Categoria: Cassazione civile
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L'Inail ha costituito una rendita ai superstiti in favore della signora C.M., vedova di P.G., lavoratore agricolo dipendente deceduto cadendo da un albero.
Successivamente l'Inail ha revocato la rendita e richiesto la restituzione dei ratei erogati per difetto di occasione di lavoro - La domanda di ripristino della rendita proposta dalla C. è stata respinta dal giudice adito, e poi dalla Corte d'appello di Ancona - Il giudice di appello ha rilevato che subito dopo il fatto la stessa C. ed altri testi avevano dichiarato che il P. era caduto da un pioppo che stava potando per ordine dello S., ma che successivamente le stesse persone, compresa la C., nel corso del procedimento penale a carico del titolare dell'impresa agricola e del fattore S. per omicidio colposo, avevano dichiarato che la dichiarazione resa in precedenza era falsa, ed era stata concordata al fine di far fruire alla C. le prestazioni infortunistiche - Avverso tale sentenza hanno proposto ricorso per Cassazione gli eredi P.I. e P.S.
 
Respinto.
 
Con il primo motivo i ricorrenti, deducendo violazione e falsa applicazione del D.P.R. 30 giugno 1965, n. 1124, artt. 2, 206, 207 e 210 censurano la sentenza impugnata per errore di diritto nella definizione di occasione di lavoro in agricoltura - Il motivo non è fondato.
"Il D.P.R. 30 giugno 1965, n. 1124, art. 210, comma 1, comma 1, (t.u.) per definire l'oggetto dell'assicurazione contro gli infortuni in agricoltura, ripete l'identica formula dell'art.2, comma 1; ne deriva che la nozione di occasione di lavoro in agricoltura ha un contenuto concettuale identico a quello del titolo 1^ relativo alla tutela generale del lavoro nell'industria."

Dottrina e giurisprudenza sono concordi che la tutela assicurativa contro gli infortuni sul lavoro in agricoltura, apprestata dal D.P.R. n. 1124 del 1965, artt. 205 e 208 non consente di ricomprendere ogni attività umana che si trovi ad essere anche solo occasionalmente ed indirettamente ricollegabile al multiforme esercizio dell'agricoltura.

Essendo la salita sul pioppo, secondo l'accertamento penale, dovuto a motivi personali e domestici, non sussiste l'occasione di lavoro.

E ancora: "Se costituisce comportamento doloso il silenzio di chi ha l'obbligo di dichiarare onde ottenere il beneficio previdenziale ... a maggior ragione va qualificato come doloso il comportamento di chi scientemente denuncia false modalità di un infortunio."

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE
SEZIONE LAVORO
Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:
Dott. SCIARELLI Guglielmo - Presidente -
Dott. VIDIRI Guido - Consigliere -
Dott. DI NUBILA Vincenzo - Consigliere -
Dott. COLETTI DE CESARE Gabriella - Consigliere -
Dott. DE MATTEIS Aldo - rel. Consigliere -
ha pronunciato la seguente:
sentenza

sul ricorso 25705-2006 proposto da:
P.I., P.S., nella qualità di eredi di C.M., elettivamente domiciliati in ROMA, CORSO VITTORIO  EMANUELE II 287, presso lo studio dell'avvocato CAMPOLUNGHI MARIA, rappresentati e difesi dall'avvocato GAETANI ROBERTO giusta delega a margine del ricorso;
- ricorrenti -
contro - I.N.A.I.L. - ISTITUTO NAZIONALE PER L'ASSICURAZIONE CONTRO GLI INFORTUNI SUL LAVORO, in persona del legale rappresentante pro tempore, elettivamente domiciliato in ROMA, VIA IV NOVEMBRE N. 144, presso lo studio dell'Avvocato LA PECCERELLA LUIGI e ROMEO LUCIANA, che lo rappresentano e difendono giusta procura speciale atto Notar Carlo Federico Tuccari di ROMA del 10/10/06, rep. n. 71804;
- controricorrente -
avverso la sentenza n. 147/2006 della CORTE D'APPELLO di ANCONA, depositata il 27/04/2006 R.G.N. 684/04;
udita la relazione della causa svolta nella pubblica udienza del 04/12/2008 dal Consigliere Dott. ALDO DE MATTEIS;
udito l'Avvocato GAETANI;
udito l'Avvocato ROMEO;
udito il P.M. in persona del Sostituto Procuratore Generale Dott. SALVI Giovanni che ha concluso per il rigetto del ricorso.

