Cassazione Penale, Sez. 4, 06 ottobre 2020, n. 27574 -  Caduta mortale di un bambino dal terrazzo dell'hotel: responsabilità del direttore tecnico di cantiere anche rispetto ai terzi fruitori dell’opera finita non conforme ai requisiti di sicurezza


Fatto


1. La Corte di appello di Cagliari il 19 febbraio 2018, in parziale riforma della sentenza con cui il Tribunale di Cagliari il 10 gennaio 2017, all’esito del dibattimento, ha riconosciuto - anche - M.N. responsabile, in cooperazione colposa con altri imputati, di omicidio colposo, in conseguenza condannandolo alla pena di giustizia, oltre al risarcimento dei danni a favore della parte civile, ha dichiarato non doversi procedere per essere il reato estinto per prescrizione (alla data del 18 marzo 2017), nel contempo confermando le statuizioni civili.
2. Appare opportuno premettere brevissimi elementi conoscitivi tratti dalle sentenze di merito.
2.1. Il (omissis) un bambino di diciotto mesi, K.B. , è morto per il grave trauma riportato a seguito di precipitazione nel vuoto per 3,42 metri dalla terrazza della camera di albergo sita al quarto piano, occupata dalla sua famiglia, che si trovava in vacanza in Sardegna, sino ad una tettoia sottostante.
I giudici di merito hanno ritenuto che il piccolo abbia scavalcato il parapetto della terrazza, parte in muratura e parte in metallo, infine perdendo l’equilibrio e cadendo all’esterno a testa in giù e che la ragione della precipitazione sia da individuarsi nella altezza del parapetto, inferiore a quanto consentito, e nella presenza nello stesso di una pluralità di vietati appigli (battiscopa, componenti in ferro battuto della ringhiera, in particolare riccioli di metallo) e di aperture (di dimensioni superiori a 10 centimetri di diametro, tali cioè da consentire ipoteticamente l’attraversamento), in concreto adoperati dal bimbo per arrampicarsi, facendo leva con i piccoli piedi, sino in cima, per poi precipitare, essendo la parte superiore del corpo più pesante di quella inferiore.
2.2.Si è ritenuto, in particolare, in base a perizia e a consulenze tecniche, che il terrazzo dell’hotel (che era stato oggetto di lavori di ristrutturazione autorizzati nel 2002-2003 ed ultimati il 31 marzo 2003) non presentasse i requisiti di sicurezza rispetto al rischio di caduta all’esterno imposti per le costruzioni non solo dalle norme di buona tecnica UNI ma da una pluralità di fonti normative: L. 9 gennaio 1989, n. 13, (recante "Disposizioni per favorire il superamento e l’eliminazione delle barriere architettoniche negli edifici privati"), art. 1; L.R. della Sardegna 30 agosto 1991, n. 32, ("Norme per favorire l’abolizione delle barriere architettoniche"), art. 6; D.M. 14 giugno 1989, n. 236 ("Prescrizioni tecniche necessarie a garantire l’accessibilità, l’adattabilità e la visitabilità degli edifici privati e di edilizia residenziale pubblica sovvenzionata e agevolata, ai fini del superamento e dell’eliminazione delle barriere architettoniche"), artt. 11, 41 ed 81; D.P.R. 21 aprile 1993, n. 246 ("Regolamento di attuazione della direttiva 89/106/CEE relativa ai prodotti da costruzione"), all. A.
2.3. Sono stati ritenuti responsabili della morte del piccolo:
l’amministratore delegato della società proprietaria dell’albergo, committente dei citati lavori di ristrutturazione (C.A. );
