Categoria: Cassazione civile
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Cassazione Civile, Sez. 3, 18 febbraio 2020, n. 3998 - Infortunio mortale in cantiere. Nessuna responsabilità del direttore dei lavori


Presidente: AMENDOLA ADELAIDE Relatore: DI FLORIO ANTONELLA Data pubblicazione: 18/02/2020

 

 

Ritenuto che
1. Giuseppe e Regina C. nonchè Maria DL. ricorrono, affidandosi a due motivi, per la cassazione della sentenza della Corte d'Appello di Firenze che aveva confermato la pronuncia del Tribunale di Siena che - in relazione al gravissimo infortunio sul lavoro a seguito dei quale era deceduto il congiunto D.C. - aveva condannato al risarcimento del danno per perdita parentale da loro subito soltanto la società presso la quale egli prestava la sua attività lavorativa in un cantiere edile, omettendo di affermare anche la responsabilità del direttore dei lavori M.L. che, unitamente alla Trigoglio Srl, era pure proprietario dell'immobile sul quale si svolgeva l'attività di ristrutturazione.
2. Ha resistito l'intimato con controricorso e memoria.
 

 

Considerato che
1. Con il primo ed il secondo motivo, da esaminarsi congiuntamente essendo parzialmente sovrapponibili quanto alla rubrica ed alle argomentazioni articolate, il ricorrente deduce, ex art. 360 co 1 n° 3,4 e 5 , in relazione al Dlgs 494/1996 ( art. 1, 2n°l lett. a) All. 1, 6 ), al DL 626/1996, alla L. 64/74, agli artt. 112,113, 115, 116, 132 e 228 cpc, gli artt. 2702, 2730, 2733 e 2735 c.c, nonché all'art. 12 delle Disp. Legge in generale (artt. 91 e 92 cpc, per violazione o falsa applicazione di norme di diritto e/o nullità della sentenza e/o omesso esame circa un fatto decisivo per il giudizio che è stato oggetto di discussione fra le parti.
1.1. Lamenta che la Corte territoriale, nell'escludere la responsabilità del M.L. in qualità di proprietario e direttore dei lavori e della società committente, aveva omesso di rendere una compiuta motivazione che, invece, doveva essere articolata proprio in applicazione delle norme sopra richiamate (Dlgs 494/1996, art. 1,2 n° 1 lett. a All. 1 , 6 e DL 626/1996 ), visto che i lavori ai quali era addetto il lavoratore deceduto rientravano nel campo di responsabilità concorrente del committente, del direttore dei lavori e del progettista, senza alcuna esclusione: segnala, a riguardo, la contraddittorietà fra le pratiche edilizie aperte dal direttore dei lavori nelle quali si affermava che esse non ricadevano nell'applicazione delle previsioni del Dlgs 494/1996 e la relazione tecnica asseverata nella quale si dichiarava che le opere da eseguire consistevano nel restauro del tetto, esigendo pertanto misure di sicurezza per la protezione contro le cadute dei carichi, proprie degli interventi di straordinaria manutenzione ( la cui natura era stata anche ammessa dallo stesso direttore dei lavori in sede di interrogatorio formale ), che non erano state apprestate: sottolineavano che , anzi, la gestione del cantiere denotava negligenza ed imprudenza soprattutto in relazione alle operazioni di carico e scarico.
2. Le censure sono inammissibili sotto più profili.
2.1. In primo luogo esse difettano di specificità.
Si osserva al riguardo che i ricorrenti riconducono entrambi i motivi a tre vizi concomitanti ( art. 360 co 1 n° 3, n° 4 , e n° 5 cpc ) formulando argomentazioni non specificamente ricollegate a ciascuno di essi.
Si osserva al riguardo che il giudizio di legittimità è caratterizzato dalla critica vincolata: in relazione a ciò, è stato condivisibilmente affermato che i motivi di ricorso - che assumono una funzione identificativa condizionata dalla loro formulazione tecnica con riferimento alle ipotesi tassative formalizzate dal codice di rito - esigono una precisaenunciazione sicché è inammissibile la critica della sentenza impugnata, formulata con un unico motivo sotto una molteplicità di profili tra loro confusi e inestricabilmente combinati, non espressamente collegati alle fattispecie di vizio enucleate dal codice di rito ( cfr. al riguardo Cass. 11603/2018; Cass. 19969/2014 ).
