Categoria: Cassazione civile
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Infortunio occorso ad una sportellista che, nello scendere dallo sgabello, era inciampata nella raggiera portapiedi, la Corte, nel rigettare il ricorso, ha rilevato che la Corte territoriale, con motivazione sufficiente e non contraddittoria, aveva escluso che fosse stata raggiunta la prova della inadeguatezza degli arredi, mentre, per contro, non risultava violata da parte della società datrice di lavoro alcuna specifica norma di prevenzione degli infortuni

La responsabilità del datore di lavoro di cui all'art. 2087 cod. civ. è di natura contrattuale. Ne consegue che, ai fini del relativo accertamento, incombe sul lavoratore che lamenti di aver subito, a causa dell'attività lavorativa svolta, un danno alla salute, l'onere di provare l'esistenza di tale danno, come pure la nocività dell'ambiente di lavoro, nonché il nesso tra l'uno e l'altro elemento, mentre grava sul datore di lavoro - una volta che il lavoratore abbia provato le predette circostanze - l'onere di provare di aver fatto tutto il possibile per evitare il danno, ovvero di aver adottato tutte le cautele necessarie per impedire il verificarsi del danno medesimo. 






REPUBBLICA ITALIANA

IN NOME DEL POPOLO ITALIANO

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE LAVORO






Fatto


 

1. Con sentenza n. 566/02 il Tribunale di Monza ha condannato la società Poste Italiane a pagare a G.C. la somma complessiva di Euro 5.006,53, a titolo di risarcimento dei danni conseguenti all'infortunio occorso il (OMISSIS), quando nello svolgimento delle sue mansioni di sportellista, nello scendere dallo sgabello era inciampata nella raggiera portapiedi.

2. Contro la sentenza ha proposto appello la società lamentando che il Tribunale aveva trascurato l'accertamento del requisito indispensabile ai fini della sussistenza della responsabilità datoriale, ossia la colpa del datore di lavoro per l'omissione delle cautele necessarie ad eliminare i rischi per il lavoratore; colpa che, colui che deduce l'inadempimento, ha l'onere di provare.

L'appellata si è costituito resistendo all'impugnazione.

La Corte d'Appello di Milano con sentenza del 7 aprile 2004 ha accolto l'appello rigettando la domanda della G..

3. Avvero questa pronuncia propone ricorso per cassazione la lavoratrice.

Resiste con controricorso la società intimata illustrato anche da successiva memoria.

Diritto





1. Il ricorso - articolato in due motivi con cui essenzialmente la ricorrente si duole della violazione del regime dell'onere probatorio nel caso di infortunio sul lavoro subito dal lavoratore, motivi che possono essere esaminati congiuntamente - è infondato.

Premesso che l'obbligo di sicurezza, posto a carico del datore di lavoro in favore del lavoratore, è previsto in generale, con contenuto atipico e residuale, dall'art. 2087 c.c. (Cass. 21 febbraio 2004 n. 3498, Cass. 25 luglio 2003 n. 12467, Cass. 30 luglio 2003 n. 11704) ed in particolare, con contenuto tipico, dalla dettagliata disciplina di settore concernente gli infortuni sul lavoro e le malattie professionali e le misure di prevenzione, deve nella fattispecie considerarsi solo il primo atteso che è pacifico che nessuna specifica norma preventiva degli infortuni sul lavoro sia stata violata dalla società datrice di lavoro.

In riferimento a questo profilo questa Corte (Cass. sez. lav., 13 agosto 2008, n. 21590) ha da ultimo affermato che la responsabilità del datore di lavoro ex art. 2087 c.c. è di carattere contrattuale, atteso che il contenuto del contratto individuale di lavoro risulta integrato per legge, ai sensi dell'art. 1374 c.c. dalla disposizione che impone l'obbligo di sicurezza e lo inserisce nel sinallagma contrattuale. Ne consegue che il riparto degli oneri probatori nella domanda di danno da infortunio sul lavoro si pone negli stessi termini dell'art. 1218 c.c. circa l'inadempimento delle obbligazioni, da ciò discendendo che il lavoratore il quale agisca per il riconoscimento del danno differenziale da infortunio sul lavoro deve allegare e provare l'esistenza dell'obbligazione lavorativa, l'esistenza del danno ed il nesso causale tra quest'ultimo e la prestazione, mentre il datore di lavoro deve provare la dipendenza del danno da causa a lui non imputabile e, cioè, di aver adempiuto interamente all'obbligo di sicurezza, apprestando tutte le misure per evitare il danno.

Quindi - ha precisato questa Corte (Cass. 6 luglio 2002 n. 9856) - incombe al lavoratore che lamenti di aver subito, a causa dell'attività lavorativa svolta, un danno alla salute, l'onere di provare l'esistenza di tale danno, come pure la nocività dell'ambiente di lavoro, nonchè il nesso tra l'uno e l'altro, senza che occorra anche la indicazione delle norme antinfortunistiche violate o delle misure non adottate, mentre, quando il lavoratore abbia provato quelle circostanze, grava sul datore di lavoro l'onere di provare di avere adottato tutte le cautele necessarie ad impedire il verificarsi del danno.

Nella specie la Corte d'appello, con tipica valutazione di merito non censurabile in sede di legittimità perchè assistita da motivazione sufficiente e non contraddittoria, ha ritenuto che non solo non fosse stata raggiunta la prova della nocività dell'ambiente di lavoro, ma che in realtà neppure fosse stato allegato dalla lavoratrice, originaria ricorrente, che gli arredi nel luogo di lavoro ed in particolare delle sedie (o sgabelli) fossero inadeguati e comportassero un qualche rischio di infortunio; ciò in una situazione in cui - come già rilevato - nessuna specifica norma preventiva degli infortuni sul lavoro era stata violata dalla società datrice di lavoro.

3. Il ricorso va quindi rigettato.

Sussistono giustificati motivi (esito alternante della lite) per compensare tra le parti le spese di questo giudizio di cassazione.

P.Q.M.



La Corte:

Rigetta il ricorso; compensa tra le parti le spese di questo giudizio di cassazione.

Così deciso in Roma, il 16 dicembre 2008.

Depositato in Cancelleria il 17 febbraio 2009