Tribunale di Roma, Sez. Lav., 20 giugno 2020, n. 12525 - Diritto al lavoro in modalità agile per gli addetti alle professioni e alle attività sanitarie nel settore della sanità pubblica


TRIBUNALE DI ROMA


Il giudice del lavoro, dr. Mario de Ioris, designato per la trattazione del procedimento iscritto al n. 12525 R.G. 2020, ha emesso la seguente


ORDINANZA
(artt.669 bis e segg., 700 c.p.c.)

nel procedimento dianzi indicato promosso da:

Omissis

con l'Avv. Nicoletta Di Lolli e l' Avv. Carlo de Marchis Gomez
ricorrente


nei confronti di
AZIENDA SANITARIA LOCALE

resistente

FattoDiritto



Il giudice designato, in merito alla richiesta cautelare formulata, all'esito dell'udienza del 18.6.2020, tenutasi nelle forme di cui all'art. 83 comma 7 lettera h) D.L. 18/2020, osserva quanto segue.
La Sig.ra Omissis premesso di essere dipendente della ASL ... con la qualifica di assistente socio-sanitario e di essere stata temporaneamente assegnata in modalità d'urgenza, con provvedimento datoriale del 25 febbraio 2020, a svolgere la propria attività lavorativa presso il Servizio di Igiene e Sanità Pubblica di Via dell'Imbrecciato, ha chiesto in via d'urgenza a questo Tribunale di revocare detto provvedimento o comunque dichiararne l' inefficacia, in quanto illegittimo sotto diversi profili.
Con il medesimo ricorso, la sig.a  ... deducendo che la Asl datrice di lavoro aveva illegittimamente rigettato la sua richiesta di svolgere in modalità di lavoro agile l'attività lavorativa oggetto del suddetto provvedimento, ha altresì chiesto al Tribunale di ordinare alla stessa Asl di consentirle lo svolgimento delle mansioni contrattuali secondo tale modalità o, in subordine, di adibirla allo svolgimento di mansioni contrattuali compatibili con modalità di cui all'art. 18 legge 20 maggio 2017 n. 87.
A sostegno di tali richieste la ricorrente ha dedotto che il provvedimento di assegnazione impugnato, adottato dalla Asl al fine di costituire una task Force aziendale per collaborare alle indagini epidemiologiche e all'attività di sorveglianza e di diffusione del virus Covid - 19 , avendola assegnata ad una sede di servizio distante oltre 30 km dalla propria residenza, allontanandola così dalla precedente sede di servizio ubicata presso il presidio ospedaliero CPO (centro paraplegico dì Ostia) di Ostia, l' aveva costretta a percorrere quotidianamente oltre 60 km per recarsi al lavoro.
Tale allontanamento, ed il rigetto della sua richiesta di assegnazione a lavoro agile, secondo la ricorrente, avrebbero arrecato grave danno sia alla sua salute, sia a quella di due suoi familiari (madre e figlio) riconosciuti entrambi in condizione di handicap grave ai sensi dell'art. 3, comma 3, della l. n. 104/92, in quanto le avrebbero impedito di continuare a prestar loro l'assistenza fornitagli. All'accoglimento di tutte le richieste si è opposta la Asl datrice di lavoro della ricorrente che , costituitasi in giudizio, ha ribadito la correttezza e la legittimità del proprio operato, chiedendo il rigetto del ricorso avversario in quanto privo dei requisiti di cui all'art. 700 cpc e comunque infondato nel merito.
Ritiene il giudicante, con riferimento alla richiesta di revoca o di dichiarazione di inefficacia del provvedìmento impugnato, che il ricorso cautelare risulta carente quanto al requisito del periculum in mora, non ricorrendo nella fattispecie dedotta il pericolo concreto di un grave ed irreparabile danno da scongiurare con l' interdetto cautelare perché incombente con vicina probabilità.
Dalla documentazione prodotta dalla parte resistente si evince infatti che, diversamente da quanto dedotto in ricorso, la distanza in auto tra la residenza della ricorrente (Via Antonio Ligabue, 12 - 00125 Roma) e il presidio CPO di Ostia (Viale Vega - 00122 Ostia), ove ella prestava servizio prima del suddetto provvedimento, è pari a 10,5 km, e il tempo necessario per coprire tale distanza è stimabile in circa 16/20 minuti, mentre la distanza in auto tra detta residenza e il Servizio di Igiene e Sanità Pubblica (Via dell'Imbrecciato 71b/73 - 00149 Roma), ove ella è stata assegnata, oscilla tra i 18 e i 20,4 km, e il tempo necessario per percorrere tale distanza è stimabile in circa 22/24 minuti. Non risulta pertanto vero che la ricorrente per recarsi presso la sede di servizio di Via dell' Imbrecciato 71b/73 debba percorrere quotidianarnente 60 km, giacchè alla luce dei dati anzidetti, ella deve osservare un tragitto che, complessivamente tra andata e ritorno, non supera i 36 o i 40,8 Km (a seconda dei vari percorsi alternativi possibili), cosicchè l'assegnazione presso la sede anzidetta le comporta la necessità di percorrere per ogni viaggio di andata e ritorno un numero di km in più, rispetto a quelli percorsi in precedenti, che oscilla tra i 7,5 e i 10 km.
Dalle deduzioni svolte dalla ricorrente non emerge in che modo la necessità di un siffatto aumento dei km da percorrere giornalmente per recarsi al lavoro, in realtà non certo rilevante, sia idonea a pregiudicare in maniera irreparabile la possibilità di prestare assistenza ai familiari disabili, o di arrecare danni gravi alle sue condizioni di salute.