Fatto

L'Inail ha costituito una rendita ai superstiti in favore della signora C.M., vedova di P.G., lavoratore agricolo dipendente deceduto il (OMISSIS), cadendo da un albero.
Successivamente, il 16 luglio 1998, l'Inail ha revocato la rendita, e richiesto la restituzione dei ratei erogati, per complessive L. 169.797.022, per difetto di occasione di lavoro.
La domanda di ripristino della rendita proposta dalla C. è stata respinta dal giudice adito, e poi dalla Corte d'appello di Ancona, con sentenza 7/26 aprile 2006 n. 684.
Il giudice di appello ha rilevato che subito dopo il fatto S.G., fattore dell'impresa agricola datrice di lavoro " (OMISSIS)", la stessa C. ed altri testi avevano dichiarato che il P. era caduto da un pioppo che stava potando per ordine dello S., ma che successivamente le stesse persone, compresa la C., nel corso del procedimento penale a carico del titolare dell'impresa agricola e del fattore S. per omicidio colposo, avevano dichiarato che la dichiarazione resa in precedenza era falsa, ed era stata concordata al fine di far fruire alla C. le prestazioni infortunistiche.
Sulla base di tale ricostruzione dei fatti, il giudice di appello ha ritenuto corretta la revoca della rendita, non dovuta per mancanza di occasione di lavoro.
Ha confermato altresì la condanna della C. a restituire i ratei indebitamente riscossi, nei limiti della eccepita prescrizione dal 18 ottobre 1989, secondo la disciplina del D.L. 9 ottobre 1989, n. 338, art. 55, comma 5, convertito, con modificazioni, nella L. 7 dicembre 1989, n. 389, non potendosi ravvisare la buona fede nel comportamento della C..
Avverso tale sentenza hanno proposto ricorso per Cassazione gli eredi P.I. e P.S., con tre motivi. L'Inail si è costituito con controricorso resistendo; ha depositato memoria ex art. 378 c.p.c..
 
Diritto

Con il primo motivo i ricorrenti, deducendo violazione e falsa applicazione del D.P.R. 30 giugno 1965, n. 1124, artt. 2, 206, 207 e 210 censurano la sentenza impugnata per errore di diritto nella definizione di occasione di lavoro in agricoltura.
Invocano il precedente di questa Corte 27 luglio 2000 n. 9837.
 
Il motivo non è fondato.
 
