• Datore di Lavoro
  • Cantiere Temporaneo e Mobile
  • Infortunio sul Lavoro

Responsabilità di un datore di lavoro per omicidio colposo in danno di un suo dipendente -  I giudici di merito hanno ritenuto accertato che la persona offesa, dipendente dell'imputato, prestasse la propria opera in un cantiere edile all'altezza di circa dieci metri dal suolo senza che l'ambiente di lavoro fosse dotato delle necessarie protezioni contro le cadute dall'alto e che, in conseguenza di questa omissione, il lavoratore fosse caduto da un piano elevato trovando la morte. 

Il datore di lavoro ricorre in Cassazione - Rigetto

La Corte afferma che: " Non è in discussione, nel presente giudizio, che i piani superiori dell'edificio dove si è verificato l'incidente fossero privi delle necessarie protezioni. L'imputato però si difende affermando che il lavoratore infortunato era stato incaricato di lavorare al piano terra e quindi non avrebbe dovuto recarsi ad un piano superiore.
Ma va in contrario osservato che, se anche corrispondesse al vero che il lavoratore si era portato ad un piano elevato di sua iniziativa, è del tutto evidente che non si tratta di condotta abnorme e imprevedibile del lavoratore idonea ad interrompere il rapporto di causalità tra la condotta dell'imputato e l'evento." " di qui l'obbligo, per il datore di lavoro, di predisporre le necessarie protezioni in tutti gli ambienti agevolmente raggiungibili da coloro che vi si trovano (e non solo a tutela dei lavoratori ma di tutte le persone che si trovano nell'ambiente)." 
 

Il datore di lavoro lamenta inoltre la mancata concessione dell'attenuante della riparazione del danno di cui all'art. 62 n. 6 c.p. "risultando documentalmente che l'INAIL aveva provveduto ad erogare le somme dovute prima del giudizio di primo grado".

La Corte afferma che "Indipendentemente dalla soluzione dei problemi relativi alla tempestività della riparazione e alla possibilità di usufruire della riparazione eseguita da un terzo è comunque certo che l'attenuante non poteva essere concessa.
Le somme erogate dall'Inail certamente non sono idonee a riparare "interamente" il danno perchè non comprendono (oltre al danno biologico che, nel caso di decesso immediato, non viene in considerazione) il danno morale".


LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE
SEZIONE QUARTA PENALE
Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:
Dott. CAMPANATO Graziana - Presidente -
Dott. BRUSCO Carlo Giuseppe - Consigliere -
Dott. LICARI Carlo - Consigliere -
Dott. ROMIS Vincenzo - Consigliere -
Dott. MARESCA Maria Francesc - Consigliere -
ha pronunciato la seguente:
SENTENZA/ORDINANZA
sul ricorso proposto da:
C.V. N. IL (OMISSIS);
avverso SENTENZA del 25/10/2006 della CORTE APPELLO di REGGIO CALABRIA;
visti gli atti, la sentenza ed il ricorso;
udita in PUBBLICA UDIENZA la relazione fatta dal Consigliere Dott. BRUSCO Carlo Giuseppe;
Udito il Procuratore Generale in persona del Dott. IANNELLI Mario che ha concluso per l'inammissibilità del ricorso;
Udito, per la parte civile, l'Avv. PINO Emilia che ha concluso per l'inammissibilità del ricorso.

FattoDiritto

1) C.V. ha proposto ricorso avverso la sentenza 25 ottobre 2006 della Corte d'Appello di Reggio Calabria che ha rigettato l'appello proposto contro la sentenza 6 dicembre 2004 del Tribunale della medesima Città che lo aveva condannato alla pena ritenuta di giustizia - senza concessione delle attenuanti generiche negate all'imputato in considerazione dei numerosi precedenti penali da lui riportati - per il delitto di omicidio colposo in danno di CR.FR. deceduto in Reggio Calabria il (OMISSIS).
I giudici di merito hanno ritenuto accertato che la persona offesa, dipendente dell'imputato, prestasse la propria opera in un cantiere edile all'altezza di circa dieci metri dal suolo senza che l'ambiente di lavoro fosse dotato delle necessarie protezioni contro le cadute dall'alto e che, in conseguenza di questa omissione, il lavoratore fosse caduto da un piano elevato trovando la morte.
 
