Categoria: Cassazione penale
Visite: 21662
  
  • Datore di Lavoro
  • Pubblica Amministrazione


Responsabilità del commissario straordinario e del successivo direttore generale di una ASL per aver omesso di mantenere i locali dell'ufficio protocollo dell'ASL ben asciutti e difesi dall'umidità.

A sua discolpa, il direttore generale asserisce di non poter essere considerato datore di lavoro.

Come individuare dunque un datore di lavoro pubblico nel rinnovato quadro del D.Lgs. 81/2008?

La Corte innanzitutto premette che non sussiste abolitio criminis ma continuità normativa tra D.P.R. 303/56 e D.Lgs. 81/08: "Il D.P.R. 19 marzo 1956, n. 303, art. 7, recante norme generali per l'igiene del lavoro, vietava che fossero adibiti a lavori continuativi i locali chiusi i quali non rispondessero a determinate condizioni tra cui quella di essere ben asciutti e ben difesi contro l'umidità; condotta questa punita dal successivo art. 58 con l'ammenda da L. 200.000 a L. 300.000.
Il successivo
D.Lgs. n. 81 del 2008 prescrive all'art. 63, quanto ai requisiti di salute e di sicurezza dei luoghi di lavoro, che questi devono essere conformi ai requisiti indicati nell'allegato IV; prescrizione poi sanzionata dal successivo art. 68.
A sua volta l'allegato 4 cit., che regolamenta i requisiti dei luoghi di lavoro, prevede al punto 1.3.1. che, a meno che non sia richiesto diversamente dalle necessità della lavorazione, è vietato adibire a lavori continuativi locali chiusi che non rispondono a determinate condizioni, tra cui quella (punto 1.3.1.3.) di essere ben asciutti e ben difesi contro l'umidità.
Quindi c'è piena continuità normativa tra le due prescrizioni suddette: quella del
D.P.R. 19 marzo 1956, n. 303, art. 7, e quella del D.Lgs. n. 81 del 2008, art. 63."

Continua affermando che: "il direttore generale della AUSL, essendo collocato al vertice amministrativo e gestionale dell'ente pubblico, è tenuto all'osservanza delle norme di prevenzione e di sicurezza che rientrano nella più ampia nozione di gestione dell'ente.
E' vero che il
D.Lgs. n. 81 del 2008, art. 64 prevede che il "datore di lavoro" provvede affinchè i luoghi di lavoro siano conformi ai requisiti di cui all'art. 63, commi 1, 2 e 3 (tra cui c'è il requisito della salubrità in questione).
Ma a tal fine per "datore di lavoro" negli enti pubblici deve intendersi chi in concreto abbia il potere gestionale sui luoghi di lavoro; nel caso di un'Azienda sanitaria del Servizio Sanitario Nazionale questo potere gestionale, in mancanza di alcuna delega, spetta al direttore generale".

In altre parole, con la suddetta pronuncia, la Suprema Corte si pronuncia, per la prima volta dall’entrata in vigore del nuovo decreto, sulla questione dell’individuazione del “datore di lavoro” nelle Aziende Unità Sanitarie Locali, affermando che gli obblighi di sicurezza per la gestione dell’ente gravano, in assenza di delega, sul direttore generale.
Quest'ultimo è infatti il soggetto collocato al vertice amministrativo e gestionale.

Gli obblighi di prevenzione possono tuttavia gravare su un funzionario privo di qualifica dirigenziale, qualora lo stesso sia preposto ad un ufficio con autonomia gestionale, individuato dal vertice dell’amministrazione e sia dotato di poteri decisionali e di spesa. 

 

Vd. oggi D.Lgs. 81/08 coordinato con il nuovo D.Lgs. 106/09.


 

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE
SEZIONE TERZA PENALE
Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:
Dott. ONORATO Pierluigi - Presidente -
Dott. CORDOVA Agostino - Consigliere -
Dott. MARMO Margherita - Consigliere -
Dott. AMOROSO Giovanni - Consigliere -
Dott. AMORESANO Silvio - Consigliere -
ha pronunciato la seguente:
sentenza
sul ricorso proposto da:
C.A., n. a (OMISSIS) e da M.D., n. (OMISSIS);
avverso la sentenza del 20 febbraio 2008 del tribunale di Palmi;
Udita la relazione fatta in Pubblica udienza dal Consigliere Dott. Giovanni Amoroso;
Udito il P.M., in persona del S. Procuratore Generale Dott. GERACI Vincenzo, che ha concluso per l'annullamento con rinvio;
Udito l'avv. Loris Nisi per l'imputato M. che ha concluso per l'accoglimento del ricorso.
la Corte osserva:

