sotto questo profilo, non può non evidenziarsi come il motivo di ricorso sia incentrato sulle medesime, indimostrate premesse riguardanti la esistenza di alternativi decorsi causali incidenti sulla determinazione dell'evento. Come già detto in precedenza, la motivazione espressa dai Giudici di merito rivela, in modo ineccepibile, che il mancato impiego delle cinture di sicurezza e dei caschi da parte delle persone offese non ha avuto nessuna influenza sul verificarsi dell'incidente. Deve parimenti escludersi, sulla base di quanto validamente argomentato in sentenza, che il distacco del sistema riguardante il carico del cestello abbia avuto incidenza sulle cause dell'infortunio accertate in sentenza.
Tutto ciò esclude una erronea considerazione del grado della colpa individuato in sentenza.
2. I motivi di ricorso proposti da S.G., attinenti esclusivamente agli effetti civili, devono essere rigettati.
2.1 Nessuna violazione dì legge o vizio di motivazione è individuabile in relazione al tema della ritenuta responsabilità del ricorrente per il difetto dì fabbricazione del braccio elevatore, causa dell'infortunio.
La difesa lamenta, nei primi tre motivi di ricorso (paragarafi 7.1, 7.2, 7.3 della parte in fatto), che il Tribunale e la Corte di merito hanno ascritto collettivamente a tutti gli imputati una serie di condotte ritenute contrarie a regole cautelari, senza fare alcuna distinzione tra le varie posizioni e che sarebbe rimasta indimostrata la circostanza che le intervenute modifiche sul macchinario siano state realizzate dal S.G..
Gli assunti sono infondati poiché, nelle due sentenze conformi, si evidenzia che il S.G., sulla base di quanto risulta accertato dalla documentazione acquisita, ha rivestito la carica di legale rappresentante della Italmec fino al 31/3/2001, periodo al quale è riconducibile la realizzazione delle modifiche strutturali apportato al macchinario interessato dal collasso. Che il S.G. sia stato responsabile delle modifiche in questione, nella sua veste apicale di legale rappresentante dell'azienda, si desume dalla scansione temporale messa in evidenza negli accertamenti peritali, sulla cui affidabilità la Corte di merito si è espressa in maniera assolutamente congrua. Sul punto si richiamano le considerazioni contenute a pagina 43 della sentenza impugnata, in cui si legge che il macchinario periziato era accompagnato da una certificazione denominata "revisione 01", rilasciata dall'Ente notificato in data 31/1/01, che si riferiva ad altro modello, privo delle modifiche strutturali apportate sul modello 42N.
Anche a volere ritenere che non siano mai esistiti progetti e tavole riguardanti il braccio allestito con la canaletta, come propone la difesa, rimane immutata la situazione rappresentata in sentenza, secondo la quale l'allestimento e la produzione di macchinari con canaletta saldata sul braccio telescopico venne avviata nel periodo in cui il S.G. era alla guida della società Italmec. D'altro canto, è lo stesso ricorrente ad ammettere tale circostanza nella parte del ricorso (pag. 8) in cui afferma: "Il fatto che durante il periodo di amministrazione del S.G. siano stati realizzati alcuni bracci dotati della canaletta non implica che tale soluzione sia stata replicata in tutte le successive macchine". E' evidente, in tale passaggio, la non congruenza delle conseguenze che il ricorrente trae dalla prima proposizione: pur ammettendo la fabbricazione del macchinario di quel tipo, esclude ogni suo collegamento con la vicenda in esame, trascurando di considerare che il macchinario interessato dall'infortunio - mai sottoposto a controllo dell'Ente notificato - era accompagnato da una certificazione rilasciata nel periodo della sua gestione.
2.2 In ordine al tema della responsabilità concorrente delle vittime nella causazione dell'evento dannoso e del proprietario della macchina collassata, si richiamano le argomentazioni svolte in precedenza (paragrafo 1.7 della parte in diritto), valevoli anche in relazione alla posizione del S.G..