Sotto tale ultimo profilo, deve rilevarsi che dalla certificazione medica prodotta in giudizio dalla ricorrente e riferita alla sua persona (certificato del 22.4.2020 rilasciato dal proprio psicoterapeuta), risulta che la nuova situazione lavorativa "costituisce una fonte severa e protratta di stress" , ma quest'ultimo non sembra essere messo in correlazione tanto con lo spostamento lavorativo, atteso che le modalità ed entità di questo non risultano esser state valutate , quanto con le mansioni straordinarie assegnate alla stessa ricorrente.
In assenza di allegazioni specifiche e puntuali da parte della ricorrente in ordine ai tempi e modalità di percorrenza dei tragitti in precedenza richiamati, da attuarsi peraltro tra zone della stessa città non troppo distanti tra loro, e soprattutto in ordine alle modalità con le quali dia prestava assistenza ai familiari disabili, non è possibile stabilire se il suddetto maggior numero di km che ella deve percorrere per raggiungere la nuova sede di servizio sia tale da arrecare un grave e irreparabile danno alla somministrazione di detta assistenza.
A tal proposito deve considerarsi, inoltre, che uno di tali familiari (il figlio ...) svolge attività lavorativa, e la necessità dedotta dalla ricorrente di controllarlo quando lo stesso è a casa, come verificatosi nell'attualità a causa della epidemia in corso , non sarebbe maggiormente garantita, avuto riguardo a quanto già evidenziato, da una ricollocazione della ricorrente stessa presso la precedente sede di servizio, alla quale ella dovrebbe comunque recarsi quotidianamente.
Per tali ragioni la richiesta di revoca e di dichiarazione d'inefficacia dell'assegnazione impugnata non può essere accolta.
Discorso diverso deve invece farsi per lo svolgimento dell'attività lavorativa in modalità di lavoro agile (Smart working).
La necessità di controllare il figlio disabile, per il quale è stato certificato il ruolo svolto dalla madre di presenza di fondamentale importanza per il suo equilibrio e stabilità (doc. 16 e 18 allegati al ricorso), risulta essere meglio garantita infatti dalla possibilità per la ricorrente di svolgere presso la propria residenza, in modalità smart working, i compiti assegnatigli presso la sede di via dell'Imbrecciato, considerato che alla stessa ricorrente sono stati assegnati a tal fine anche turni di reperibilità telefonica notturna.
Al contempo, una siffatta possibilità consentirebbe alla ricorrente di curare maggiormente le proprie condizioni di salute, la cui compromissione, come già evidenziato, risulta messa in correlazione nella suddetta attestazione del 22.4.2020 con le mansioni straordinarie che le sono state attribuite a seguito del provvedimento di assegnazione temporanea presso la sede di via dell'Imbrecciato, diverse (in maniera incontestata) da quelle che la medesima svolgeva presso la sede di Ostia.
Dalla stessa attestazione risulta che tale modifica peggiorativa ha comportato il "riemergere di una seria sintomatologia sia dal punto di vista neurovegetativo: insonnia, tachicardia, dispnea che psicologico; apprensione, irritabilità, difficoltà di concentrazione" con conseguente necessità di riprendere un percorso terapeutico con frequenza settimanale.
Sulla base di tali risultanze, non smentite né contestate dalla resistente, è possibile quindi ritenere sussistente un pericolo sia per la salute del figlio della ricorrente, che per quella di quest' ultima, che è possibile invece scongiurare con l'accoglimento della sua richiesta di assegnazione di lavoro in modalità agile,
Un siffatto pregiudizio può invero ritenersi sufficientemente grave e non riparabile in diversa maniera se solo si considera che il diritto alla salute deve essere inteso, secondo gli insegnamenti della giurisprudenza di legittimità (v. Cass, civ. Sez. lavoro, Sent.. 18/06/2012, n. 9969) come un diritto che "ha nel nostro ordinamento una dimensione sicuramente più ampia di quanto non possa derivare dal mero diritto alla cura ed alla assistenza, intesa nel senso tradizionale di accorgimenti terapeutici idonei a debellare la malattia od ad arrestarne l'evoluzione. Al contrario, il necessario riferimento alla tutela della dignità umana, consente di ritenere che le condizioni di salute oggetto della previsione costituzionale coincidano non solo con l'approntamento di mezzi destinati alla guarigione del soggetto colpito ma anche con quant'altro possa farsi per alleviare il pregiudizio non solo fisico ma, se si vuole, esistenziale dell'assistito, quantomeno in ragione di tutto ciò che manifesti concreta utilità ad alleviare la limitazione funzionale ancorchè senza apprezzabili risultati in ordine al possibile regresso della malattia."
