Tribunale di Pesaro, decreto 7 gennaio 2020 - Discriminazione diretta della lavoratrice madre



Giudice Paganelli

 

 

FattoDiritto

 

Con ricorso ai sensi dell’art. 38 del codice delle pari opportunità (art. 38,d.lgs. n. 198/2006) la ricorrente esponeva di aver lavorato alle dipendenze della resistente dal 18.04.2017, con contratto a tempo determinato prorogato in data 18.04.2018 e una seconda volta, il 18.04.2019, per sei mesi, fino al 18.10.2019. Dal 7 maggio 2019 era assente per maternità obbligatoria. Poiché l’istante era in stato di gravidanza, la convenuta entro il 18.10.2019 non procedeva alla proroga del contratto a termine, a differenza di quanto disposto per altri 8 dipendenti anch’essi assunti come OOSS sulla base della graduatoria approvata con la determina 889/AVI del 07.09.2016 e scadenti anch’essi nel periodo ottobre – novembre 2019, pur se in possesso di un punteggio inferiore a quello dell’istante.
La discriminazione era apprezzabile anche sul piano statistico. A tutte le persone che avevano visto il contratto scadere era stata proposta, quantomeno, la proroga e tutti i contratti in scadenza nei mesi di ottobre-novembre erano stati prorogati tranne quello della ricorrente, unica lavoratrice madre. Inoltre, la determina n.509 del 18/9/2019 che dispone l’assunzione di n.2 OSS a tempo indeterminato in sostituzione di un pensionamento e di un “termine incarico a tempo determinato del 17/10/2019”, si riferiva proprio al contratto di G P visto che il 17/10/19 erano in scadenza solo due contratti e l’altro era stato rinnovato a M D (determina n.117 del 17/10/2019).
Nel corso del 2019 le assunzioni a tempo indeterminato di OSS sono state effettuate tutte, ad eccezione del caso della ricorrente, per sostituzioni di pensionamento, di dimissioni volontarie o di scadenze triennali di contratti a tempo determinato (delibera n.248 del 15/5/19; del. n.287 del 31/5/19; del. 349 del 19/6/19; del. 509 del 18/9/19; del. n.538 del 3/10/19).
In data 14 novembre 2019, infine, erano stati prorogati tutti i contratti in scadenza entro metà dicembre (delibera n.615 del 14/11/2019). Gli unici che non erano stati prorogati erano quelli del personale che aveva raggiunto il limite massimo dei tre anni previsto dalla normativa. Quello della ricorrente era l’unico contratto non prorogato nel 2019 prima della scadenza dei tre anni.
La condotta dell’(omissis) violava i divieti di discriminazione nell’assunzione del personale previsti dal codice delle pari opportunità (art. 25 del d.lgs. 198/2006) e perciò l’istante chiedeva che il giudice costituisse tra le parti un rapporto di lavoro con decorrenza convenzionale dal 18.10.2019 al 17.04.2020. Chiedeva altresì il risarcimento del danno non patrimoniale.
La resistente chiedeva il rigetto del ricorso a tal fine richiamando la delibera 509 del 18.09.2019, di assunzione a tempo indeterminato di 2 OOSS del medesimo profilo professionale della ricorrente disposte, “una per pensionamento” e l’altra per “termine incarico a tempo determinato”. L’assunzione della predette n. 2 unità OSS, aventi pieno diritto al ruolo a tempo indeterminato, non poteva integrare, neppure a livello presuntivo, alcuna forma di violazione e/lesione in riferimento alla posizione soggettiva della ricorrente essendo pienamente coerente e conforme al dettato legislativo.
Inoltre l’Amministrazione, a fine di ottemperare alle disposizioni regionali in tema di contenimento della spesa per il personale, con prassi generale e diffusa nei vari ambiti lavorativi/assistenziali, non sostituiva le assenze retribuite dei propri lavoratori – tra le quali quelle per malattie, congedi straordinari, maternità, ecc. – sia del comparto che della dirigenza – evitando il ricorso ad assunzioni a tempo determinato (cfr attestazione Dirigente UOC Risorse Umane, doc. n. 3) e provvedendo unicamente all’acquisizione di supplenze per assenze correlate ad istituti giuridici non retribuiti, fatte salve le ipotesi di posizioni non sostituibili e/o infungibili per caratteristiche e connotazioni strettamente professionali (es., ambiti di emergenza/urgenza).
