Categoria: Cassazione penale
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Cassazione Penale, Sez. 4, 07 maggio 2020, n. 13856 - Caduta mortale da una scala. L'approntamento di misure di sicurezza esula dalla sussistenza di un rapporto di lavoro subordinato o autonomo


 

Correttamente la Corte territoriale ha osservato che la tutela delle condizioni di lavoro e la garanzia delle sue condizioni di sicurezza rappresentano un problema che concerne l'ambiente di lavoro, indipendentemente dal rapporto civilistico del lavoratore con il titolare dell'impresa nei cui locali si svolge l'attività lavorativa. Del resto, come ha ricordato la sentenza impugnata, l'approntamento di misure di sicurezza, e quindi il rispetto delle norme antinfortunistiche, esula dalla sussistenza di un rapporto di lavoro subordinato o autonomo, essendo stata riconosciuta la tutela anche in fattispecie di lavoro prestato per amicizia, per riconoscenza o comunque in situazione diversa dalla prestazione del lavoratore subordinato o autonomo, purché detta prestazione sia stata effettuata in un ambiente che possa definirsi di lavoro (così Sez. 4, n. 7730 del 16/01/2008, Musso, Rv. 238756).

4. Si tratta di considerazioni in linea con la costante giurisprudenza della Corte regolatrice, secondo cui, in tema di prevenzione degli infortuni sul lavoro, il committente, anche nel caso di affidamento dei lavori ad un'unica ditta appaltatrice, è titolare di una posizione di garanzia idonea a fondare la sua responsabilità per l'infortunio, sia per la scelta dell'Impresa - essendo tenuto agli obblighi di verifica imposti dall'art. 3, comma ottavo, d.lgs. 14 agosto 1996, n. 494 - sia in caso di omesso controllo dell'adozione, da parte dell'appaltatore, delle misure generali di tutela della salute e della sicurezza sui luoghi di lavoro (Sez. 4, n. 23171 del 09/02/2016, Russo, Rv. 26696301).


 

Presidente: BRICCHETTI RENATO GIUSEPPE Relatore: RANALDI ALESSANDRO Data Udienza: 13/02/2020

 


Fatto

 


1. Con sentenza del 23.10.2017 la Corte di appello di Roma, in riforma della sentenza assolutoria di primo grado, ha dichiarato I.M. colpevole del reato di omicidio colposo di L.B..
L'addebito nei confronti dell'imputato è quello di aver cagionato la morte del L.B., lavoratore autonomo al quale l'imputato aveva commissionato la installazione di una tubatura per l'aria compressa; il L.B., che durante il lavoro stava su una scala ad un'altezza superiore ai tre metri da terra, era caduto, ed il decesso era conseguito al trauma cranico riportato; la scala utilizzata dal L.B., non ancorata, né trattenuta al suolo da altra persona, era risultata inidonea alla lavorazione da compiersi.
Il rimprovero mosso all'imputato è stato quello di aver commissionato il lavoro al L.B., da svolgersi nei locali della propria azienda, senza aver svolto alcuna preventiva valutazione su cosa sarebbe occorso per eseguire in sicurezza la prestazione richiesta, ed in particolare senza aver fornito al lavoratore uno strumento adeguato (trabattello) per proteggerlo dal rischio di caduta, fornendogli invece una scala palesemente inadeguata per la realizzazione di un lavoro in altezza.
2. Avverso tale sentenza ha proposto ricorso per cassazione il difensore dell'imputato, lamentando quanto segue.
I) Vizio di motivazione e travisamento della prova relativamente alla testimonianza di C.M. (padre dell'imputato). Indebita anticipazione del momento valutativo della sussistenza e/o percezione del rischio ad un momento distinto e diverso da quello operante nell'alveo della "percezione umana".
Si osserva che la sentenza di primo grado aveva riscontrato il difetto di nesso causale tra la condotta dell'imputato e l'evento, atteso che l'imputato non aveva mai interloquito con il L.B. circa le direttive per l'acquisto e predisposizione dei materiali necessari allo svolgimento del lavoro.
Il ricorrente, pertanto, non si è mai ingerito nell'esecuzione dei lavori e non ha avuto alcuna diretta percepibilità di fattori di rischio generici.
La motivazione della Corte d'appello è manifestamente illogica in quanto ha riconosciuto la responsabilità del I.M. pur dando atto del fatto che costui nulla sapesse delle lavorazioni. 
II) Violazione di legge e vizio di motivazione in relazione all'art. 129 cod. proc. pen., in combinato disposto con gli artt. 21, 26 d.lgs. n. 81/2008, per avere omesso di dichiarare l'assoluzione dell'imputato, risultando la "evidenza" della insussistenza del fatto.
Si ribadisce come l'incarico al L.B. fosse stato affidato direttamente da C.M. (genitore dell'imputato) e come il ricorrente non avesse avuto alcun contatto diretto con il L.B., per cui appare logico che il momento consumativo della violazione formale della mancata verifica della sussistenza dei requisiti tecnico-professionali non possa che essere quello dell'effettivo inizio della prestazione richiesta e non quello della mera consapevolezza dell'affidamento dei lavori. Si sostiene il difetto di motivazione sul punto della ritenuta "inconsapevolezza", che non è stata illogicamente apprezzata con riferimento agli adempimenti formali di cui all'art. 26 d.lgs. n. 81/2008.
3. Con memoria depositata il 20.1.2020 il difensore della parte civile T.B. insiste affinché sia dichiarato inammissibile o rigettato il ricorso dell'imputato.
4. Con memoria depositata il 27.1.2020 il difensore delle parti civili OMISSIS chiede che sia dichiarata la decadenza dall'impugnazione per tardività e comunque inammissibile il ricorso.