Non disconosce il giudicante la necessità che, per gli addetti alle professioni e alle attività sanitarie nel settore della sanità pubblica, il diritto alla tutela della loro salute debba trovare un necessario ed equilibrato contemperamento con le esigenze di servizio pubblico reso dalle strutture in cui vengono svolte tali attività, essendo esse destinate alla tutela di un bene di pari valore costituzionale come la salute della collettività.
E' quindi necessario che, laddove la tutela della salute del singolo addetto a tali attività possa entrare in conflitto con le esigenze di rendere un tale fondamentale servizio pubblico, debba operarsi una valutazione in concreto, basata sulle circostanze della singola fattispecie, sulle modalità con le quali assicurare l'uno senza pregiudicare l'altro.
Nel caso di specie ritiene il giudicante, alla luce di quanto allegato dalle parti, che l'accoglimento della richiesta avanzata dalla ricorrente, al fine dì meglio tutelare la salute sua e dei familiari assistiti, non sia tale da pregiudicare l'espletamento del servizio alla stessa assegnato , e non sia quindi incompatibile con esso.
Dalla documentazione prodotta dalla ricorrente risulta infatti che la stessa, pur essendo stata chiamata a far parte della task force aziendale per le esigenze connesse a fronteggiare l'epidemia da Covid-19, è stata in concreto assegnata al c.d. Gruppo telefoni, e cioè ad una unità lavorativa che deve occuparsi "della gestione dei rapporti con utenza/MMM G- PSL", nell'ambito della quale la ricorrente era addetta al gruppo "Telefoni cittadini 2" insieme alle sue colleghe di pari qualifica (v, doc. 7 bis allegato a l ricorso).
Ciò conferma quanto dedotto in ricorso, e cioè che la ricorrente si occupava delle comunicazioni inviate dalla popolazione, interloquendo con essa in base alle esigenze rappresentate e secondo i protocolli stabiliti.
Dalla medesima documentazione risulta altresì che la ricorrente faceva parte anche dell' unità Sintomatici, e cioè di un gruppo di risorse addetto alla presa in carico della gestione dei soggetti sintomatici in sorveglianza, ma in essa non sono specificate le modalità con le quali dovesse avvenire tale presa in carico, non potendosi escludere quindi che essa avvenisse nelle stesse forme in precedenza richiamate, e quindi attraverso forme di contatto ed interlocuzione "da remoto".
Non è stato dimostrato che la ricorrente, presso detta task force, sia stata incaricata in maniera stabile e continuativa di effettuare attività all'esterno o altre attività che richiedessero l'effettiva presenza in ufficio , tali pertanto da essere incompatibili con lo smart working.
Anzi, dalla lettera con la quale è stata rigettata la sua richiesta di assegnazione di smart working, risulta proprio il contrario, emergendo da essa che la permanenza della ricorrente presso la suddetta task force era necessaria "per assicurare le reperibilità nonché le eventuali visite on site per le indagini epidemiologiche presso le strutture sociosanitarie e residenziali".
Il fatto che la ricorrente potesse quindi essere impiegata per attività esterna ai locali della Asl per le suddette indagini epidemiologiche solo in via eventuale, sta a significare che l'attività ordinaria da svolgere presso detta task force fosse invece l' altra in precedenza illustrata.
Conforta una tale conclusione il fatto che non è stata documentata o comprovata nemmeno una occasione in cui la ricorrente è stata impiegata per effettuare le suddette visite on site per indagini epidemiologiche.
Alla luce di tali considerazioni non si può quindi ritenere che vi fossero preminenti esigenze di servizio tali da impedire l'accoglimento della richiesta della ricorrente in quanto incompatibili con lo smart working.
A diverse conclusioni non può condurre né la temporaneità dell'assegnazione alla suddetta task force, in considerazione del fatto che per essa non è stato stabilito un termine certo, potendo protrarsi quindi per un periodo anche consistente (fino alla cessazione dell'emergenza epidemiologica), né la circostanza che nell'ambito del profilo professionale di appartenenza della ricorrente sia prevista la possibilità di assegnazione di compiti più ampi , connessi anche allo svolgimento delle suddette indagini epidemiologiche.

