Categoria: Cassazione civile
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Cassazione Civile, Sez. Lav., 13 ottobre 2020, n. 22084 - Incidente automobilistico del Sindaco da considerarsi infortunio in itinere. Copertura assicurativa pubblica


 

Presidente: MANNA ANTONIO
Relatore: CALAFIORE DANIELA
Data pubblicazione: 13/10/2020
 

Ritenuto che
Con sentenza n. 2186 del 2014, la Corte d'appello di Lecce, accogliendo l'impugnazione proposta da G.R. (anche nella qualità di madre del minore P.Z.) nei confronti dell'Inail avverso la sentenza del Tribunale di Brindisi, ha accolto la domanda proposta dalla stessa G.R. nella duplice qualità, volta alla condanna dell'Inail alla erogazione delle prestazioni assicurative conseguenti al decesso del proprio coniuge G. Z., avvenuto a seguito dell'infortunio del 14 agosto 2009;
ad avviso della Corte territoriale, considerato che non vi era questione sul fatto che G. Z. fosse deceduto il 21 ottobre 2009, in seguito ad incidente automobilistico da considerarsi infortunio in itinere, doveva affermarsi che il medesimo G. Z., in quanto sindaco del comune di Latiano deceduto in occasione di attività connessa a quella dell'incarico rappresentativo ricoperto, era soggetto coperto dall'assicurazione obbligatoria gestita dall'Inail;
in particolare, confutando la tesi sostenuta dal primo giudice secondo la quale doveva escludersi che il sindaco rientrasse nel novero dei soggetti indicati dall'art. 4 d.P.R. n. 1124 del 1965, per ragioni testuali ed in quanto gli artt. 81 ed 86 d.lgs. n. 267 del 2000 prevedevano la sola possibilità di stipulare polizze assicurative privatistiche, la Corte territoriale ha affermato che i primi due commi dell'art. 86 prevedevano, al contrario, l'obbligo di fornire copertura assicurativa pubblica per i rischi derivanti dall'esercizio delle funzioni, mentre la possibilità di stipulare assicurazioni privatistiche era riferita a rischi ulteriori e diversi;
avverso tale sentenza, propone ricorso per cassazione l'Inail affidandosi a due motivi: 1) violazione e falsa applicazione degli artt. 1 e 4 d.P.R. n. 1124/1965 in ragione del fatto che l'Inail, sin dalla memoria di costituzione in primo grado, aveva evidenziato che G. Z. non era soggetto assicurato ex art. 4 d.p.r. n. 1124/1965 in quanto il Comune di Latiano non aveva mai versato i contributi all'Inail per conto del medesimo, non svolgente attività lavorativa per conto del Comune, né collocato in aspettativa non retribuita rispetto al rapporto di lavoro intercorrente con le ACLI di talché non poteva invocarsi neanche il disposto dell'art. 86 d.lgs. n. 267/2000; 2) violazione e falsa applicazione dell'art. 2 d.P.R. n. 1124/1965 e dell'art. 12 d.lgs. n. 38/2000 in ragione del fatto che illegittimamente la sentenza impugnata aveva ritenuto incontestato che l'evento si dovesse qualificare come infortunio in itinere dal momento che, sin dalla memoria di costituzione in primo grado, era stata eccepita la mancanza dei presupposti di diritto per il riconoscimento dell'infortunio sul lavoro in itinere, difettando sia il nesso eziologico tra percorso seguito ed evento che il nesso causale tra itinerario seguito ed attività di lavoro, così come la prova della necessità dell'uso del mezzo privato;
resiste con controricorso, successivamente illustrato da memoria, G.R. anche quale rappresentante legale del figlio P.Z., il quale, divenuto maggiorenne nel corso della causa, si è costituito con comparsa di costituzione del 12 ottobre 2015;
il Procuratore generale ha rassegnato conclusioni scritte chiedendo la trattazione in pubblica udienza;
 

 

