Categoria: Cassazione penale
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Cassazione Penale, Sez. 4, 30 aprile 2020, n. 13494 - Caduta del lavoratore dalla scala a pioli. Il forte vento, invece che escludere la rimproverabilità soggettiva dell'evento, doveva indurre all'adozione delle necessarie cautele di sicurezza


 

Presidente: BRICCHETTI RENATO GIUSEPPE Relatore: MENICHETTI CARLA Data Udienza: 22/01/2020

 

 

Fatto

 

 

1. La Corte d'Appello di Cagliari con sentenza in data 29 maggio 2019 confermava la condanna resa dal Tribunale cittadino nei confronti di D.L. e D.M. - il primo quale datore di lavoro e responsabile legale della Rooster Costruzioni srl, il secondo quale dipendente della medesima società e responsabile di cantiere - per il reato di lesioni colpose ai danni di L.P., fatto aggravato dalla violazione delle norme sulla prevenzione degli infortuni sul lavoro.
Secondo l'ipotesi accusatoria, condivisa dai giudici di merito, il L.P., dipendente della Rooster Costruzioni, durante le operazioni di costruzione di un impianto per la produzione di energia elettrica alimentato a biogas e, segnatamente, durante la fase di disarmo, consistente nella rimozione delle barre metalliche (casseri) utilizzate per il sostegno delle pareti in calcestruzzo armato, precipitava da una scala a pioli mentre si trovava ad un'altezza di circa 5 metri dal suolo; scala che si ribaltava a seguito della spinta ricevuta dal brusco movimento del cassero che si stava rimuovendo e sul quale la scala poggiava, brusco movimento dovuto alla messa in tensione delle funi della gru, condotta dal D.M., ed alle quali il cassero era stato precedentemente agganciato dallo stesso infortunato.
Agli imputati era stata contestata una colpa consistita in imprudenza, negligenza ed imperizia e la specifica violazione di norme cautelari, e precisamente:
per il D.L.:
art. 96, comma 2, in relazione all'art. 17, comma 1, lett. a) e 28, comma 2 lett. a), lett. b) e lett. d), art. 113, commi 5 e 6e art. 115 del D.Lgs.n. 81/08, per aver omesso di valutare tutti i rischi per la sicurezza e di individuare le procedure per l'attuazione delle stesse misure, anche in relazione all'art.111, commi 1 e 3, del medesimo Decreto; per aver omesso di assicurare che la scala a pioli utilizzata per il disarmo fosse sistemata in modo da garantire la stabilità; per aver omesso di utilizzare, per lavori in quota, idonei sistemi di protezione adeguatamente ancorati (dispositivi di ancoraggio, guide o linee vita, imbragature ecc.); art. 2087 cod. civ., per aver omesso di adottare le misure che, secondo la particolarità del lavoro, l'esperienza e la tecnica, sono necessarie a tutelare l'integrità fisica dei lavoratori (es. l'impiego di cestello elevatore);
per il D.M.:
art. 19 D.Lgs. n. 81/2008, per aver omesso di vigilare sull'osservanza da parte dei singoli lavoratori dei loro obblighi di legge, ed una colpa generica consistita nel negligente ed imprudente uso della gru, in quanto, durante le operazioni di sollevamento del cassero, effettuava una manovra che determinava il ribaltamento della scala che poggiava sullo stesso cassero, in difformità da quanto prescritto dall'art. 113 del citato Decreto.
2. Gli imputati, tramite il comune difensore di fiducia, hanno proposto un unico ricorso per cassazione, affidato a tre motivi.
2.1. Con il primo motivo lamentano inosservanza di norme processuali stabilite a pena di nullità, di inutilizzabilità, di inammissibilità o di decadenza. Osservano che durante la fase dibattimentale e nel grado di appello la difesa aveva eccepito la nullità del decreto di citazione diretta a giudizio in relazione all'avviso disciplinato dall'art. 552, comma 1, lett. d), cod. proc. pen., ovvero l'avvertimento per cui, non comparendo l'imputato, sarebbe stato giudicato in contumacia, mentre era già intervenuta la legge n.67/2014 che aveva definitivamente eliso il giudizio contumaciale ed introdotto il giudizio in assenza. La medesima norma dispone che "Il decreto è nullo se l'imputato non è identificato in modo certo ovvero se manca o è assolutamente insufficiente l'indicazione di uno dei requisiti previsti dalle lettere c), d), e) ed f) dei comma 1": trattasi dunque di nullità rientrante tra quelle disciplinate dall'art. 178, lett. c), cod. proc. pen., in quanto impedisce il corretto intervento in giudizio dell'imputato, nullità che va dedotta o rilevata ai sensi dell'art. 180 cod. proc. pen. La difesa aveva tempestivamente sollevato la relativa eccezione, ritenuta infondata dal Tribunale, e l'aveva riproposta in appello, senza ottenere risposta dalla Corte territoriale.
2.2. Con il secondo motivo deducono inosservanza o erronea applicazione della legge penale, mancanza, contraddittorietà o manifesta illogicità della motivazione. Si dolgono della omessa applicazione dell'art. 45 cod. pen., che esclude la punibilità di chi ha commesso il fatto per caso fortuito o forza maggiore. Nel caso di specie era emerso come la zona occupata dai lavori commissionati dalla Rooster Costruzioni non fosse soggetta a forti raffiche di vento e dunque l'evento atmosferico che si era manifestato il giorno del sinistro era sicuramente imprevedibile e non evitabile, tale dunque da escludere qualsivoglia apporto psicologico da parte degli imputati. La questione aveva formato oggetto di specifico motivo di appello ma era rimasta priva di qualsivoglia argomentazione nell'impugnata sentenza.
2.3. Con il terzo motivo viene prospettato vizio motivazionale con riferimento alla mancata pronuncia circa i benefici di legge in favore del D.L., benefici concessi dal Tribunale al solo D.M., ed alla omissione di ogni statuizione in ordine alla concessione delle circostanze attenuanti generiche, negate in prime cure e richieste in sede di appello.
 