Fatto

1. C.A., nato a (OMISSIS); R.G., nato a (OMISSIS); M.D. nato a (OMISSIS); G.D., nato a (OMISSIS), erano imputati del reato p. e p. dall'art. 110 c.p. e D.P.R. n. 303 del 1956, art. 7 comma 1, lett. c), art. 58, lett. a) perchè in concorso tra loro, nelle rispettive qualità di datori di lavoro, il C. quale Commissario Straordinario dell'A.S.L. n. (OMISSIS) di Palmi nei periodi 01.09.2003/02.12.2003 e 11.12.2003/16.03.2004, il R. quale direttore generale ASL di Palmi dal 20.11.1999 al 07.09.2000, il M. quale direttore generale ASL successivamente al 09.04.2004, il G. quale responsabile della sicurezza successivamente al 13.04.2000, omettevano di mantenere i locali dell'ufficio Protocollo dell'ASL (OMISSIS) di Palmi ben asciutti e difesi dall'umidità (accertato in (OMISSIS)).
A seguito di decreto di citazione a giudizio emesso dal Pm gli imputati venivano citati a giudizio dinanzi al tribunale di Palmi.
Nel corso del dibattimento, a seguito della richiesta di prove articolata dalle parti, si procedeva all'istruzione della causa mediante l'esame testimoniale del teste Ma., l'esame dell'imputato G. e l'esame del teste della difesa S.;
venivano inoltre acquisiti con il consenso delle parti gli atti indicati a verbale.
Esaurita l'istruttoria dibattimentale, all'esito della discussione orale, il tribunale, in composizione monocratica, pronunciava la sentenza 20 febbraio - 4 aprile 2008 e dichiarava C.A. e M.D. colpevoli del reato a loro ascritto e, concesse le circostanze attenuanti generiche, condannava ciascuno alla pena di Euro 1.200,00 di ammenda, oltre al pagamento delle spese processuali:
pena sospesa.
Invece assolveva R.G. e G. D. dal reato loro ascritto per non aver commesso il fatto.
3. Avverso questa pronuncia con distinti atti propongono ricorso per cassazione il M. ed il C..
 
Diritto

1. Il ricorso del C., articolato in due motivi, denuncia la ritenuta (e non rilevata), abolitio criminis per effetto della nuova disciplina della materia ad opera del D.Lgs. n. 81 del 2008 e deduce che egli aveva cessato dall'incarico di commissario straordinario qualche giorno dopo l'invito alla regolarizzazione.
Il ricorso del M., articolato in tre motivi, denuncia l'omessa notifica del decreto di citazione a giudizio e la mancata reiterazione dell'invito alla regolarizzazione. Deduce poi che non poteva egli essere considerato "datore di lavoro": D.Lgs. n. 626 del 1994, art. 2, comma 1, lett. b).

2. Il ricorso del C. è tardivo e quindi inammissibile.
Infatti il ricorso è stato depositato in data 17 novembre 2008;
mentre l'impugnata sentenza è stata notificata in data 6 agosto 2008, come riferisce lo stesso ricorrente. Il termine di 45 giorni ex art. 585 c.p.p. veniva a scadere il 30 ottobre 2008 sicchè il ricorso risulta ampiamente tardivo.
Va quindi dichiarata l'inammissibilità del ricorso (nè trova applicazione l'art. 129 c.p.p. non sussistendo la dedotta abolitio criminis: v. infra).
Tenuto poi conto della sentenza 13 giugno 2000 n. 186 della Corte costituzionale e rilevato che, nella fattispecie, non sussistono elementi per ritenere che "la parte abbia proposto il ricorso senza versare in colpa nella determinazione della causa di inammissibilità", alla declaratoria dell'inammissibilità medesima consegue, a norma dell'art. 616 c.p.p., l'onere delle spese del procedimento nonchè quello del versamento di una somma, in favore della Cassa delle ammende, equitativamente fissata in Euro 1.000,00
 
3. Il ricorso del M. - che è invece tempestivo essendo stato depositato il 3 novembre 2008 e decorrendo il termine (di 45 giorni) per impugnare dalla notifica dell'estratto contumaciale avvenuta in data 19 settembre 2008 - è nel merito infondato.
 