Considerato che
il ricorso è inammissibile;
quanto al primo motivo si deduce che la sentenza impugnata ha violato e falsamente applicato gli artt.  1 e 4 d.P.R. n. 1124/1965 in quanto ha ritenuto il sindaco G. Z. soggetto alla copertura assicurativa pubblica gestita dall'INAIL anche se lo stesso non aveva mai chiesto di essere collocato in aspettativa non retribuita ai sensi dell'art. 2, 3° co., l. 27-12-1985, n. 816;
in sostanza, il ricorrente afferma insussistente la circostanza della fruizione della aspettativa senza retribuzione da parte di G. Z., situazione che implica la violazione o la falsa applicazione del disposto degli artt. 1 e 4 d.P.R. n. 1124/1965, posto che l'art. 2, 3° co., l.n. 816/1985 prevede la copertura assicurativa pubblica a carico dell'Ente locale a condizione che il dipendente abbia chiesto di essere collocato in aspettativa non retribuita; tuttavia, la denuncia di aver trascurato la rilevanza dell' accertamento in fatto dell'assenza della fruizione dell'aspettativa, accertamento che non emerge in alcun modo dalla sentenza impugnata, non consente di ritenere valida la formulazione del motivo fatto valere, giacché questa Corte di cassazione ha affermato, con orientamento consolidato, che le espressioni violazione o falsa applicazione di legge, di cui all'art. 360, comma 1, n. 3 c.p.c., descrivono i due momenti in cui si articola il giudizio di diritto: a) quello concernente la ricerca e l'interpretazione della norma ritenuta regolatrice del caso concreto; b) quello afferente l'applicazione della norma stessa una volta correttamente individuata ed interpretata. Il vizio di violazione di legge investe immediatamente la regola di diritto, risolvendosi nella negazione o affermazione erronea della esistenza o inesistenza di una norma, ovvero nell'attribuzione ad essa di un contenuto che non possiede, avuto riguardo alla fattispecie in essa delineata; il vizio di falsa applicazione di legge consiste, o nell'assumere la fattispecie concreta giudicata sotto una norma che non le si addice, perché la fattispecie astratta da essa prevista - pur rettamente individuata e interpretata - non è idonea a regolarla, o nel trarre dalla norma, in relazione alla fattispecie concreta, conseguenze giuridiche che contraddicano la pur corretta sua interpretazione;
non rientra nell'ambito applicativo dell'art. 360, comma 1, n. 3, l'allegazione di un'erronea ricognizione della fattispecie concreta a mezzo delle risultanze di causa, quale è l'affermare che sia stato trascurato un fatto specifico storicamente apprezzabile, che è, invece, esterna all'esatta interpretazione della norma e inerisce alla tipica valutazione del giudice di merito, sottratta perciò al sindacato di legittimità (da ultimo Cassazione n. 640 del 14/01/2019; Cassazione n. 24155 del 13/10/2017);
peraltro, la fruizione dell'aspettativa non retribuita da parte del dipendente, una volta eletto quale amministratore di ente locale, è un fatto che va provato nella singola fattispecie in quanto deriva dalla scelta dello stesso amministratore eletto e, dunque, non opera in via automatica;
in particolare, Cassazione n. 23013 del 2014 ha precisato che l'aspettativa è soltanto uno dei possibili strumenti normativi disposti dal legislatore per consentire agli incaricati di funzioni pubbliche elettive di disporre del tempo necessario per l'esercizio del mandato ed è uno strumento alternativo ai permessi retribuiti e non retribuiti che il lavoratore potrebbe richiedere e che sono compatibili con l'esecuzione del contratto di lavoro;
in sostanza, l'aspettativa non retribuita non rappresenta l'effetto irrinunciabile dell'espletamento di cariche pubbliche elettive ma solo un'ulteriore tutela riconosciuta dal legislatore;
pertanto, il ricorrente, avrebbe dovuto fare valere l'omessa considerazione del fatto storico della mancata fruizione dell'aspettativa deducendo il vizio di motivazione, nei limiti previsti dall'art. 360, primo comma n. 5 c.p.c., ma comunque indicando, nel rispetto del canone di specificità nella formulazione del motivo, in quale sede processuale ed in quale momento dello stesso svolgimento tale questione sia stata introdotta ed abbia formato oggetto di discussione tra le parti;
anche il secondo motivo è inammissibile;
ancora una volta, a fronte di una affermazione della sentenza impugnata che, a torto o a ragione, dichiara che non vi è contestazione alcuna sulla ricostruzione dell'incidente e sulla qualificazione dell'evento mortale quale infortunio in itinere, il ricorrente deduce una violazione delle norme che disciplinano in astratto tale tipo di infortunio;
è evidente, che anche in questo caso, il motivo non riesce ad incrinare il reale contenuto della motivazione che non ha fatto alcuna affermazione in contrasto con le previsioni degli artt. dell'art. 2 d.P.R. n. 1124/1965 e dell'art. 12 d.lgs. n. 38/2000 ma, semmai, della disciplina della rilevanza e della configurabilità della non contestazione contenuta nell'art. 115 c.p.c., che non ha formato oggetto di censura;
in definitiva, il ricorso va dichiarato inammissibile;
le spese seguono la soccombenza nella misura liquidata in dispositivo.
 

P.Q.M.
 

La Corte dichiara inammissibile il ricorso; condanna il ricorrente alle spese del giudizio di legittimità liquidate, in favore della contro ricorrente, in Euro 200,00 per esborsi, Euro 6000,00 per compensi professionali, oltre rimborso spese forfetarie nella misura del 15% e spese accessorie di legge.
Ai sensi del D.P.R. 30 maggio 2002, n. 115, art. 13, comma 1 quater dà atto della sussistenza dei presupposti processuali per il versamento da parte del ricorrente dell'ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello previsto per il ricorso a norma dello stesso art. 13, comma 1 bis., ove dovuto.
Così deciso in Roma, nella camera di consiglio del 7 luglio 2020.