Quanto al lamentato errore del manovratore della gru, motivo neanche sviluppato nel relativo paragrafo del ricorso, la Corte di merito ha evidenziato, con motivazione non censurabile in sede di legittimità, che non è stato individuato alcun errore di questo tipo all'esito degli accertamenti risultanti dalla perizia F. e che la presenza di un solo operatore addetto alla manovra della gru non ha avuto alcuna incidenza causale sull'evento.
2.3 In ordine alla erronea sussistenza della cooperazione colposa nel reato, si richiamano le argomentazioni svolte nel paragrafo 1.9 della presente parte in diritto. La ritenuta esistenza di una ipotesi di cooperazione colposa nel reato non ha alcuna incidenza sui profili di responsabilità individuati a carico del ricorrente. 
3, Risulta invece non soddisfacente la motivazione espressa dalla Corte di merito in relazione all'affermata responsabilità nei fatti di F.M., a cui è dedicato un breve passaggio argomentativo alla fine della pagina 45 e all'inizio della pagina 46 della motivazione. Secondo quanto si legge in sentenza il F.M. "aveva avuto piena consapevolezza dell'analogo sinistro avvenuto in Arezzo, in data 26/9/2005, su una stessa macchina prodotta dalla sua fabbrica, avente le stesse caratteristiche costruttive di quella a causa della quale, aveva perso la vita il T.M. ed aveva riportato lesioni personali gravi il D.E. (la citata HEILA GROUP era stata persino coinvolta in un procedimento civile per lesioni, a seguito dell'infortuno avvenuto ad Arezzo)".
Il generico richiamo all'analogo incidente occorso in Arezzo, non può essere reputato sufficiente ai fini della dimostrazione dell'elemento soggettivo dei reati in capo al ricorrente il quale, come risulta dagli atti, assunse la carica di legale rappresentate della società nell'anno 2003, a distanza di anni dalla realizzazione del modello difettoso e della sua immissione in commercio ad opera dei suoi predecessori.
E' necessario dunque che la Corte di merito, la quale incentra la responsabilità omissiva dell'imputato sulla consapevolezza del fatto occorso nell'anno 2005, verifichi le caratteristiche di tale ultimo infortunio, esplicitando le ritenute analogie con quelle oggetto del presente giudizio, anche in relazione alla tipologia di macchina di cui si discute, onde accertare se tale incidente potesse avere indotto, anche potenzialmente, il F.M. a sospettare del difetto strutturale di fabbricazione esistente nel macchinario di cui si discute.
5. Deve pertanto annullarsi senza rinvio, agli effetti penali, la sentenza impugnata nei confronti di B.L. perché i reati di cui agli artt. 589 e 590 c.p. sono estinti per prescrizione. Va rigettato agli effetti civili il ricorso dello stesso B.L., con conseguente condanna del medesimo, in solido con S.G., alla rifusione delle spese di giudizio sostenute dalla parte civile costituita Enrico D.E., liquidate in euro 2.500,00, oltre accessori come per legge. Va rigettato il ricorso di S.G., con conseguente condanna dello stesso al pagamento delie spese processuali.
L'impugnata sentenza deve essere annullata nei confronti di F.M. con rinvio, per nuovo giudizio, ad altra sezione della Corte d'appello di Roma, cui va demandata la regolamentazione delle spese tra le parti anche per il presente giudizio di legittimità.

 

P.Q.M.

 


Annulla senza rinvio la sentenza impugnata agli effetti penali nei confronti di B.L. perché i reati di cui agli artt. 589 e 590 c.p. sono estinti per prescrizione. Rigetta agli effetti civili il ricorso di B.L., che condanna, in solido con S.G., alla rifusione delle spese di giudizio sostenute dalla parte civile D.E., che liquida in euro 2.500,00, oltre accessori come per legge. Rigetta il ricorso di S.G., che condanna al pagamento delle spese processuali e alla rifusione delle spese di giudizio sostenute della parte civile D.E., come sopra liquidate, in solido con B.L.. Annulla la medesima sentenza nei confronti di F.M. e rinvia, per nuovo giudizio, ad altra sezione della Corte d'appello di Roma, cui demanda pure la regolamentazione delle spese tra le parti relativamente al presente giudizio di legittimità.
In Roma, così deciso in data 8 novembre 2019