Cassazione Penale, Sez. 3, 23 marzo 2020, n. 10464 - Violenza sessuale continuata nei confronti di una collega 


 



REPUBBLICA ITALIANA

IN NOME DEL POPOLO ITALIANO

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE TERZA PENALE

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. ROSI Elisabetta - Presidente -

Dott. CERRONI Claudio - Consigliere -

Dott. GENTILI Andrea - Consigliere -

Dott. GAI Emanuela - rel. Consigliere -

Dott. CORBO Antonio - Consigliere -

ha pronunciato la seguente:

SENTENZA



sul ricorso proposto da:

P.E., nato a (OMISSIS);

avverso l'ordinanza del 12/09/2019 del Tribunale di Torino;

visti gli atti, il provvedimento impugnato e il ricorso;

udito il Pubblico Ministero, in persona del Sostituto Procuratore generale Dott.ssa Barberini Roberta Maria, che ha concluso chiedendo il rigetto del ricorso;

udito il difensore dell'imputato, avv. Mannarino Sabrina che ha concluso riportandosi ai motivi del ricorso.

 

Fatto


1. Con ordinanza del 12 settembre 2019, il Tribunale di Torino, sezione del riesame, adito nell'interesse di P.D. ai sensi dell'art. 309 codice di rito, avverso il provvedimento con cui il gip del tribunale di Aosta aveva applicato nei confronti del P. la misura cautelare degli arresti domiciliari in data 2 agosto 2019, con riferimento al reato di violenza sessuale continuata nei confronti di una sua collega, rigettava l'istanza e confermava l'ordinanza impugnata.

2. Avverso la pronuncia del tribunale della cautela propone ricorso per cassazione, mediante il proprio difensore, P.D., deducendo quattro motivi di impugnazione.

3. Deduce, con il primo motivo, il vizio ex art. 606 c.p.p., comma 1, lett. b) in relazione all'art. 309 c.p.p., comma 9 e art. 292 c.p.p., per il mancato annullamento dell'ordinanza genetica per assenza di autonoma valutazione da parte del gip. In relazione al predetto vizio, dedotto già in sede di riesame, il tribunale avrebbe redatto una motivazione apparente, atteso che a fronte della censura circa l'assenza di un'autonoma valutazione dell'intero compendio indiziario, avrebbe invece confermato la sussistenza della valutazione svolta dal Gip in maniera generica e sintetica, senza precisare in quale parte l'ordinanza genetica rechi la predetta autonoma valutazione a fronte delle doglianze difensive, per cui il gip non avrebbe esaminato le emergenze investigative favorevoli all'indagato, che erano state omesse nel suo esame dal P.M. stesso. Con la conseguenza di una perfetta sovrapponibilità della motivazione del PM con quella del gip e la nullità della ordinanza genetica. Si aggiunge che il tribunale avrebbe travisato nella sostanza la censura proposta, non riconducibile a quella di un "copia incolla" operato dal Gip rispetto alla richiesta di misura avanzata dal PM. 4. Con il secondo motivo, deduce il vizio ex art. 606 c.p.p., comma 1, lett. e) per omessa motivazione in ordine a censure difensive afferenti la carenza di attendibilità della p.o., alla luce della assenza di costanza e univocità delle dichiarazioni della medesima e della genericità relativa al racconto di taluni episodi di violenza denunziati in più riprese e di cui, quello del (OMISSIS), denunziato da solo in occasione del disvelamento dei fatti al datore di lavoro. Lo stato di alcolista della p.o. e la sussistenza di interessi contrapposti al ricorrente, avrebbero dovuto far ritenere le dichiarazioni della p.o inidonee a fini cautelari. A fronte di tali obiezioni, il tribunale avrebbe risposto, respingendole, esclusivamente richiamandosi a due principi, in tema di rilevanza delle sole dichiarazioni della p.o., e di valutazione delle dichiarazioni di soggetti affetti da patologie mentali, invece trascurando dati, come quelli già sopra accennati, idonei a porre in discussione l'attendibilità della vittima. Sarebbe apparente e illogica anche la giustificazione del ritardo (luglio 2019) nella denunzia dei fatti alla A.G., individuata nel timore di ripercussioni ad opera dell'indagato, ove si osservi che i medesimi fatti erano stati già rivelati il (OMISSIS) al datore di lavoro. Sarebbe altresì arbitraria la conclusione del tribunale per cui, in sede di denunzia al datore di lavoro dei fatti contestati, sarebbe stato rivelato solo quello del (OMISSIS) perchè ritenuto più grave, non emergendo alcun elemento da cui ricavare tale statuizione. Nè si comprenderebbe la ragione della definizione delle dichiarazioni della p.o. in termini di precisione, ove si osservi che la stessa non sarebbe stata in grado di collocare temporalmente gli episodi diversi da quello del (OMISSIS) e del (OMISSIS).