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La domanda della lavoratrice è certamente ammissibile. L’istante lamenta un trattamento deteriore rispetto agli altri dipendenti assunti a termine dalla convenuta sulla base della graduatoria, in ragione della condizione di maternità che la riguarda. Il trattamento meno favorevole consiste nella mancata proroga del contratto a termine per un ulteriore periodo, disposto invece per la generalità degli altri OOSS con contratti in scadenza tra il 17 ottobre 2019 e il 15 novembre 2019. In tal modo l’istante deduce una discriminazione di genere.
Tale è infatti la definizione di discriminazione diretta evincibile dall’art. 25 del d.lg. n. 198/2006 (”Costituisce discriminazione diretta, ai sensi del presente titolo, qualsiasi disposizione, criterio, prassi, atto, patto o comportamento, nonché l’ordine di porre in essere un atto o un comportamento, che produca un effetto pregiudizievole discriminando le lavoratrici o i lavoratori in ragione del loro sesso e, comunque, il trattamento meno favorevole rispetto a quello di un’altra lavoratrice o di un altro lavoratore in situazione analoga”).
La legge vieta però anche la discriminazione indiretta che ricorre “quando una disposizione, un criterio, una prassi, un atto, un patto o un comportamento apparentemente neutri mettono o possono mettere i lavoratori di un determinato sesso in una posizione di particolare svantaggio rispetto a lavoratori dell’altro sesso, salvo che riguardino requisiti essenziali allo svolgimento dell’attività lavorativa, purché l’obiettivo sia legittimo e i mezzi impiegati per il suo conseguimento siano appropriati e necessari”.
Entrambe le nozioni sono prive di connotazioni soggettive. La nozione di discriminazione indiretta, per sua natura collocata in una dimensione collettiva, è la conquista più importante del diritto antidiscriminatorio di matrice europea e si caratterizza in base agli effetti prodotti da decisioni o scelte sessualmente neutre.
Rientra esplicitamente nella tutela del fattore-genere, ai sensi del comma 2-bis dell’art. 25, anche il trattamento deteriore basato sullo stato di gravidanza, di maternità o paternità, anche adottive, o in ragione di titolarità/esercizio dei diritti connessi a tali status, e ciò in conseguenza della novella di cui all’art. 1, c. 1, lett. p), n. 2, d.lgs. 25.1.2010, n. 5, apportata in attuazione della direttiva 2006/54/CE..
La speciale tutela prevista dall’art. 38, del d.lgs. 198/2006 (“Qualora vengano poste in essere discriminazioni in violazione dei divieti di cui al capo II del presente titolo… o comunque discriminazioni nell’accesso al lavoro, nella promozione e nella formazione professionale, nelle condizioni di lavoro compresa la retribuzione,…”) presuppone la violazione dei divieti di cui agli artt. 27-35 del codice, che possono coinvolgere tutti gli atti e i comportamenti (unilaterali o bilaterali) rilevanti ai fini della costituzione, svolgimento e della cessazione del rapporto. Sono coperte dai divieti tutte le fasi, quella precedente l’instaurazione del vincolo (in cui il soggetto si trova in una posizione di mera aspirazione al posto di lavoro) e dell’accesso, quella relativa alla formazione (nonché all’orientamento, al perfezionamento, all’aggiornamento, alla riqualificazione professionale, ai tirocini formativi e di orientamento), o allo svolgimento del rapporto (assegnazione di mansioni, trattamenti retributivi, trasferimenti, progressione in carriera ecc.), quella relativa all’estinzione, quella dell’accesso a forme di previdenza, di base e complementare, ed infine quella dell’affiliazione ad associazioni sindacali o professionali.
Nel merito il ricorso va accolto.
L’accertamento della discriminazione diretta presuppone un giudizio di relazione in forza del quale possa affermarsi che il trattamento differenziato riservato alla ricorrente si ricolleghi causalmente ad uno dei fattori di discriminazione considerati dalla legge e quindi nel caso specifico alla maternità.
