Categoria: Cassazione penale
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Cassazione Penale, Sez. 4, 16 marzo 2020, n. 10151 - Rottura di una lastra in fibrocemento e caduta al suolo del lavoratore. Carenza di formazione e inidoneità dei dispositivi anticaduta


Presidente: CIAMPI FRANCESCO MARIA Relatore: PAVICH GIUSEPPE Data Udienza: 07/02/2020

 

 

 

Fatto

 


1. La Corte d'appello di L'Aquila, in data 10 gennaio 2019, ha confermato la sentenza con la quale, il 3 ottobre 2016, il Tribunale di Avezzano aveva condannato D.F. per il delitto di lesioni personali colpose in danno di R.V., con violazione di norme sulla prevenzione degli infortuni sul lavoro, reato contestato come commesso in Carsoli il 2 maggio 2011.
Il D.F. risponde del predetto reato quale amministratore unico della CDP Impianti S.r.L, società da cui dipendeva la persona offesa e alla quale erano stati subappaltati lavori di montaggio di pannelli fotovoltaici sul tetto di un capannone, in occasione dei quali il R.V. poggiava i piedi su una lastra in fibrocemento, che si rompeva sotto il peso del suo corpo, facendolo precipitare al suolo da 7 metri; in tal modo il R.V. si procurava lesioni personali insanabili gravissime, con esiti permanenti.
Si addebita al D.F., nella sua qualità, di non aver predisposto adeguate misure di protezione a tutela dei lavoratori e per non avere impartito adeguata informazione ai dipendenti sui rischi connessi all'attività lavorativa. In sostanza, secondo l'accusa tali condotte omissive imputate al D.F. avrebbero avuto rilievo decisivo sull'infortunio, non avendo il R.V. ricevuto adeguata informazione sul rischio correlato al calpestare la copertura del capannone, che nel punto ove l'operaio era precipitato presentava scarsa resistenza; quale unica cautela, erano state posizionate - solo su una parte della copertura del capannone - alcune tavole di legno sulle quali i lavoratori avrebbero dovuto camminare; ed inoltre essi non avrebbero ricevuto adeguati dispositivi anticaduta.
La Corte di merito, disattese le censure in rito e in merito proposte dall'appellante, ha ritenuto di confermare gli addebiti mossi al D.F. appena descritti, e di ravvisare la violazione degli artt. 148, 122 e 36 del D.Lgs. n. 81/2008, oggetto di imputazione.
2. Avverso la prefata sentenza ricorre il D.F., con atto articolato in quattro motivi di lagnanza.
2.1. Con il primo il ricorrente lamenta violazione di legge, per non avere la Corte di merito rilevato l'intervenuto decorso della prescrizione già prima della deliberazione della sentenza d'appello, pur tenendo conto dei periodi di sospensione del corso del termine prescrizionale.
2.2. Con il secondo motivo il deducente denuncia violazione di norme processuali, con riferimento all'intervenuto mutamento del giudice - persona fisica nel corso del dibattimento di primo grado, senza che venisse accolta dal giudice subentrante la richiesta difensiva di procedere compiutamente a nuovo esame dei testi già escussi dal precedente giudice, non potendo a ciò supplire la mera richiesta di conferma delle dichiarazioni rese in occasione dell'esame già reso avanti quest'ultimo organo giudicante, salva la facoltà delle parti di porre domande su circostanze non precedentemente trattate: ciò che, secondo il ricorrente, viola gli artt. 511 e 525 cod.proc.pen. e la giurisprudenza formatasi al riguardo. Il deducente si duole del fatto che tale violazione, benché prospettata in appello, non sia stata riconosciuta dalla Corte distrettuale, con conseguente perpetuarsi della nullità del giudizio di primo grado.
2.3. Con il terzo motivo di ricorso si denunciano violazione di legge e vizio di motivazione in relazione alla colpa specifica attribuita al D.F. e, in specie, alla violazione delle disposizioni del D.Lgs. 81/2008 contestata all'imputato. Quanto all'art. 148, il deducente fa riferimento agli elementi probatori deponenti per la calpestabilità del tetto del capannone e per la circostanza che gli altri lavoratori, nell'osservanza delle disposizioni ricevute, avrebbero calpestato solo le travi di cemento poste sulla copertura, passando dall'una all'altra a mezzo di una passerella in legno; invece, secondo il deducente, non hanno avuto alcun rilievo causale né l'assenza di parapetti sul tetto, né le dimensioni insufficienti del ponteggio per salirvi sopra. Quanto alla pretesa violazione dei doveri di formazione/informazione (artt. 36 - 37 D.Lgs. n. 81/2008), la Corte di merito non ha preso in considerazione il verbale prodotto all'udienza del 23 novembre 2015, che non é stato ritenuto dimostrativo dell'ottemperanza ai doveri stabiliti dalle richiamate disposizioni, né ha valorizzato le dichiarazioni dei testimoni che hanno confermato di avere ricevuto adeguata formazione/informazione. Ulteriori censure riguardano l'assunto secondo cui la condotta del lavoratore, in quanto violativa delle prescrizioni impartitegli a fini di sicurezza, ha assunto i contorni dell'abnormità, eccezionalità e atipicità e, come tale, ha determinato l'interruzione del nesso causale tra la condotta addebitata all'imputato e l'evento lesivo. Infine il deducente ripropone la lagnanza, già formulata in appello, relativa all'avvenuto trasferimento delle sue funzioni al socio P.V.: per tale passaggio di poteri, osserva il ricorrente, non occorre la forma scritta, bastando la circostanza che esso sia effettivamente avvenuto, circostanza sulla quale hanno riferito i testi all'uopo citati.
2.4. Con il quarto e ultimo motivo il ricorrente eccepisce, in ogni caso l'intervenuta prescrizione, quanto meno in data successiva alla sentenza di secondo grado.
3. All'odierna udienza, il difensore delle parti civili R.V. e DL. N. ha depositato conclusioni scritte e nota spese.
 