il responsabile dell’area tecnica del Comune che, a seguito di ispezione dei luoghi, non avendo rilevato che il parapetto e la ringhiera in questione erano stati realizzato in violazione delle prescrizioni di legge, dei regolamenti e delle specifiche regole dell’arte che disciplinano tale materia, aveva rilasciato il certificato di agibilità dell’immobile (M.M.F.A. );
l’amministratore unico della società esecutrice, in virtù di subappalto, dei lavori in questione, s.r.l. Cosmared (P.M.T. );
il direttore dei lavori di ristrutturazione in questione (Pi.An. );
e, appunto, l’odierno ricorrente, M.N. , direttore tecnico dell’impresa esecutrice dei lavori.
2.4. La insufficiente vigilanza esercitata in concreto dai genitori sul piccolo, in tenerissima età, ha comportato il riconoscimento da parte dei giudici di merito di un concorso di colpa dei genitori nella produzione dell’evento letale nella misura del 70%.
3.Ciò posto, ricorre per la cassazione della sentenza M.N. , tramite difensore di fiducia, affidandosi ad un unico motivo, con il quale denunzia promiscuamente violazione di legge (art. 40 c.p.) e vizio di motivazione con riferimento all’attribuzione, che si stima illegittima ed erronea, di una posizione di garanzia a tutela dei terzi in capo all’imputato ricorrente.
La Corte di appello si sarebbe limitata, ad avviso della difesa, a ribadire (alla p. 56) la motivazione della sentenza di primo grado, superficialmente ed apoditticamente - si ritiene - affermando che il direttore tecnico di cantiere fosse titolare di una posizione di garanzia nei confronti dei terzi e che lo stesso fosse obbligato, analogamente al titolare della ditta esecutrice dei lavori, a verificare la conformità del parapetto alla normativa vigente.
In realtà, il geometra M.N. , consulente esterno della ditta Cosmared (come si desumerebbe dalla visura della camera di commercio, allegata al ricorso sub n. 1), era stato indicato nel piano operativo di sicurezza del 18 novembre 2002 quale direttore tecnico di cantiere e quale responsabile del servizio di prevenzione e protezione (come si desumerebbe dai documenti allegati sub nn. 2 e 3): nel caso di specie difetterebbe qualsiasi fonte - legge ovvero contratto ovvero effettiva "presa in carico", per (acta concludentia, del bene protetto - per poter affermare che lo stesso fosse tenuto a verificare la conformità del parapetto alla norma vigente, e ciò a tutela della incolumità dei terzi. Alla p. 37 del p.o.s. - si evidenzia nel ricorso - si legge che la nomina di M. era stata effettuata ai sensi e per gli effetti del D.P.R. 27 aprile 1955, n. 547, art. 4 e cioè - solo - per prevenire gli infortuni sul lavoro a tutela dei lavoratori operanti nel cantiere e non già per sovraintendere alla corretta esecuzione dei lavori in modo conforme alla normativa, come invece hanno in maniera non condivisibile affermato i giudici di merito (pp. 25 e 56 della sentenza impugnata). Assume infine la difesa che le - ritenute - lievi difformità del parapetto rispetto alle prescrizioni di legge, si dice di pochi centimetri, non sarebbero state percepibili ictu oculi, "ragion per cui non è neppure condivisibile l’assunto (...) secondo cui il M.N. avrebbe dovuto "avvertire il pericolo" in quanto dotato di specifiche competenze in materia edilizia" (così a p. 6 del ricorso).
Si chiede, dunque, l’annullamento della sentenza impugnata.