2) Il ricorrente, con il primo motivo di ricorso, deduce anzitutto la violazione dell'art. 606 c.p.p., comma 1, lett. b) e d) perchè la Corte di merito non avrebbe considerato che la vittima avrebbe dovuto prestare la sua attività al piano terra e solo per una sua iniziativa imprevedibile, ed esorbitante dalle sue mansioni, era salito ad un piano superiore.
Avrebbe poi, la Corte di merito, immotivatamente respinto la richiesta di riapertura dell'istruzione dibattimentale per consentire di provare le sue affermazioni.
Con il secondo motivo di ricorso si deduce la violazione di legge in relazione alla mancata concessione dell'attenuante di cui all'art. 62 c.p., n. 6 perchè erroneamente la Corte di merito avrebbe ritenuto che il risarcimento non era avvenuto prima del giudizio risultando documentalmente, al contrario, che l'Inail aveva provveduto ad erogare le somme dovute prima del giudizio di primo grado.
 
3) Il ricorso, ai limiti dell'ammissibilità è comunque infondato e deve conseguentemente essere rigettato.
Non è in discussione, nel presente giudizio, che i piani superiori dell'edificio dove si è verificato l'incidente fossero privi delle necessarie protezioni.
L'imputato però si difende affermando che il lavoratore infortunato era stato incaricato di lavorare al piano terra e quindi non avrebbe dovuto recarsi ad un piano superiore.
Ma va in contrario osservato che, se anche corrispondesse al vero che il lavoratore si era portato ad un piano elevato di sua iniziativa, è del tutto evidente che non si tratta di condotta abnorme e imprevedibile del lavoratore idonea ad interrompere il rapporto di causalità tra la condotta dell'imputato e l'evento.
Neppure il ricorrente afferma infatti di avere impartito rigorose disposizioni di non accedere ai piani alti e tanto meno allega di avere predisposto ostacoli per impedire tale accesso.
In mancanza di tali condotte non può essere certo ritenuto abnorme il comportamento di un lavoratore che si sposti da un ambiente di lavoro ad un altro; di qui l'obbligo, per il datore di lavoro, di predisporre le necessarie protezioni in tutti gli ambienti agevolmente raggiungibili da coloro che vi si trovano (e non solo a tutela dei lavoratori ma di tutte le persone che si trovano nell'ambiente).
Il motivo deve pertanto essere ritenuto infondato.
Ne consegue altresì l'irrilevanza del motivo che si riferisce alla mancata assunzione di una prova decisiva perchè le testimonianze dedotte (alcune delle quali, peraltro, già assunte e valutate dai giudici di merito) erano dirette a provare circostanze che non escludono la responsabilità dell'imputato.
 
4) Infondato è altresì il secondo motivo di ricorso.
Indipendentemente dalla soluzione dei problemi relativi alla tempestività della riparazione e alla possibilità di usufruire della riparazione eseguita da un terzo è comunque certo che l'attenuante non poteva essere concessa.
Le somme erogate dall'Inail certamente non sono idonee a riparare "interamente" il danno perchè non comprendono (oltre al danno biologico che, nel caso di decesso immediato, non viene in considerazione) il danno morale (si vedano in questo senso, con riferimento all'azione di regresso dell'Inail prevista dal D.P.R. n. 1124 del 1965, artt. 10 e 11, le sentenze della terza sez. civile di questa Corte 10 gennaio 2008 n. 255, rv 601222; 23 febbraio 2006 n. 4020, rv. 587943; 29 settembre 2005 n. 19150, rv. 583829).
 
5) Per le considerazioni svolte il ricorso deve essere rigettato.
Al rigetto del ricorso consegue la condanna del ricorrente al pagamento delle spese processuali e alla rifusione delle spese sostenute dalle parti civili che si liquidano nella misura indicata in dispositivo.

P.Q.M.
La Corte Suprema di Cassazione, Sezione 4^ penale, rigetta il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle spese processuali. Lo condanna inoltre a rifondere le spese del presente giudizio alle costituite parti civili che liquida in Euro 3.500,00 oltre accessori come per legge.
Così deciso in Roma, il 7 maggio 2009.
Depositato in Cancelleria il 25 giugno 2009