Cassazione Civile, Sez. 3, 25 agosto 2020, n. 17676 - Infortunio mortale in cantiere. Risarcimento danni


 

Presidente: FRASCA RAFFAELE
Relatore: PORRECA PAOLO Data pubblicazione: 25/08/2020
 

Rilevato che

L. e E.C. e A.S., in proprio e quali eredi di P.C., convenivano in giudizio la Iripinia Montaggi s.r.l., L. e P.P., rispettivamente quale legale rappresentante della società e responsabile del cantiere della stessa dov'era deceduto, a séguito di un infortunio, P.C., dipendente della medesima s.r.l.: domandavano il risarcimento dei correlati danni anche non patrimoniali;
i convenuti chiamavano in causa il responsabile della sicurezza dei lavori, F.B., e l'originaria committente dei lavori, Farma Service s.r.l., che aveva affidato gli stessi in appalto alla Mabo Prefabbricati, s.p.a., la quale ultima li aveva subappaltati alla Iripinia Montaggi convenuta in lite;
a sua volta la Mabo Prefabbricati chiamava in causa la propria assicuratrice, Milano Assicurazioni, s.p.a.;
il Tribunale accoglieva la domanda nei confronti degli originari convenuti, dopo aver disposto la sospensione del giudizio civile, sino alla definizione di quello penale pure incardinato, riguardo alle posizioni di F.B. e M.P. quale legale rappresentante della Ila Farma Service s.r.l.;
la Corte di appello, per quanto qui ancora rileva, respingeva l'appello di Iripinia Montaggi s.r.l., L. e P.P., osservando, in particolare, che era inammissibile quanto alle posizioni di F.B. e della Farma Service s.r.l., posto che nei loro confronti era stata disposta sospensione del giudizio e separazione dello stesso, non oggetto, la prima, di regolamento di competenza, ferma restando la possibile riassunzione del processo separato in cui far valere la sopravvenuta decisione di questa Suprema Corte penale di accertamento delle imputazioni e responsabilità civili di F.B.;
nel residuo merito al Corte territoriale rilevava che:
- alle fondate constatazioni del Tribunale in ordine alla responsabilità della società datrice di lavoro, appaltatrice senza imposizione di limiti da parte della propria committenza, con attribuzione di tutti gli oneri di gestione e custodia del cantiere, doveva aggiungersi il riconoscimento confessorio di L. e P.P. riguardo alla conduzione e sorveglianza del cantiere medesimo in capo alla Irpinia Montaggi;
- lo spostamento dell'operaio deceduto all'interno del cantiere in aree indicate come estranee alla sua competenza non era fattore eccezionale che potesse interrompere il nesso eziologico fondante l'affermata responsabilità;
- era risultato che l'operaio non era munito di cavo di trattenuta, che la rete di protezione sottostante era inidonea perché non aderente alle superfici verticali, che non vi era stata congrua vigilanza sul rispetto degli adeguati presidi antinfortunistici infatti mancati;
avverso questa decisione ricorrono per cassazione la Iripinia Montaggi s.r.l., L. e P.P., articolando cinque motivi;
resistono con controricorso L. e E.C. e A.S., nonché F.B.;
il Pubblico Ministero ha formulato conclusioni scritte;