2.2. Tanto premesso, il Collegio rileva anche che:
a. il vizio enunciato, di cui all'art. 360 co 1 n° 5 cpc, è inammissibile ex art.348 ter cpc, ratione temporis applicabile al caso in esame, in quanto la sentenza impugnata è conforme alla pronuncia di primo grado;
b. quello ascritto all'art. 360 co 1 n° 4 cpc- che sembrerebbe lamentare il mancato esame della condotta del M.L. - maschera la richiesta di rivalutazione di questioni di merito che in realtà sono state compiutamente esaminate dalla Corte territoriale: infatti sono state espresse analitiche argomentazioni ( cfr. pag. 7, 8 e 9 della sentenza Impugnata ) in ordine alla esclusione della pericolosità del cantiere, in quanto l'incidente in esame era stato motivatamente ricondotto ad un singolo episodio ascrivitele alla responsabilità del datore di lavoro che era stato, per tale ragione, condannato. I giudici d'appello hanno correttamente ricostruito la vicenda ( cfr. pag. 10 della sentenza impugnata ) escludendo, in base ad accordi contrattuali con la committenza, che l'incidente fosse derivato da omissioni o dalla specifica ingerenza del tecnico nel momento meramente esecutivo delle opere.
La motivazione, pertanto, risulta congrua e non presenta profili di illogicità o di apparenza.
c. con la censura ricondotta all'art. 360 co 1 n° 3 cpc si avanzano critiche generiche e prive di autosufficienza, in quanto viene adombrata la violazione della normativa in materia di sicurezza sui cantieri per contrasto con le pratiche edilizie depositate (non trascritte nel corpo del ricorso né specificamente ricondotte ad una sede processuale individuabile, visto che è stata indicata soltanto una numerazione inidonea a rinvenirle) e quelle effettivamente realizzate: ma in tal modo, si omette di considerare che tale contrasto, già denudato dinanzi alla Corte territoriale, è stato esaminato e valutato con motivazione al di sopra della sufficienza costituzionale con la quale è stato affermato che l'incidente, secondo la ricostruzione degli ispettori della ASL 7 di Siena intervenuti sul luogo del sinistro, era stato ascritto, secondo una ricostruzione priva di contraddizioni, ad un non corretto funzionamento del gancio elevatore della carrucola ( cfr. pag. 10, secondo cpv. della sentenza impugnata) la cui responsabilità non poteva che essere circoscritta alla sola negligenza del datore di lavoro. Anche la critica su tale punto prospettata maschera una richiesta di rivalutazione di merito su argomentazioni incensurabili contenute nella sentenza impugnata.
3. In conclusione, il ricorso è inammissibile.
Ai sensi dell'art. 13 co. 1 quater dpr 115/2002 si da atto della sussistenza dei presupposti processuali per il versamento, da parte del ricorrente dell'ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello cui è tenuto per il ricorso proposto , a norma del comma 1 bis dello stesso art. 13, se dovuto.
 

 

P.Q.M.
 

 

La Corte,
dichiara inammissibile il ricorso.
Condanna il ricorrente al pagamento delle spese del giudizio di legittimità che liquida in € 4000,00 per compensi ed € 200,00 per esborsi, oltre accessori e rimborso forfettario spese generali nella misura di legge.
Ai sensi dell'art. 13 co. 1 quater dpr 115/2002 da atto della sussistenza dei presupposti processuali per il versamento, da parte del ricorrente dell'ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello cui è tenuto per il ricorso proposto , a norma del comma 1 bis dello stesso art. 13, se dovuto.
Così deciso in Roma nella camera di consiglio della terza sezione civile del 24.10.2019.