5. Con il terzo motivo deduce il vizio ex art. 606 c.p.p., comma 1, lett. e) per omessa motivazione in ordine alle censure difensive sollevate con riguardo alla riqualificazione del fatto nell'ambito della ipotesi di cui all'art. 609 bis c.p., comma 3. Sul punto, il tribunale non avrebbe formulato alcuna motivazione. Peraltro emergerebbe l'illogicità della motivazione laddove, dopo avere disatteso la predetta prospettazione, in sede di considerazione delle esigenze cautelari sono stati definiti come "non profondamente invasivi" gli atti ascritti all'indagato.

6. Con il quarto motivo ha dedotto i vizi di cui all'art. 606 c.p.p., comma 1, lett. b) ed e) per carenza e manifesta illogicità della motivazione in ordine alla attualità e concretezza del pericolo. In particolare, l'ordinanza non avrebbe adeguatamente valorizzato la circostanza per cui il ricorrente si sarebbe astenuto dal porre in essere condotte analoghe a quelle contestate dopo aver subito il procedimento disciplinare, e quella per cui le condotte si sarebbero svolte a danno di colleghe, per cui alla luce dei predetti dati "di contesto e di personalità dell'indagato" non sarebbero stati adeguatamente motivati i requisiti di concretezza e attualità del rischio di recidivanza.

Motivi della decisione
1. Attesa la sostanziale omogeneità, in quanto fondati sul rilievo della mancata adeguata considerazione del compendio indiziario, occorre esaminare insieme i primi due motivi, che risultano infondati. Il tribunale, quanto alla lamentata censura di mancanza di autonomia della valutazione operata dal Gip, ha dato atto di come l'ordinanza resa da quest'ultimo sia stata elaborata in maniera del tutto diversa dalla domanda avanzata dal Pm, avendo la predetta A.G. previamente esaminato il contenuto della denunzia querela della p.o., procedendo poi ad un ragionato confronto con elementi indiziari ritenuti di riscontro e sui quali soltanto il Pm, invece, si era soffermato. Dando conto, in tal modo, della sussistenza di quell'esame critico del compendio indiziario che la previsione di cui all'art. 309 c.p.p., comma 9 tende a garantire, laddove stabilisce che il tribunale del riesame deve annullare l'ordinanza impugnata in caso oltre che di mancanza di motivazione anche di assenza di "autonoma valutazione, a norma dell'art. 292 delle esigenze cautelari, degli indizi e degli elementi forniti dalla difesa". In tale quadro, l'ulteriore rilievo difensivo per cui, in realtà, la censura dedotta in sede di riesame era volta ad evidenziare, piuttosto che la mancata valutazione critica della domanda del PM e degli elementi a supporto, la mancata considerazione di profili idonei a indirizzare verso una decisione favorevole all'indagato, si traduce in una più ampia critica della motivazione, comunque autonoma, formulata dal gip, che il tribunale ha in ogni caso congruamente superato. Il collegio ha infatti evidenziato, a fronte di plurimi episodi subiti dalla p.o. e delle confidenze sul punto formulate a colleghi, pienamente confermate (in ogni caso anche da persone del tutto prive di rapporti di rilevanza giudiziaria con l'indagato, come M., D. e la N., con quest'ultima che avrebbe riferito di aver subito condotte analoghe ad opera del ricorrente), il carattere dettagliato, coerente e logico delle dichiarazioni accusatorie della vittima (contrastato in questa sede solo da poco precise contestazioni di tali caratteri); spiegando, da una parte, in maniera perfettamente ragionevole, come il disvelamento al datore di lavoro, prima della denunzia, del solo episodio del (OMISSIS), obiettivamente più grave degli altri precedenti, si giustificasse con il "carattere più eclatante" e, dall'altra, come il ritardo nella proposizione della denunzia - querela fosse da ascriversi allo stato di timore in cui la donna versava, peraltro esplicitamente menzionato nella missiva indirizzata al datore di lavoro e prima citata. Così da integrare - lo stato di paura - un dato oggettivamente emergente dagli atti e nient'affatto inesistente, come invece sostenuto dalla difesa. La congruità e completezza della motivazione del collegio della cautela, corredata anche dalla indicazione della mancanza di ragioni di astio nei confronti del P., nella quale peraltro, a fronte della generica doglianza circa lo stato di alcoldipendenza della p.o., è stato correttamente richiamato l'indirizzo di legittimità per cui neppure l'esistenza di patologie psichiatriche implica, di per sè, un ostacolo alla capacità di testimoniare del soggetto interessato, fa sì che ogni altra questione, su aspetti ritenuti non adeguatamente valutati, risulti priva di rilievo, alla luce del principio per cui devono considerarsi disattese le deduzioni difensive che, anche se non espressamente confutate, siano logicamente incompatibili con la decisione adottata, purchè siano spiegate, come nel caso in esame, in modo logico ed adeguato le ragioni del convincimento, senza vizi giuridici (cfr., Sez. un., n. 24 del 24 novembre 1999, Rv. n. 214794; Sez. un., n. 12 del 31 maggio 2000, Rv. n. 216260; Sez. un., n. 47289 del 24 settembre 2003, Rv. n. 226074).