 

Diritto

 


1. Il ricorso impone le seguenti considerazioni.
2. Manifestamente infondato è il primo motivo. 
Come correttamente ritenuto dal Tribunale nella ordinanza resa alla udienza del 24 aprile 2015 - che i ricorrenti hanno allegato al ricorso in ossequio al principio dell'autosufficienza - l'errata indicazione contenuta nel decreto di citazione a giudizio secondo cui, in caso di mancata comparizione dell'imputato, il giudizio si sarebbe svolto in contumacia anziché in assenza non dà luogo ad alcuna nullità, trattandosi di ammonimento a contenuto meramente informativo destinato ad avvisare l'imputato che la sua mancata presenza non preclude l'ordinario svolgimento del processo.
Come del resto già ritenuto da questa Corte, la sanzione processuale di nullità del decreto non è espressamente prevista, né è desumibile da alcuna delle previsioni di cui all'art. 178, comma 1, lett. c), cod. proc. pen., potendo causare nullità solo il mancato rispetto delle norme a tutela del diritto di difesa per il contumace, non previste per l'assente, quale, ad esempio, quella del previgente art. 548, comma 3, cod. proc. pen. che prevedeva, per il primo, l'obbligo di notifica dell'avviso di deposito con estratto della sentenza (In tal senso, argomenta da Sez. 1, n. 18872 del 26/02/2019, Rv.275744).
Del resto, nonostante lo sforzo di coordinamento operato dal legislatore della novella del 2014, che ha ridisegnato la disciplina del processo "in assenza" dell'imputato, permangono nel codice di rito ulteriori riferimenti all'istituto della contumacia: in particolare, quello contenuto nell'art. 552, comma 1, lett. d), cod. proc. pen. circa l'avvertimento all'imputato, da inserire nel decreto di citazione a giudizio, "che non comparendo sarà giudicato in contumacia", terminologia superata dall'art. 420 bis, cui occorre fare riferimento.
Nell'odierno ricorso il motivo viene peraltro prospettato in maniera del tutto generica, ancorata ad un mero errore formale, senza alcuna indicazione del nocumento che sarebbe derivato ai diritti difensivi, posto che gli imputati, mai comparsi, sono stati ritualmente dichiarati "assenti" ed il giudizio è stato celebrato secondo la nuova normativa.
E' vero che la Corte di Cagliari, dopo aver enunciato il motivo di impugnazione, non lo esamina in sentenza, tuttavia va ricordato che "In tema di impugnazioni, il mancato esame, da parte del giudice di secondo grado, di un motivo di appello non comporta l'annullamento della sentenza quando la censura, se esaminata, non sarebbe stata in astratto suscettibile di accoglimento, in quanto l'omessa motivazione sul punto non arreca alcun pregiudizio alla parte e, se trattasi di questione di diritto, all'omissione può porre rimedio, ai sensi dell'art. 619 cod. proc. pen., la Corte di cassazione quale giudice di legittimità" (Sez. 3, n. 21029 del 03/02/2015, Rv. 263980).
Il principio ben si attaglia all'eccezione in esame.
3. Parimenti infondato è il secondo motivo.
Va dato atto che i ricorrenti non contestano né la rispettiva posizione di garanzia, né la dinamica dell'infortunio, né la violazione delle norme cautelari in materia di prevenzione degli infortuni sul lavoro, dettagliatamente indicate nel capo di imputazione: deducono però che l'incidente si sarebbe verificato per un'improvvisa raffica di vento, fenomeno meteorologico imprevedibile nella zona occupata dal cantiere e tale da escludere la rimproverabilità soggettiva dell'evento.
Ciò posto, e contrariamente a quanto lamentato in ricorso, la Corte territoriale ha esaminato tale tesi difensiva - già prospettata in sede di gravame - e l'ha disattesa all'esito di puntuali e corrette considerazioni, rilevando che proprio la condizione atmosferica avversa, oggettivamente percepita come pericolosa rispetto al tipo di intervento in atto, avrebbe dovuto indurre alla sospensione immediata dei lavori, che si stavano svolgendo in quota in dispregio delle più elementari norme di sicurezza, su una scala a pioli del tutto instabile, non ancorata al suolo, senza la presenza di un secondo operatore a terra che la sorreggesse e senza che il lavoratore indossasse alcun presidio di protezione individuale. Proprio la presenza del forte vento - come osserva in maniera ineccepibile la Corte di merito - rende insuperabile, anche facendo ricorso solo alle norme di comune diligenza, l'affermazione della responsabilità degli imputati, posto che l'adozione di una di queste precauzioni idonee a stabilizzare la scala ancorandola al suolo ne avrebbe impedito il ribaltamento, cui è conseguita la caduta del lavoratore.