 

Diritto


1. Il ricorso non è fondato, per i motivi che si passa ad illustrare.
2. Il ragionamento svolto dalla Corte territoriale quanto alla responsabilità dell’imputato si incentra, per quanto in questa sede rileva (non si contesta, infatti, la dinamica della caduta nè la causa della morte nè il nesso tra la precipitazione e l’evento nè la riscontrata difformità del parapetto dai corretti canoni costruttivi nè la pericolosità dello stesso nè la cronologia delle modifiche all’immobile, aspetti sui quali si sofferma ampiamente la sentenza impugnata, in ragione del concreto contenuto degli appelli dei coimputati), su di un triplice passaggio (v. pp. 25-27, 44-46 e 56-57 della decisione):
a M.N. era stata, in effetti, affidata anche la responsabilità della sicurezza dei lavoratori;
M. , in quanto direttore tecnico del cantiere dell’impresa esecutrice dei lavori Cosmared, era obbligato a procedere alla esecuzione delle opere in modo conforme alla normativa;
le conoscenze specifiche in materia di costruzione di cui era in concreto portatore, comunque, gli avrebbero dovuto consentire di prevedere agevolmente il pericolo dell’evento, ma così non è stato.
3.Le riferite affermazioni, non efficacemente aggredite dall’impugnazione di legittimità, risultano, a ben vedere, corrette.
3.1. Emerge, infatti, dagli stessi atti allegati dalla difesa al ricorso, sub nn. 2 e 3, che all’imputato era stata affidata, per contratto, la posizione di dirigente ed espressamente attribuita la responsabilità del servizio di prevenzione e protezione. Ciò è in linea con quanto legislativamente previsto (già dal D.P.R. 27 aprile 1955, n. 547, art. 4 e, poi,) dal D.Lgs. 9 aprile 2008, n. 81, art. 18, comma 1, che attribuisce, oltre che al datore di lavoro, anche ai dirigenti una posizione di garanzia in tema di sicurezza dei lavoratori, come peraltro puntualizzato dalla S.C. (ad esempio, da Sez. 4, n. 39606 del 28/06/2007, Marchesini ed altro, Rv. 237878, secondo cui "In materia di prevenzione degli infortuni sul lavoro, il direttore tecnico ed il "capo cantiere" sono titolari di autonome posizioni di garanzia in quanto egualmente destinatari, seppure a distinti livelli di responsabilità, dell’obbligo di dare attuazione alle norme dettate in materia di sicurezza sul lavoro. Ne consegue che la nomina di un "capo cantiere" non implica di per sé il trasferimento a quest’ultimo della sfera di responsabilità propria del direttore tecnico").
3.2. Ciò posto, il tema del processo non è se il direttore tecnico sia o meno garante della sicurezza dei lavoratori e di coloro che possano entrare, per così dire, "fisiologicamente" in contatto con loro nella fase dinamica della costruzione, perché ciò non è contestato nel caso di specie nè è contestabile: ma è se tale figura sia anche garante della sicurezza dei terzi fruitori, a qualunque titolo, dell’opera, una volta essa sia realizzata, nella successiva fase, per così dire, "statica", ove non siano stati rispettati i corretti canoni di costruzione; se, in altre parole, sia o meno tenuto, come hanno ritenuto i giudici di merito (pp. 25 e 56 della sentenza impugnata), a vigilare affinché l’opera sia eseguita in maniera conforme alla normativa vigente.
Al quesito deve darsi risposta affermativa.
Occorre prendere le mosse dalla previsione del Decreto del Ministero dei lavori pubblici 19 aprile 2000, n. 145, art. 6, commi 1, 2 e 3, secondo cui "1. L’appaltatore è responsabile della disciplina e del buon ordine nel cantiere e ha l’obbligo di osservare e far osservare al proprio personale le norme di legge e di regolamento. 2. L’appaltatore, tramite il direttore di cantiere assicura l’organizzazione, la gestione tecnica e la conduzione del cantiere. 