Sul piano probatorio, in base all’art. 40, “Quando il ricorrente fornisce elementi di fatto, desunti anche da dati di carattere statistico relativi alle assunzioni, ai regimi retributivi, all’assegnazione di mansioni e qualifiche, ai trasferimenti, alla progressione in carriera ed ai licenziamenti, idonei a fondare, in termini precisi e concordanti, la presunzione dell’esistenza di atti, patti o comportamenti discriminatori in ragione del sesso, spetta al convenuto l’onere della prova sull’insussistenza della discriminazione.”.
Si tratta di un regime probatorio agevolato, che favorisce i lavoratori e le lavoratrici nella dimostrazione del nesso di causalità tra trattamento differenziato e fattore di discriminazione, una volta che essi abbiano provato l’esistenza in fatto di un trattamento differenziato rispetto al tertium comparationis prescelto. Il ricorrente dovrà perciò: a) allegare ed eventualmente dimostrare il fattore di discriminazione cui si assume riferibile il trattamento differenziale; b) affermare e dimostrare l’esistenza di un trattamento deteriore rispetto al termine di comparazione (e quindi a un soggetto, anche non più esistente o anche solo ipotetico, ma comunque non portatore del fattore protetto), prova che potrà darsi anche con l’ausilio del dato statistico.
Per la verifica del rapporto causale deve compiersi un giudizio di tipo alternativo- ipotetico ovvero interrogarsi sul se il soggetto avrebbe ricevuto quel trattamento se non fosse stato portatore del fattore protetto; se la risposta è negativa quel trattamento ha natura discriminatoria.
Una volta assolto il predetto onere, sarà il datore di lavoro a dover dimostrare fatti, necessariamente specifici ed obiettivamente verificabili, idonei a far ritenere, nel caso di discriminazione diretta, l’inesistenza della discriminazione e quindi l’esistenza di una ragione non discriminatoria del trattamento differenziato, alternativa a quella normativamente presunta, e avente esclusiva rilevanza causale, oppure l’esistenza di una deroga, cioè l’esclusione della fattispecie dall’area del divieto (ad es. quando il trattamento differenziale dipenda da una caratteristica essenziale della prestazione, oggettivamente apprezzata). Nel caso di discriminazione indiretta per escludere il carattere discriminatorio del requisito produttivo del trattamento sessualmente pregiudizievole è richiesta la dimostrazione dell’essenzialità di esso allo svolgimento dell’attività lavorativa e più in generale alle esigenze aziendali latamente intese, con l’ulteriore limite del perseguimento di un obiettivo legittimo con mezzi appropriati e necessari.
Sulla base dell’istruttoria svolta deve ritersi che l’istante abbia assolto il proprio onere probatorio dimostrando: a) di essere portatrice di uno dei fattori di rischio oggetto di speciale protezione normativa (è in maternità dal 07.05.2019, nella vigenza del rapporto di lavoro costituito il 18.04.2017 e prorogato per sei mesi il 18.04.2019); b) che il rapporto di lavoro alla scadenza non è stato prorogato; c) che la mancata proroga è causalmente rapportabile al godimento del congedo per maternità.
L’evidenza del nesso causale tra il fattore protetto e la mancata proroga del contratto si rinviene dalla deduzione della convenuta secondo cui, per prassi, non sostituisce “il personale assente per gravidanza o per fruizione di altri istituti giuridici comunque retribuiti, salvo ricorrervi qualora si tratti di posizioni non sostituibili e/o intercambiabili. Ciò nell’intento di garantire il rispetto del contenimento della spesa e la riduzione dell’utilizzo di personale precario, adottando soluzioni ed interventi di riorganizzazione” (doc. 3, res.).
Nel casi in esame, peraltro, la ricorrente evidentemente reputando essenziale la postazione lavorativa resa disponibile dalla maternità della ricorrente, l’ha coperta assumendo altro dipendente a tempo indeterminato (determina n. 509/2019).
Applicando il giudizio controfattuale e quindi ipotizzando che la ricorrente non fosse stata portatrice del fattore protetto, ci si deve chiedere se il suo contratto non sarebbe stato egualmente prorogato.
La risposta, sulla base delle allegazioni della resistente è negativa: la ricorrente in tal caso non si sarebbe assentata dal lavoro per maternità e non avrebbe posto problemi di sostituzione con conseguente aggravio di spesa. Il suo contratto sarebbe perciò stato prorogato.