Il D.P.R. 30 giugno 1965, n. 1124, art. 210, comma 1, comma 1, (t.u.) per definire l'oggetto dell'assicurazione contro gli infortuni in agricoltura, ripete l'identica formula dell'art.2, comma 1; ne deriva che la nozione di occasione di lavoro in agricoltura ha un contenuto concettuale identico a quello del titolo 1^ relativo alla tutela generale del lavoro nell'industria.
Non appare concepibile alcuna ragione per attribuire alle identiche formule, causa violenta ed occasione di lavoro, significato diverso nelle diverse sedi del medesimo t.u..
Tuttavia, a causa della particolare tipologia del lavoro agricolo, la nozione di occasione di lavoro ha dato luogo ad una casistica in parte diversa e più ampia che nel lavoro industriale.
In questo ultimo vi è una demarcazione abbastanza netta tra le tre fasi della vita: ambiente familiare, percorso casa-lavoro, fabbrica (o laboratorio o ufficio) in cui si concentra il rischio lavorativo.
Viceversa nel lavoro agricolo tradizionale, caratterizzato tra l'altro dalla insistenza della casa colonica sul terreno agricolo appoderato, vi può essere compenetrazione tra queste tre fasi, con chiare implicazioni in punto di occasione di lavoro.
Questo rilievo ha indotto un isolato precedente di questa Corte (sent. 27 luglio 2000 n. 9837, invocata dai ricorrenti), a ritenere che è indennizzabile l'infortunio occorso ad un coltivatore diretto mentre tornava a casa dopo essersi recato presso il fondo di altro coltivatore per tagliare, con il consenso di questi, legna per uso domestico, in quanto l'evento sarebbe riferibile alla specifica attività lavorativa comportante il rischio assicurato, dovendo ritenersi in connessione funzionale con l'attività agricola tutte quelle attività chef in relazione ai concreti standards del costume agricolo, il lavoratore compia, fuori del proprio fondo, per procurarsi il necessario sia per esercitare il proprio lavoro, sia per consentire alla propria famiglia di vivere e lavorare sul fondo.
Tale isolato precedente, che espande la nozione di occasione di lavoro in agricoltura fino a farla coincidere con l'intero ambito domestico, non ha avuto seguito, e risulta successivamente corretto dalla giurisprudenza di questa Corte, che si può ritenere consolidata in suddetta materia.
Dottrina e giurisprudenza sono concordi che la tutela assicurativa contro gli infortuni sul lavoro in agricoltura, apprestata dal D.P.R. n. 1124 del 1965, artt. 205 e 208 non consente di ricomprendere ogni attività umana che si trovi ad essere anche solo occasionalmente ed indirettamente ricollegabile al multiforme esercizio dell'agricoltura (Cass. 26 giugno 2004 n. 11929).
Tre sono le aree principali di tutela infortunistica peculiari del lavoro agricolo, dipendente o autonomo, ulteriori rispetto al lavoro sui campi:
a) le attività connesse: Cass. 3 febbraio 1999 n. 932, ha confermato la sentenza di merito che aveva riconosciuto l'indennizzabilità dell'infortunio occorso a dipendente di cooperativa agricola mentre riportava in azienda un trattore, carico . del fieno necessario al governo degli animali, che la sera precedente aveva parcheggiato nei pressi della propria abitazione; Cass. 14 febbraio 2001 n. 2117 ha riconosciuto indennizzabile l'infortunio occorso ad un agricoltore infortunatosi nell'aprire il cancello di accesso al mercato ortofrutticolo ove era posto il sito di vendita dei prodotti da lui coltivati;
b)infortuni avvenuti sul luogo di lavoro, ma durante le pause lavorative, e/o con modalità di rischio ulteriori create dal lavoratore stesso e giustificate dalle disagiate condizioni lavorative agricole;
c) infortuni avvenuti nell'ambito domestico, in atti legati funzionalmente al lavoro agricolo: Cass. 29 aprile 2003 n. 6675 ha escluso la occasione di lavoro nell' infortunio occorso ad un coltivatore diretto mentre sistemava su un camioncino un carico di legna acquistato da un terzo produttore agricolo, per portarlo in segheria e quindi destinarlo ad esclusivo uso domestico; nello stesso senso Cass. 18 maggio 1991 n. 5594 e Cass. 25 agosto 2006 n. 18536, resa quest'ultima in sede di procedimento ex art. 375 c.p.c., quale principio di diritto consolidato).
Essendo la salita sul pioppo, secondo l'accertamento penale, dovuto a motivi personali e domestici, non sussiste l'occasione di lavoro.
 
Con il secondo motivo i ricorrenti, deducendo omessa, insufficiente e contraddittoria motivazione in ordine a punto decisivo della controversia, censurano la sentenza impugnata per omessa pronuncia sulla circostanza che egli era assicurato anche quale lavoratore agricolo autonomo, in quanto titolare di un piccolo allevamento dei maiali.
Già nel ricorso di primo grado la C. aveva riferito la circostanza che la raccolta delle frasche era motivata dall'interesse del P. a far legna per la sua famiglia e procurarsi materiale per un allevamento dei maiali che l'assicurato custodiva in proprio.
Non avendo l'Inail contestato tale circostanza ai sensi dell'art. 416 c.p.c., la stessa si deve ritenere acquisita al processo.
 
Il motivo è inammissibile.
 