4. Va premesso che non c'è abolitio criminis, ma continuità normativa.
Il D.P.R. 19 marzo 1956, n. 303, art. 7, recante norme generali per l'igiene del lavoro, vietava che fossero adibiti a lavori continuativi i locali chiusi i quali non rispondessero a determinate condizioni tra cui quella di essere ben asciutti e ben difesi contro l'umidità; condotta questa punita dal successivo art. 58 con l'ammenda da L. 200.000 a L. 300.000.
Il successivo D.Lgs. n. 81 del 2008 prescrive all'art. 63, quanto ai requisiti di salute e di sicurezza dei luoghi di lavoro, che questi devono essere conformi ai requisiti indicati nell'allegato IV; prescrizione poi sanzionata dal successivo art. 68.
A sua volta l'allegato 4 cit., che regolamenta i requisiti dei luoghi di lavoro, prevede al punto 1.3.1. che, a meno che non sia richiesto diversamente dalle necessità della lavorazione, è vietato adibire a lavori continuativi locali chiusi che non rispondono a determinate condizioni, tra cui quella (punto 1.3.1.3.) di essere ben asciutti e ben difesi contro l'umidità.
Quindi c'è piena continuità normativa tra le due prescrizioni suddette: quella del D.P.R. 19 marzo 1956, n. 303, art. 7, e quella del D.Lgs. n. 81 del 2008, art. 63.

5. Ciò premesso, è infondato il primo motivo di ricorso.
Il verbale dell'udienza 7 dicembre 2006 (contenente il rinvio all'udienza del 22 marzo 2007) e l'originario decreto di citazione a giudizio risultano notificati a mani proprie dell'imputato il 18 dicembre 2006 (v. relata dell'ufficiale giudiziario in atti).
All'udienza del 22 marzo 2007 il M. è stato ritualmente dichiarato contumace e nulla ha obiettato la difesa dello stesso neppure nel prosieguo del giudizio di primo grado e nelle conclusioni all'esito della discussione finale.

6. Infondato è anche il secondo motivo.
Non occorreva la reiterazione dell'invito alla regolarizzazione, previsto dal D.Lgs. 19 dicembre 1994, n. 758, art. 20, che è rivolto al datore di lavoro che abbia violato le prescrizioni di prevenzione sicchè non rileva che durante il decorso del termine per la regolarizzazione, determinato ai sensi del cit. art. 20 dall'organo di vigilanza tenendo conto del tempo tecnicamente necessario per eliminare la irregolarità registrata, sia mutato il rappresentante del datore di lavoro.
Chi subentra come datore di lavoro (in caso di cessione d'azienda) o come responsabile per la sicurezza è tenuto a verificare al momento di assunzione dell'incarico lo status quo e quindi anche eventuali prescrizioni già impartite dall'organo di vigilanza ai sensi del cit. art. 20.

7. Altresì infondato è il terzo motivo atteso che il direttore generale della AUSL, essendo collocato al vertice amministrativo e gestionale dell'ente pubblico, è tenuto all'osservanza delle norme di prevenzione e di sicurezza che rientrano nella più ampia nozione di gestione dell'ente.
E' vero che il D.Lgs. n. 81 del 2008, art. 64 prevede che il "datore di lavoro" provvede affinchè i luoghi di lavoro siano conformi ai requisiti di cui all'art. 63, commi 1, 2 e 3 (tra cui c'è il requisito della salubrità in questione).
Ma a tal fine per "datore di lavoro" negli enti pubblici deve intendersi chi in concreto abbia il potere gestionale sui luoghi di lavoro; nel caso di un'Azienda sanitaria del Servizio Sanitario Nazionale questo potere gestionale, in mancanza di alcuna delega, spetta al direttore generale (sull'accentramento di tutti i poteri di gestione, nonchè della rappresentanza, al direttore generale, v. D.Lgs. 30 dicembre 1992, n. 502, art. 3, come modificato dal D.Lgs. 7 dicembre 1993, n. 517, art. 4, lett. d)).
Il D.Lgs. n. 81 del 2008, art. 2 infatti prevede espressamente che nelle pubbliche amministrazioni di cui al D.Lgs. 30 marzo 2001, n. 165, art. 1, comma 2, per "datore di lavoro" si intende il dirigente al quale spettano i poteri di gestione.
Solo nel caso in cui un funzionario non avente qualifica dirigenziale sia preposto ad un ufficio avente autonomia gestionale, individuato dall'organo di vertice delle singole amministrazioni tenendo conto dell'ubicazione e dell'ambito funzionale degli uffici nei quali viene svolta l'attività, e dotato di autonomi poteri decisionali e di spesa, sullo stesso ricadono gli obblighi di prevenzione.
3. Pertanto il ricorso del M. va rigettato con conseguente condanna del ricorrente al pagamento delle spese processuali.

P.Q.M.

la Corte dichiara inammissibile il ricorso di C.A.;
rigetta il ricorso di M.D.;
condanna entrambi i ricorrenti al pagamento delle spese processuali nonchè il C. al versamento di Euro mille alla Cassa delle ammende.
Così deciso in Roma, il 7 maggio 2009.
Depositato in Cancelleria il 17 luglio 2009