La motivazione dei giudici di appello appare pertanto esaustiva, a fronte del generico motivo di ricorso, con cui si invoca, indifferentemente, l'esimente del caso fortuito o della forza maggiore, richiamando gli arresti giurisprudenziali che definiscono il caso fortuito come "un avvenimento imprevisto che si inserisce all'improvviso nell'azione del soggetto e non può nemmeno a titolo di colpa farsi risalire all'attività psichica dell'agente" (Sez. 4, n. 6982/13 del 19/12/2012, Rv. 254479), e la forza maggiore come "una vis maior cui resisti non potest, cioè un evento derivante dalla natura o dai fatto dell'uomo, che non può essere prevedibile o, che, anche se prevedibile, non può essere impedito" (Sez. 6, n. 1018 del 05/07/1979, Rv. 144063).
Evidente allora che, poste le plurime violazioni da parte degli imputati delle norme prevenzionali, il vento poteva solo contribuire a rendere ancor più pericoloso il lavoro in quota e dunque costituire ulteriore elemento che avrebbe dovuto indurre all'adozione delle necessarie cautele di sicurezza.
4. Il terzo motivo è fondato.
Due sono le censure dei ricorrenti.
La prima riguarda il solo D.L., al quale, a differenza del coimputato, non sono stati concessi dal Tribunale i doppi benefici di legge, in ragione della qualifica assunta in relazione all'evento dannoso ed all'entità dei danni conseguenti alle omissioni oggetto di incriminazione. Investita dello specifico motivo di gravame, la Corte di Cagliari non ha fornito alcuna risposta.
La seconda censura riguarda la mancata concessione, ad entrambi gli imputati, delle circostanze attenuanti generiche, su cui del pari la Corte territoriale non si è pronunciata.
Giova ricordare in diritto che "Nel caso in cui l'imputato abbia chiesto con specifico motivo di appello la concessione del beneficio della sospensione condizionale della pena inflittagli dal giudice di primo grado e il giudice di appello non abbia preso in considerazione tale richiesta, omettendo qualsiasi motivazione sul punto, la sentenza impugnata deve essere annullata, parzialmente, con rinvio, in quanto la concessione di tale beneficio involge valutazioni di merito, anche con riferimento al giudizio prognostico indicato nell'art. 164 cod. pen., che sono sottratte al giudizio di legittimità" (Sez. 4, n. 41988 del 06/07/2017, Rv. 270932, conforme a Sez. 2, n. 46981 del 12/10/2016, Rv. 268242).
Sull'omesso esame del motivo di appello riguardante la concessione delle circostanze attenuanti generiche, del pari, questa Corte di legittimità ha stabilito che "Nell'ipotesi in cui con uno dei motivi di appello l'imputato abbia chiesto l'applicazione delle circostanze attenuanti generiche in base ad uno o più specifici elementi di valutazione, il giudice è obbligato a motivare in modo congruo e pertinente il rigetto della istanza" (Sez. 3, n. 12697 del 05/06/1989, Rv. 182101).
Alla luce di questi principi, cui questo Collegio si uniforma, la sentenza impugnata deve essere annullata limitatamente alla omessa pronuncia sulle dette richieste dei ricorrenti e rinviata per nuovo esame sui punti ad altra Sezione della Corte di Appello di Cagliari.
Nel resto i ricorsi vanno dichiarati inammissibili.
Segue la irrevocabilità dell'affermazione di penale responsabilità degli imputati.
 

 

P.Q.M.
 

 

Annulla la sentenza impugnata limitatamente alla omessa pronuncia sulle richieste di riconoscimento delle circostanze attenuanti generiche e di sospensione condizionale dell'esecuzione della pena inflitta a Luigi D.L. e rinvia sui punti alla Corte d'Appello di Cagliari, altra sezione. Dichiara inammissibili nel resto i ricorsi.
Dichiara, ai sensi dell'art. 624 comma 2 c.p.p., irrevocabile l'affermazione di responsabilità degli imputati in ordine al reato loro ascritto.
Cosi deciso in Roma il 22 gennaio 2020
Si dà atto che il presente provvedimento viene sottoscritto dai solo estensore, consigliere anziano del collegio, per impedimento del suo presidente, ai sensi dell'art. 1, comma 1, letta) del d.p.c.m. 8 marzo 2020+, giusta decreto n.40 del Primo Presidente di questa Suprema Corte in data 18 marzo 2020.