 

Diritto

 


1. Prima di affrontare la questione del decorso del termine di prescrizione di cui al primo e al quarto motivo di ricorso, é opportuno esaminare i motivi residui, che più direttamente attengono alle censure in rito (il secondo motivo) e a quelle di natura sostanziale (il terzo motivo).
Si tratta, almeno in parte, di motivi non manifestamente infondati, ciò che impone in ogni caso la declaratoria di annullamento senza rinvio agli effetti penali della sentenza impugnata, essendo ad oggi certamente maturata la prescrizione del reato.
1.1. Quanto al secondo motivo di ricorso, esso risulta privo di fondamento, essendo corretto il richiamo della Corte di merito all'Indirizzo giurisprudenziale prevalente e qui condiviso formatosi in ordine alle modalità della ripetizione delle prove dichiarative per le quali le parti non abbiano formulato consenso al rinnovo per lettura ex art. 511 cod.proc.pen.: secondo detto indirizzo, nel caso di rinnovazione del dibattimento per mutamento della persona fisica del giudice o della composizione del collegio giudicante, sono utilizzabili le prove assunte mediante conferma delle dichiarazioni rese in precedenza e legittimamente inserite nel fascicolo del dibattimento, sempre che la parte, ancorché non abbia manifestato il consenso aH'utilizzabilità, sia stata messa in condizione di svolgere il controesame in modo ampio, formulando tutte le domande ritenute necessarie (Sez. 5, Sentenza n. 10127 del 22/01/2018, Likja, Rv. 272671; in senso conforme Sez. 5, Sentenza n. 52229 del 11/11/2014, Fortunato, Rv. 262122; Sez. 3, Sentenza n. 50299 del 18/09/2014, S., Rv. 261387). Sul punto la Corte di merito ha chiarito che, nella specie, la ripetizione dell'esame dei testi R.V. e G.S. é avvenuta nel rispetto dei suddetti principi, avendo avuto le parti ampia facoltà di sottoporre ad esame e a controesame i predetti testimoni, in modo tale da assicurare l'assunzione delle prove orali nel pieno rispetto del contraddittorio, oltreché dei diritti della difesa.
1.2. Il terzo, ampio motivo di lagnanza é a sua volta infondato, rasentando anzi la manifesta infondatezza in quanto ampiamente ripropositivo della valutazione delle prove raccolte nel giudizio di merito, ciò che non é consentito in sede di legittimità allorquando (ed é questo il caso) il percorso argomentativo della sentenza impugnata si confronti con il materiale probatorio e dia conto, in modo non manifestamente illogico, delle ragioni poste a base della decisione impugnata (cfr. Sez. U, n. 24 del 24/11/1999, Spina, Rv. 214794; si vedano anche in terminis Sez. U, n. 12 del 31/05/2000, Jakani, Rv. 216260, e Sez. U, n. 47289 del 24/09/2003 -, Petrella, Rv. 226074; più di recente Sez. 6, n. 47204 del 07/10/2015, Musso, Rv. 265482; Sez. 1, n. 42369 del 16/11/2006, De Vita, Rv. 235507).
Ciò posto, chiare ed evidenti sono le ragioni, illustrate dalla Corte distrettuale, in base alle quali é destituita di fondamento la questione, prospettata dal ricorrente, della percorribilità a piedi della copertura del capannone, risultata non calpestabile ed inidonea a sorreggere il peso del materiale secondo quanto accertato dalla teste G. (funzionario ASL); parimenti sono state convenientemente valutate (pag. 10 sentenza) sia la carenza di formazione, sia la carenza di informazione dei dipendenti sui rischi di sfondamento e caduta presenti sulla tettoia, a tanto non potendo supplire generiche riunioni o colloqui come quelli cui la Corte di merito fa riferimento, alla luce delle prove raccolte. Del tutto conducente, infine, é il percorso motivazionale della sentenza impugnata in ordine all'inidoneità delle corde in dotazione agli operai a corredo dell'imbracatura da loro indossata (pag. 9 sentenza).
2. Poiché tuttavia, pur a fronte dell'infondatezza dei suddetti motivi, é ormai spirato il termine di prescrizione del reato contestato (intervenuto in epoca successiva, sia pure di pochi giorni, rispetto alla lettura del dispositivo da parte della Corte di merito), la sentenza impugnata va annullata senza rinvio agli effetti penali perché il reato é estinto per prescrizione; il ricorso va invece rigettato ai fini civili, con condanna del ricorrente alla rifusione delle spese sostenute dalle costituite parti civili R.V.  e DL.N. nella misura liquidata in dispositivo.
 

 

P.Q.M.

 


Annulla senza rinvio la sentenza impugnata agli effetti penali perché il reato é estinto per prescrizione.
Rigetta il ricorso ai fini civili e condanna il ricorrente alla rifusione delle spese sostenute dalle costituite parti civili R.V. e DL.N. che liquida in complessivi euro tremila oltre accessori come per legge.
Così deciso in Roma, il 7 febbraio 2020.