 


Diritto
 

 

1. Si deve, preliminarmente, rilevare la tempestività del ricorso, posto che la sentenza impugnata risulta notificata all'imputato, ex art. 157 cod. proc. pen., mediante deposito dell'atto nella casa comunale e raccomandata ricevuta dall'imputato in data 18.4.2019, addirittura successiva alla data di proposizione (27.3.2019) dell'impugnazione in esame.
2. Passando all'esame dei motivi di ricorso, si osserva che il ricorrente, non senza evocare in larga misura censure in fatto non proponibili in questa sede, ha formulato questioni già puntualmente esaminate e disattese dalla Corte di appello, con motivazione del tutto coerente e adeguata, rispetto alla quale, in buona sostanza, il mezzo di impugnazione odierno omette di confrontarsi, incorrendo in tal modo anche nel vizio di aspecificità.
3. La premessa - corretta - del ragionamento della Corte territoriale, è che né l'assenza dell'Imputato dal luogo ove è avvenuto il sinistro, né la circostanza che costui non si sia ingerito nella prestazione resa dall'appaltatore, valgono ad esonerarlo da responsabilità in relazione all'infortunio mortale in disamina.
Ebbene, il ricorrente, con il primo motivo, insiste nell'affermare che vi sarebbe stato un travisamento delle dichiarazioni di C.M. (padre dell'imputato), da cui si evincerebbe che l'incarico al L.B. sarebbe stato dato soltanto dal genitore, mentre l'imputato sarebbe rimasto ignaro della prestazione richiesta.
Il rilievo è manifestamente infondato, posto che è la stessa sentenza impugnata a scartare espressamente una ipotesi di culpa in eligendo, individuando la responsabilità del I.M. nella violazione degli artt. 21 e 26 d.lgs. n. 81/2008, rimanendo incontestato che il lavoro era stato commissionato al L.B. dall'odierno imputato - quale titolare dell'azienda dove avrebbe dovuto svolgersi la prestazione richiesta - indipendentemente dal fatto che i contatti con il lavoratore autonomo fossero stati tenuti direttamente da C.M. .
Il ricorrente non si fa minimamente carico di censurare gli elementi di fatto e le ragioni di diritto poste a base della decisione, con riguardo alla riscontrata violazione delle condizioni di sicurezza insistenti nell'ambiente di lavoro in cui il L.B. si era trovato ad operare, mediante adozione di una scala - fornita dall'azienda di cui l'imputato è titolare - rivelatasi palesemente inadeguata a proteggere il lavoratore dal rischio generico di caduta dall'alto, e che ha determinato la concretizzazione del rischio che la normativa prevenzionistica mirava a tutelare.
Il giudice di merito ha ragionevolmente osservato che l'imputato era nelle condizioni di prevenire il rischio generico, non essendo in discussione che egli sapesse del lavoro da compiersi nella sua azienda; sicché, a prescindere dal giorno alquanto particolare (ultimo dell'anno) di inizio dei lavori da parte del L.B., l'imputato, quale soggetto garante, avrebbe comunque dovuto valutare, in via preventiva, le modalità di esecuzione in sicurezza del lavoro, stabilendo che cosa sarebbe stato necessario per la sua attuazione (un trabattello), ed avvisando in tal senso l'appaltatore.
Correttamente la Corte territoriale ha osservato che la tutela delle condizioni di lavoro e la garanzia delle sue condizioni di sicurezza rappresentano un problema che concerne l'ambiente di lavoro, indipendentemente dal rapporto civilistico del lavoratore con il titolare dell'impresa nei cui locali si svolge l'attività lavorativa. Del resto, come ha ricordato la sentenza impugnata, l'approntamento di misure di sicurezza, e quindi il rispetto delle norme antinfortunistiche, esula dalla sussistenza di un rapporto di lavoro subordinato o autonomo, essendo stata riconosciuta la tutela anche in fattispecie di lavoro prestato per amicizia, per riconoscenza o comunque in situazione diversa dalla prestazione del lavoratore subordinato o autonomo, purché detta prestazione sia stata effettuata in un ambiente che possa definirsi di lavoro (così Sez. 4, n. 7730 del 16/01/2008, Musso, Rv. 238756).