Costituisce jus receptum che la denuncia di un "error in iudicando", per violazione di norme di diritto sostanziale, ai sensi dell'art. 360 c.p.c., n. 3, o per vizi della motivazione, ai sensi dell'art. 360 c.p.c., n. 5, presuppone che il giudice di merito abbia preso in esame la questione prospettatagli e l'abbia risolta in modo giuridicamente non corretto, e consente alla parte di chiedere, ed al giudice di legittimità di effettuare, una verifica in ordine alla correttezza giuridica della decisione ed alla sufficienza e logicità della motivazione, sulla base del solo esame della sentenza impugnata; tale censura non può pertanto riguardare l'omessa pronuncia del giudice di secondo grado in ordine ad uno dei motivi dedotti nell'atto di appello, la quale postula la denuncia di un "error in procedendo", ai sensi dell'art. 360 c.p.c., n. 4, in riferimento al quale il giudice di legittimità può esaminare anche gli atti del giudizio di merito, essendo giudice anche del fatto, inteso in senso processuale (ex plurimis Cass. 4 giugno 2007 n. 12952, Cass. 22 novembre 2006 n. 24856, Cass. 12 dicembre 2005 n. 27387, Cass. 7 luglio 2004 n. 12475).
 
Con il terzo motivo i ricorrenti contestano che nel comportamento della C. sia rinvenibile il dolo, e che l'Inail potesse procedere al recupero, essendo l'Istituto consapevole sin dal 1981 della mutata versione della C..
 
Il motivo è palesemente infondato.
 
L'accertamento del giudice di merito circa la sussistenza del dolo costituisce una valutazione di fatto obbligata sulla base delle risultanze acquisite.
Se costituisce comportamento doloso il silenzio di chi ha l'obbligo di dichiarare onde ottenere il beneficio previdenziale (Cass. 8 ottobre 2007 n. 21019), a maggior ragione va qualificato come doloso il comportamento di chi scientemente denuncia false modalità di un infortunio.
Al riguardo è opportuno notare che la L. 23 dicembre 1996, n. 662, art. 1, comma 263, disponeva che il recupero delle prestazioni indebite disciplinato dai commi precedenti non si estende agli eredi del pensionato.
Le diverse interpretazionì di tale disposizione su due punti: nel caso in cui il recupero sia stato esercitato nei confronti del pensionato, il quale successivamente, nel corso del giudizio, sia deceduto, con conseguente successione nel processo dell'erede; ed in caso di dolo del de cujus (Cass. 13 gennaio 1998 n. 240, Cass. 28 settembre 1998 n. 9677, Cass. 25 novembre 1999 n. 13131, nel senso che il recupero nei confronti degli eredi non fosse consentito neppure in caso di dolo del de cuius; Cass. 27 febbraio 2007 n. 4507, nel senso che l'ipotesi derogatoria si applica solo in caso di recupero esercitato direttamente contro gli eredi del pensionato, ipotesi che qui non ricorre; Cass. 2 luglio 2008 n. 18113, che esclude in ogni caso l'ipotesi del dolo) sono stati composti dalla L. 23 dicembre 1998, n. 448, art. 38 il quale ha riscritto la disposizione nei seguenti termini: "Il recupero non si estende agli eredi del pensionato, salvo che si accerti il dolo del pensionato medesimo".
Tale innovazione legislativa ha una valenza interpretativa che rende il recupero dell'indebito da parte dell'Inail legittimo.
 
Il ricorso va pertanto respinto.
 
Nulla deve disporsi per le spese del presente giudizio ai sensi dell'art. 152 disp. att. c.p.c., nel testo anteriore a quello di cui al D.L. 30 settembre 2003, n. 269, art. 42, comma 11, convertito in L. 24 novembre 2003, n. 326, nella specie inapplicabile "ratione temporis"; infatti le limitazioni di reddito per la gratuità del giudizio introdotte da tale ultima norma non sono applicabili ai processi il cui ricorso introduttivo del giudizio sia stato depositato, come nella specie, anteriormente al 2 ottobre 2003 (data di entrata in vigore del predetto decreto legge) (Cass. 1 marzo 2004 n. 4165; Cass. 30 3 2004 n. 6324; Cass. 12 dicembre 2005 n. 27323, nello stesso senso, in motivazione, S.U. 24 febbraio 2005 n. 3814).

P.Q.M.
 
rigetta il ricorso. Nulla per le spese processuali del presente giudizio.
Così deciso in Roma, nella Camera di consiglio della sezione lavoro, il 4 dicembre 2008.
Depositato in Cancelleria il 13 febbraio 2009