Rilevato che



con il primo motivo si prospetta la violazione e falsa applicazione degli artt. 295, cod. proc. civ., 75, cod. proc. pen., poiché la Corte di appello avrebbe errato non disponendo la prosecuzione del giudizio nei confronti di tutte le parti in causa oppure sospendendo il giudizio nei confronti di quelle, in modo da permettere l'accertamento unitario delle responsabilità e relative misure;
con il secondo motivo si prospetta la violazione o falsa applicazione delle norme inerenti all'interpretazione della scrittura privata ritenuta erroneamente confessoria dalla Corte di appello, altra e diversa scelta essendo quella di rinunciare alla manleva nei confronti della società Mabo appaltatrice;
con il terzo motivo si prospetta l'inappropriata valutazione delle risultanze istruttorie e il vizio di motivazione poiché, errando, la Corte di appello nulla avrebbe statuito in merito all'attività di vigilanza e controllo necessariamente in capo all'originaria committente e all'appaltatrice, mentre per ciò che concerneva la deducente il cantiere sarebbe stato allestito correttamente e così come sarebbe stata fatta corretta informazione in punto di condotte preventive, laddove, senza anche al riguardo alcuna valutazione della Corte di merito, l'operaio deceduto aveva volontariamente sganciato il cavo di sicurezza allontanandosi della propria area di competenza lavorativa deliberatamente contravvenendo alle direttive impartite;
con il quarto motivo si prospetta la violazione o falsa applicazione delle norme di cui al d.lgs. n. 494 del 1996, attuativo della direttiva unionale 92/57, poste le responsabilità di vigilanza e verifica proprie del soggetto committente, e, pertanto, della società Farma come della Mabo, aggiudicatrice, quest'ultima, dell'appalto da parte della prima;
con il quinto motivo si prospetta la violazione o falsa applicazione della normativa antinfortunistica fondante la corresponsabilità del titolare gestorio della sicurezza F.B., nominato dalla Farma come coordinatore in fase di esecuzione delle opere, quale emergente dalle risultanze probatorie;