Deve quindi verificarsi se la convenuta abbia assolto a sua volta il proprio onere probatorio.
Ella fondamentalmente non nega l’esistenza di una discriminazione – che si ricorda non implica alcuna connotazione soggettiva – ma reputa l’effetto (mancata proroga del contratto) giustificato dal legittimo esercizio dei poteri discrezionale attinenti alla provvista del personale in vista della maggiore economicità di gestione.
In sostanza, al fine di non cumulare il costo della maternità o di altro tipo di congedo retribuito (malattia, ecc.) e il costo del personale supplente, la resistente, per generale indirizzo, non rimpiazza il personale in congedo con un supplente salvo casi eccezionali (salvaguardia dei LEA; personale destinato a coprire emergenze, e simili).
Si tratta di un’allegazione che però non esclude la discriminazione, come dimostra il giudizio controfattuale.
Pare al decidente che in tal modo la convenuta evidenzi piuttosto una discriminazione di natura indiretta, determinata da una decisione apparentemente neutra (che non riguarda cioè il solo personale in maternità ma genericamente quello che fruisce di congedi retribuiti), che pone però egualmente i lavoratori di sesso femminile in una posizione di particolare svantaggio rispetto a lavoratori dell’altro sesso. L’adozione della prassi indicata ha quale effetto l’annullamento delle chance di prosecuzione del rapporto di lavoro per le dipendenti che in costanza di rapporto a tempo determinato si congedano per maternità e ciò le pone in una posizione nettamente differenziata rispetto alla generalità degli altri dipendenti.
La circostanza che l’istante non abbia un diritto all’assunzione non pare rilevante. Come statuito dalla Corte di Giustizia C-294/04, l’ordinamento comunitario mira ad un’uguaglianza sostanziale e non formale e pertanto le sue disposizioni devono essere interpretate nel senso che vietano qualsiasi trattamento sfavorevole di un lavoratore di sesso femminile a causa di un congedo di maternità o in relazione con un tale congedo, diretto alla tutela della donna incinta, senza che occorra tener conto del fatto che il detto trattamento riguarda un rapporto di lavoro esistente o un nuovo rapporto di lavoro. Il diritto comunitario esige che il fatto di usufruire di un congedo legale di tutela, da un lato, non interrompa né il rapporto di lavoro della donna interessata né l’attuazione dei diritti connessi e, dall’altro, non possa provocare un trattamento sfavorevole di quest’ultima.
Considerazioni queste che non sono in alcun modo elise dal fatto che un medesimo effetto sfavorevole possa prodursi per altri motivi (es. congedo per malattia) a carico di lavoratori di sesso maschile.
Relativamente alle conseguenze dell’accertata discriminazione, non si ravvisano ostacoli alla costituzione autoritativa di un rapporto di lavoro a tempo determinato. Il divieto di cui all’art. 36 del d.lgs. 165/2001, concerne i rapporti a tempo indeterminato e la misura è essenziale al fine di assicurare l’effettività della tutela e dell’osservanza dell’ordinamento comunitario di cui le norme in esame sono espressione. Il rapporto avrà durata non inferiore a quella degli altri OOSS prorogati dal 18.10.2019 al 31.01.2020, con soggezione a tutte le altre condizioni previste nella determina n. 117/2019.
Non sussistono i presupposti per concedere il risarcimento del danno morale che come noto non è in re ipsa e non può collegarsi a formule verbali stereotipate.
Le spese di lite seguono la soccombenza e sono poste in capo alla convenuta. Si liquidano in complessivi € 2096,00 per compenso al difensore e spese forfettarie, oltre iva e cpa come per legge.

 



P.Q.M.
 

 


Il tribunale di Pesaro, ogni diversa istanza eccezione disattesa, accoglie il ricorso e per l’effetto dichiara la natura discriminatoria della prassi in forza della quale la convenuta non proroga i contratti di lavoro del personale assunto a termine che fruisce del congedo di maternità; per l’effetto dispone la costituzione tra le parti di un rapporto di lavoro a tempo determinato con scadenza al 31.01.2020, in proroga al contratto del 18 aprile 2017 e con anzianità (o decorrenza) convenzionale dal 18 ottobre 2019.
Spese come in parte motiva.