Cassazione Civile, Sez. Lav., 15 ottobre 2020, n. 22394 - Riconoscimento della natura professionale delle malattie contratte dall'infermiere addetto alla pulizia dei ferri chirurgici 


 

 

Presidente: MANNA ANTONIO
Relatore: MANCINO ROSSANA Data pubblicazione: 15/10/2020
 

 

Rilevato che


1. con sentenza in data 17 novembre 2014, la Corte di Appello di Catanzaro ha riformato la sentenza di primo grado e rigettato la domanda proposta dall'attuale ricorrente, infermiere addetto alla pulizia dei ferri chirurgici in sala operatoria, per il riconoscimento della natura professionale delle malattie denunciate con postumi invalidanti del 47 per cento e condanna dell'INAIL alla costituzione della rendita dalla data della domanda amministrativa;
2. per la Corte territoriale l'eccezione di inammissibilità del gravame andava respinta per avere l'Istituto appellante censurato espressamente la sentenza gravata, indicando gli elementi da cui desumere la prova dello spirare del termine di cui all'art. 112 del testo unico infortuni;
3. inoltre, ritenuta ritualmente proposta l'eccezione di prescrizione sollevata dall'ente previdenziale (con memoria di costituzione depositata nel termine ex art. 416 cod.proc.civ.), la Corte di merito ancorava la decorrenza all'oggettiva riconoscibilità, da parte dell'assicurato, dell'origine professionale ed accertava la consapevolezza della dipendenza della patologia epatica dall'attività lavorativa, per punture accidentali, fin dal 1990 e della conoscenza dell'indennizzabilità fin dal 1998, epoca della denuncia di un aggravamento del quadro epatico; la consapevolezza della patologia psichiatrica fin dalla dispensa dal servizio, nel 1997, per esserne, per la gravità, una delle cause, così come della obesità legata ad alimentazione disfunzionale emergente da cartella clinica del 18 maggio 1997;
4. sulla scorta del richiamato compendio probatorio la Corte territoriale riteneva che fin dal verbale di visita collegiale del 9 giugno 1997 fosse emersa, e fosse nota, l'eziologia delle due patologie (sindrome ansioso depressiva con spunti deliranti e obesità di 2° in alimentazione disfunzionale) e non potesse non essere nota anche l'altra patologia (l'epatite nella soglia indennizzabile già nel 1997), per cui la domanda amministrativa, da presentare nel termine triennale decorrente dal 9 giugno 1997, e presentata invece nel 2003, era ormai tardiva;
5. avverso tale sentenza L.A. ha proposto ricorso affidato a due motivi, ulteriormente illustrato con memoria, al quale ha opposto difese l'INAIL con controricorso;