Rilevato che


si evidenzia che la difesa ricorrente aveva fatto inizialmente istanza di trattazione in pubblica udienza, senza però che sia stata reiterata, e non emergono ragioni per tale modalità di trattazione;
devono poi, sempre preliminarmente, disattendersi le eccezioni di improcedibilità, avanzate nei controricorsi, per omesso deposito di copia conforme della pronuncia impugnata, posto che risulta asseverazione autografa della stessa;
non risulta inoltre la notifica del ricorso al procuratore costituito della Milano Assicurazioni, ma la violazione del litisconsorzio processuale necessario non è ostativa, atteso l'esito dello scrutinio dei motivi di cui si sta per dire (Cass., 02/02/2018, n. 2626, Cass., 17/06/2019, n. 16141);
il primo motivo è in parte inammissibile, in parte infondato;
la Corte di appello ha rilevato che il Tribunale, quanto alle posizioni di Farma e F.B., aveva disposto la sospensione del giudizio per pregiudizialità penale con formazione di «autonomo fascicolo», ovvero separando il relativo processo poi e così sospeso;
la pronuncia in parola non è stata assoggettata a regolamento di competenza ex artt. 42 e 295, cod. proc. civ., come necessario qualora la si fosse voluta contestare (Cass., 15/05/2001, n. 6754), anche quando disposta insieme a una sentenza (cfr., sulla "indifferenza della forma" assunta dalla relativa statuizione, Cass., 18/06/2019, n. 16361), peraltro, nel caso, dovendosi ritenere distinta dall'ordinanza in questione e contenente anche la (previa) separazione dei relativi giudizi;
essendo la separazione conseguenza della sospensione, la questione della legittimità di quest'ultima avrebbe dovuto e potuto risolversi dalla Corte di Cassazione ai sensi dell'art. 49;
qualora invece si ritenesse che la sospensione venga "dopo" la separazione le cose non mutano, giacché la separazione e, dunque, la falsa applicazione della norma dell'art. 103, cod. proc. civ., quale presupposto per la sospensione, sarebbe stata sindacabile in sede di regolamento, atteso che avrebbe avuto rilievo per l'adozione del provvedimento sospensivo;
la questione è quindi ormai preclusa, come confermato da due ulteriori circostanze: a) la sentenza qui gravata ha espressamente oltre che correttamente detto, sebbene dichiarando inammissibile l'appello incidentale della Mabo, che l'ordinanza in questione avrebbe dovuto assoggettarsi a regolamento di competenza, e sul punto neppure vi è specifica censura; b) con l'appello gli odierni ricorrenti non si erano doluti di quella ordinanza;
il secondo motivo è inammissibile;
la censura non esplicita quali sarebbero state le violazioni dell'ermeneutica negoziale semplicemente affermate, risolvendosi in un'apodittica richiesta di rilettura istruttoria;
né si riporta il contenuto delle difese della Mabo, cui la scrittura, questa sì riportata (in nota a pag. 8 del ricorso), rimandava;
al contempo, deve evidenziarsi che la Corte di appello ha utilizzato l'argomento in questione in aggiunta alla condivisione degli altri rilievi del Tribunale fondanti la responsabilità dei ricorrenti, che, come si sta per vedere, non risultano idoneamente censurati;
il terzo motivo è in parte inammissibile, in parte infondato;
si afferma che nulla la Corte territoriale avrebbe statuito riguardo alle ipotizzabili responsabilità della originaria committente e poi dell'appaltatrice, rispettivamente le società Farma e Mabo;
la prospettazione non ha fondamento poiché quanto alla Farma si tratta della posizione rilevata come oggetto di separazione processuale, mentre quanto alla Mabo la Corte di appello ha rilevato che l'appalto non aveva determinato ingerenze della suddetta subappaltatrice, attribuendo alla Iripinia Montaggi «tutti gli oneri connessi alla gestione e custodia del cantiere e al montaggio delle strutture prefabbricate fornite» (pag. 11 della sentenza impugnata);
di séguito, la censura afferma il rispetto delle condotte precauzionali utili da parte della deducente, traducendosi anche in questo caso in un'inammissibile richiesta di rivalutazione dell'incarto processuale, meramente assertiva e neppure supportata - in violazione del principio di specificità delle censure evincibile dall'art. 366 cod. proc. civ. (su cui v. Cass., Sez. U., 20/03/2017, n. 7074, in motivazione, o ad esempio, successivamente, Cass., 18/06/2018, n. 15936) - dal compiuto riferimento di eventuali fatti processuali oggetto, in tesi, di omesso esame, a sua volta neppure astrattamente ammissibile quale critica, non essendosi né dimostrato e neppure prospettato che, sul punto, l'accertamento in fatto dei due giudici di merito sia stato difforme, a mente dell'applicabile limite di cui all'art. 348 ter, quinto comma, cod. proc. civ (Cass., 22/12/2016, n. 26774, Cass., 06/08/2019, n. 20994);
quello appena svolto è lo stesso rilievo che dev'essere fatto in ordine all'invocata condotta volontaria del dipendente, asseritamente interruttiva del nesso causale, riguardo alla quale la Corte territoriale ha esplicitamente (quanto correttamente) affermato (a pag. 12) l'impossibilità di una qualificazione in termini di eccezionalità tale da configurare un'elisione del nesso di causa;
il quarto motivo è inammissibile;
quanto alla posizione della Farma si è detto che è stata statuita l'intervenuta separazione processuale del potenziale obbligato solidale, mentre quanto alla Mabo (evocata a pag. 10 del ricorso, ultimo rigo, parlandosi per il resto solo di «committente») la critica, consistente in una enunciazione delle possibili ragioni d'imputazione, non si misura con l'effettiva "ratio decidendi" della Corte territoriale, secondo cui l'appalto aveva determinato un'autonoma e dunque esautorante gestione del cantiere (pag. 11, sopra citata);
nel motivo si fa un riferimento - generico e non calato nella fattispecie quale, come appena visto, scrutinata dal Collegio di merito - ai compiti della committente, non limitabili a profili formali, come la redazione e consegna del piano di sicurezza, ed estesi alla vigilanza sul rispetto delle misure da parte dei dipendenti, così come non inibiti dalla nomina di coordinatori di progettazione ed esecuzione: nulla si argomenta, però, né si dimostra di aver previamente allegato nelle fasi di merito, in ordine all'autonomia della subappaltatrice nella gestione di tutto il cantiere, assunta come ragione decisoria autonoma da parte della Corte di appello;
il quinto motivo è inammissibile;
si fa riferimento anche in questo caso alla posizione di uno dei due soggetti la cui posizione è stata oggetto della più volte menzionata e analizzata separazione processuale, non impugnata;
spese secondo soccombenza;
 

P.Q.M.


La Corte rigetta il ricorso e condanna i ricorrenti in solido alla rifusione delle spese processuali dei controricorrenti liquidate, per ciascuno, in euro 4.000,00, oltre a euro 200,00 per esborsi, 15% di spese forfettarie, oltre accessori legali.
Ai sensi dell'art. 13, comma 1 quater del dpr 115 del 2002 la Corte dà atto della sussistenza dei presupposti per il versamento, da parte dei ricorrenti in solido, dell'ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a Omissis.