2. Inammissibile è il terzo motivo dedotto. A fronte di plurime e reiterate condotte di violenza sessuale contestate al ricorrente come commesse nei confronti della medesima vittima, in un ristretto arco temporale (dal (OMISSIS) al (OMISSIS)), viene in rilievo il principio per cui in tema di violenza sessuale, l'attenuante speciale della minore gravità, di cui all'art. 609 bis c.p., comma 3, non può essere concessa quando gli abusi in danno della vittima sono stati reiterati nel tempo (cfr. Sez. 3, Sentenza n. 21458 del 29/01/2015 Rv. 263749 - 01 T.). Pertanto pur non avendo il tribunale fornito risposta sulla specifica censura riguardante la configurabilità dell'attenuante sopra indicata, non viene in rilievo il vizio denunziato, in quanto il mancato esame di un motivo di impugnazione manifestamente infondato non costituisce ragione di annullamento della sentenza in sede di Cassazione in quanto anche se il motivo fosse stato esaminato, non avrebbe potuto essere accolto, così che nessun pregiudizio è derivato all'imputato da tale omissione (cfr. in tal senso Sez. 4, n. 13765 del 01/07/1986 Rv. 174532 - 01 D'Annibale; Sez. 1, n. 915 del 30/09/1985 Ud. (dep. 25/01/1986) Rv. 171657 - 01 Pintore).

3. Infondato è il quarto motivo di impugnazione: dopo avere richiamato le modalità delle condotte ascritte al ricorrente, ripetute, pur a fronte del palese respingimento operato dalla p.o., nonchè la sussistenza di elementi indiziari delineanti condotte analoghe commesse dal ricorrente nei confronti di altre colleghe (di cui peraltro almeno quelle consumate in danno della N. in alcun modo contestate dal ricorrente, neppure sotto il profilo della utilizzabilità), il collegio ha adeguatamente desunto l'incapacità - persistente - del ricorrente, nel frenare i propri impulsi sessuali; con il conseguente ragionevole rinvenimento di un pericolo di reiterazione di condotte analoghe in danno di persone dell'altro sesso; pericolo privo di ogni delimitazione, secondo il tribunale, nel solo contesto lavorativo, come invece erroneamente ritenuto dalla difesa, Da qui il corretto giudizio, nascente da una ponderata e complessiva valutazione dei fatti e della personalità dell'indagato, sull'impossibilità che misure più blande degli arresti domiciliari fossero idonee a fronteggiare il pericolo di reiterazione di condotte analoghe. Consegue come la censura proposta si riduca a una mera diversa valutazione degli elementi disponibili, inammissibile in questa sede.

4. Sulla base delle considerazioni che precedono, la Corte ritiene pertanto che il ricorso debba essere rigettato con conseguente onere per il ricorrente, ai sensi dell'art. 616 c.p.p., di sostenere le spese del procedimento.

 

P.Q.M.


rigetta il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle spese processuali.

In caso di diffusione del presente provvedimento si omettano le generalità e gli altri dati identificativi, a norma del D.Lgs. n. 196 del 2003, art. 52.

Così deciso in Roma, il 20 gennaio 2020.

Depositato in Cancelleria il 23 marzo 2020