4. Si tratta di considerazioni in linea con la costante giurisprudenza della Corte regolatrice, secondo cui, in tema di prevenzione degli infortuni sul lavoro, il committente, anche nel caso di affidamento dei lavori ad un'unica ditta appaltatrice, è titolare di una posizione di garanzia idonea a fondare la sua responsabilità per l'infortunio, sia per la scelta dell'Impresa - essendo tenuto agli obblighi di verifica imposti dall'art. 3, comma ottavo, d.lgs. 14 agosto 1996, n. 494 - sia in caso di omesso controllo dell'adozione, da parte dell'appaltatore, delle misure generali di tutela della salute e della sicurezza sui luoghi di lavoro (Sez. 4, n. 23171 del 09/02/2016, Russo, Rv. 26696301). In particolare - e con specifico riferimento ad un caso analogo a quello in esame -, è stato osservato che il committente del lavoratore che presti la propria attività in esecuzione di un contratto d'appalto, non è esonerato dagli obblighi in materia antinfortunistica con riguardo alle precauzioni da adottare con riferimento al rischio, non specifico, di caduta dall'alto (cfr. Sez. 3, n. 12228 del 25/02/2015, Cicuto, Rv. 26275701).
Può aggiungersi che questa Corte di legittimità ha, in più occasioni, ribadito che l'unitaria tutela del diritto alla salute, indivisibilmente operata dagli artt. 32 Cost., 2087 cod. civ. e 1, comma primo, legge n. 833 del 1978, impone l'utilizzazione dei parametri di sicurezza espressamente stabiliti per i lavoratori subordinati nell'impresa, anche per ogni altro tipo di lavoro (Sez. 4, n. 42465 del 9/07/2010, Angiulli, Rv. 248918). E, ancora, è stato ribadito che il committente ha l'obbligo di verificare non soltanto l'idoneità tecnico-professionale dell'impresa e dei lavoratori autonomi prescelti, ma deve tenere conto anche della pericolosità dei lavori affidati (così Sez. 3, n. 35185 del 26/4/2016, Marangio, Rv. 267744 in relazione alla morte di un lavoratore edile precipitato al suolo dall'alto della copertura di un fabbricato, nella quale è stata ritenuta la responsabilità per il reato di omicidio colposo dei committenti, che, pur in presenza di una situazione oggettivamente pericolosa, si erano rivolti ad un artigiano, ben sapendo che questi non era dotato di una struttura organizzativa di impresa, che gli consentisse di lavorare in sicurezza).
5. I suddetti rilievi rendono manifestamente infondato anche il secondo motivo di ricorso. 
La congrua e logica motivazione della sentenza impugnata, in punto di responsabilità dell'imputato, è chiaramente incompatibile con una pronuncia di proscioglimento del medesimo per "evidenza" dell'innocenza ai sensi dell'art. 129 cod. proc. pen.
6. Stante l'inammissibilità del ricorso, e non ravvisandosi assenza di colpa nella determinazione della causa di inammissibilità (Corte cost. sent. n. 186/2000), alla condanna del ricorrente al pagamento delle spese processuali consegue quella al pagamento della sanzione pecuniaria, che si stima equo quantificare nella misura indicata in dispositivo. Segue, per il principio di soccombenza, la condanna dell'imputato al rimborso delle spese di questa fase di legittimità alle parti civili costituite.
 

 

P.Q.M.
 

 

Dichiara inammissibile il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle spese processuali, della somma di euro duemila in favore della Cassa delle ammende e delle spese delle parti civili OMISSIS, che liquida in euro tremila, oltre accessori di legge e della parte civile T.B., che liquida in euro duemilacinquecento, oltre accessori di legge.
Si dà atto che il presente provvedimento è sottoscritto dal solo consigliere estensore, per impedimento del presidente, ai sensi dell'art. 1, comma 1, lett. a), del d.p.c.m. 8 marzo 2020.
Così deciso il 13 febbraio 2020