3. La direzione del cantiere è assunta dal direttore tecnico dell’impresa o da altro tecnico formalmente incaricato dall’appaltatore (...)". Al riguardo, la S.C. ha già condivisibilmente puntualizzato che i compiti di organizzazione, gestione tecnica e conduzione del cantiere comportano, tra gli altri, la verifica dell’impiego dei materiali, il controllo degli impegni contrattuali e la conformità delle opere al progetto (Sez. 4, n. 2378 del 08/07/2016, dep. 2017, Benedetto e altro, Rv. 268874, non mass. sul punto, sub n. 6 del "considerato in diritto", p. 6). La norma richiamata, invero, è posta dal D.M. n. 145 del 2000, recante "Regolamento recante il capitolato generale d’appalto dei lavori pubblici, ai sensi della L. 11 febbraio 1994, n. 109, art. 3, comma 5 e successive modificazioni" ma non vi è ragione di ritenere che non ponga un principio generale valido anche per lavori svolti da privati nel proprio interesse.
Osserva il Collegio che nel caso di specie non viene in rilievo la verifica circa l’impiego dei materiali nè il controllo degli impegni contrattuali e/o la conformità delle opere al progetto, ipotesi cui fa espresso riferimento la richiamata decisione di legittimità, poiché nelle sentenze di merito non si evidenziano difformità tra il progetto dell’opera e la realizzazione dello stesso.
Viene in luce, invero, la conformità dell’opera alla normativa urbanistica, risultata non rispettata.
I giudici di merito, a proposito del committente e del costruttore (pp. 19-21 e 26-27 della sentenza di appello), valorizzano la portata del D.P.R. 6 giugno 2001, n. 380, art. 29, recante "Testo unico delle disposizioni legislative e regolamentari in materia edilizia", secondo cui il titolare del permesso di costruire, il committente e il costruttore sono responsabili della conformità delle opere alla normativa urbanistica, sottolineando anche che l’obbligo in capo, tra gli altri, al committente ed al costruttore di rispettare le leggi ed i regolamenti in materia edilizia ed urbanistica era espressamente previsto nel caso di specie anche al punto n. 12 della concessione edilizia rilasciata il 25 marzo 2003.
Tanto precisato e passando, poi, alla specifica posizione del direttore tecnico dell’impresa esecutrice dei lavori, la sentenza impugnata (pp. 25-26) condivisibilmente precisa che, poiché, ai sensi del richiamato del D.L. n. 145 del 2000, art. 6, comma 2, l’appaltatore, tramite il direttore di cantiere, assicura l’organizzazione, la gestione tecnica e la conduzione del cantiere, le responsabilità del costruttore del D.P.R. n. 380 del 2001, ex art. 29, si estendono al direttore tecnico, figura cui l’appaltatore, anziché agire in prima persona, demanda le attività inerenti la gestione del cantiere, tra cui certamente l’esecuzione delle opere in conformità alla normativa vigente.
In altre parole: così come tenuti alla tutela non solo dei lavoratori in corso d’opera ma anche degli utenti del manufatto una volta ultimato sono il committente e l’appaltatore-costruttore, allo stesso modo vi è tenuto il direttore tecnico, che è diretta emanazione nel cantiere dell’imprenditore-costruttore (pp. 26-27 della sentenza impugnata; nel caso di specie si è trattato di sub-appalto).
3.3. Infine, meramente assertiva e costruita in fatto è la censura incentrata sulle difformità, che si indicano dalla difesa come minuscole, quasi impercettibili, tra quanto consentito e quanto in difformità realizzato: l’intera sentenza di appello, invero, descrive a più riprese in termini macroscopici la divergenze che hanno reso concretamente "scalabile" il parapetto dal bimbo (altezza insufficiente del parapetto, fori più ampi del consentito, battiscopa idoneo quale appiglio, presenza di riccioli di metallo: pp. 8-9, 49 e 53-55 della motivazione).
Manifestamente infondata è, in conseguenza, la doglianza della difesa sul punto della non avvertibilità del pericolo da parte di soggetto la cui competenza emerge non soltanto dal titolo di studio ma dalla stessa qualificazione descritta nella documentazione difensiva allegata sub n. 3 al ricorso (esperienza professionale e partecipazione a corsi).
4. Consegue il rigetto del ricorso e la condanna del ricorrente, per legge (art. 616 c.p.p.), al pagamento delle spese processuali.

P.Q.M.


Rigetta il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle spese processuali.