Nella presente fattispecie, dovendosi valutare il diritto della ricorrente allo smart working e la legittimità del diniego opposto alla sua richiesta, rileva l'attività che è stata assegnata in concreto alla ricorrente e quella che potrebbe essere assegnata in base ai provvedimenti datoriali adottati, ì quali però, come evidenziato, non prevedono nulla che possa essere incompatibile con il lavoro agile.
Anche la reperibilità richiamata in detti provvedimenti non risulta che non possa essere assicurata da remoto, per come emerge dal doc. 6 allegato al ricorso.
Non risultando quindi ragioni giustificate da concrete ed effettive esigenze connesse agli incarichi di servizio in concreto assegnati alla ricorrente il diniego alla sua richiesta di assegnazione allo smart working non pare fondato.
In proposito può infatti trovare piena applicazione la disposizione di cui all'art. 39 comma 1 del D.L. 18/2020, che prevede espressamente il diritto allo svolgimento del lavoro agile, fino alla cessazione dello stato di emergenza epidemiologica da Covid-19, per i lavoratori pubblici che assistono disabili, a condizione che tale modalità non sia incompatibile con le caratteristiche della prestazione.
Tale norma deve ritenersi speciale rispetto alla disposizione, di carattere più generale, dettata dall'art. 87, 1 co, del medesimo d.l., il quale stabilisce che "Fino alla cessazione dello stato di emergenza epidemiologica da COVID-2019, ovvero fino ad una data antecedente stabilita con decreto del Presidente del Consiglio dei Ministri su proposta del Ministro per la pubblica amministrazione, il lavoro agile è la modalità ordinaria di svolgimento della prestazione lavorativa nelle pubbliche amministrazioni di cui all'articolo 1, comma 2, del decreto legislativo 30 marzo 2001, n. 165", imponendo quindi alle stesse l'obbligo di limitare la presenza nei luoghi di lavoro dei dipendenti alle sole attività indifferibili e che richiedono necessariamente tale presenza anche in ragione della gestione dell'emergenza.
Tali considerazioni sono sufficienti ad integrare il fumus boni iuris del diritto della ricorrente al lavoro in modalità agile, per tutto il tempo di durata dell'assegnazione alla suddetta Task force e fino al suo rientro nella struttura di provenienza.
Il ricorso può pertanto essere accolto in tali termini, emettendo quindi l'ordine di cui al dispositivo nei confronti dell'amministrazione datrice di lavoro della ricorrente.
Per quanto concerne le spese processuali, l'accoglimento solo in parte del ricorso costituisce giusto motivo per disporne la compensazione per metà tra le parti, con conseguente condanna della Asl resistente alla refusione della metà di quelle sostenute dalla ricorrente, liquidate come da dispositivo in base al valore dichiarato.

 

P.Q.M.




In parziale accoglimento del ricorso, dichiara il diritto di parte ricorrente allo svolgimento delle proprie mansioni in modalità di lavoro agile fino alla cessazione dello stato di emergenza epidemiologica da Covid-1 o, se anteriore, fino alla cessazione della sua assegnazione presso la task force di cui al provvedimento del 27.2.2020 n. prot. 13436 e al rientro presso il presidio ospedaliero CPO (centro paraplegico di Ostia ) di Ostia;
ordina alla Asl resistente di consentire alla ricorrente lo svolgimento delle proprie mansioni in modalità di lavoro agile nei termini sopra evidenziati;
compensa le spese processuali tra le parti per metà e condanna l'Asl resistente alla refusione della metà di quelle sostenute dalla ricorrente , liquidata in complessivi e 460,00, oltre iva, cpa e spese generali come per legge, oltre al rimborso della metà del contributo unificato versato.
Si comunichi.
Roma, 20.6.2020