Considerato che
6. con i motivi di ricorso, deducendo plurime violazioni di legge, il ricorrente censura la ritenuta ammissibilità del gravame e il rigetto dell'eccezione di inammissibilità sollevata in riferimento all'invalidità della costituzione in giudizio dell'appellante, per difetto di rappresentanza dell'ente, ratione temporis, in capo al dirigente regionale per la Calabria, e alla mancanza di specificità dei motivi, per avere la Corte di merito ritenuto inapplicabile, ratione temporis, il novellato art. 434 cod.pro c.civ., ed espressamente censurata la questione dello spirare del termine di prescrizione in relazione alla manifestazione della tecnopatia benché il gravame, pur senza alcuna censura ed argomenti di diritto, si fosse limitato apoditticamente ad additare l'errore nel ritenere provato il nesso di causalità (primo motivo); con il secondo motivo, deducendo plurime violazioni di legge, si assume che l'INAIL sarebbe decaduta dalla proposizione dell'eccezione di prescrizione, per non averla sollevata nella fase amministrativa e nel primo atto utile di quella fase; quanto alla manifestazione della malattia e alla decorrenza della prescrizione, con la denuncia corredata del certificato medico di malattia professionale (per depressione maggiore e obesità), risalente al febbraio 2003, se ne assume la tempestiva interruzione argomentando l'errore in cui sarebbe incorsa la Corte, ritenendo la sindrome del 1997 (ansioso depressiva con spunti deliranti), e ancor prima del 1992, manifestazione della malattia, con la deduzione che l'evento dannoso psicologico non si sarebbe manifestato nel primo giorno di completa astensione dal lavoro (il 1° settembre 2007) e la dispensa dal servizio, nel 1997, sarebbe avvenuta per cause diverse (epatite) da quanto ritenuto dai giudici del gravame;
7. il ricorso è da rigettare;
8. è inammissibile il contestato difetto di specificità del gravame atteso che il ricorrente non riporta la sentenza gravata e l'atto di appello per consentire alla corte la verifica della specificità dei motivi;
9. questa Corte di legittimità (v., fra le tante, Cass. n. 9734 del 2004; Cass. n. 86 del 2012) ha espresso il principio secondo il quale il ricorrente, che denunci la violazione e falsa applicazione degli artt. 434 e 414 c.p .c. e la mancata declaratoria della nullità dell'atto di appello per genericità dei motivi, deve riportare nel ricorso, nell'impianto illustrativo, i motivi formulati dalla controparte e il motivo in esame ne presenta una mera sintesi;
10. allorquando con il ricorso per cassazione vengano denunciati errores in procedendo, in relazione ai quali la Corte è giudice del fatto processuale e può quindi procedere all'esame diretto degli atti, l'esercizio di detto potere è condizionato alla formulazione di un valido motivo di ricorso, in quanto la denuncia del vizio resta soggetta alle regole di ammissibilità e di procedibilità stabilite dal codice di rito, in nulla derogate dall'estensione ai profili di fatto del potere cognitivo della Corte (v., fra le altre, Cass., Sez.U., n. 8077 del 2012);
11. nel rispetto degli oneri di specificazione ed allegazione di cui agli artt. 366, primo comma, n. 6 e 369, secondo comma, n. 4, cod. proc. civ., che impongono alla parte di indicare in modo specifico i fatti processuali alla base dell'errore denunciato e di trascrivere nel ricorso nei loro esatti termini gli atti rilevanti, diversi dalla sentenza impugnata (v. fra le tante, Cass. n. 11738 del 2016);
12. quanto al denunciato difetto di rappresentanza, l'INAIL ne ha eccepito la novità, in questa sede, trattandosi di censura - la carenza di legittimazione del direttore regionale INAIL a conferire procura ad litem
- svolta per la prima volta, posto che in altri termini era stata svolta in sede di gravame - invalidità della costituzione per mancata indicazione della sede legale e del codice fiscale per verificare di agire funzionalmente per sede regionale o nazionale - né il ricorrente ha dimostrato di avere in tali termini svolto l'eccezione nelle fasi di merito;
13. in ogni caso è infondata la ritenuta invalidità della procura alle liti rilasciata da dirigente generale con incarico di livello generale per avere questa Corte già precisato (v., da ultimo, Cass. n.30428 del 2019 e i precedenti ivi richiamati), proprio in relazione ad analoghe eccezioni mosse nei riguardi dell'Inail, che il d.lgs. 30 marzo 2001, n. 165, riordinando le norme in tema di lavoro alle dipendenze delle Amministrazioni Pubbliche, che già erano entrate in vigore con il d.lgs.
n. 29 del 1993
e successive modificazioni, attribuisce all'art. 16 ai dirigenti di uffici dirigenziali generali, fra gli altri, anche la potestà di promuovere e resistere alle liti che hanno il potere di conciliare e transigere sicché è pienamente legittima la Determina del Presidente dell'Istituto con la quale sono stati attribuiti al Dirigente generale i poteri previsti dalla legge per i dirigenti statali;
14. il secondo motivo si appalesa inammissibile perché non produce la domanda sulla quale incentra le censure, nel senso che le questioni fattuali poste dalla Corte a sostegno della manifestazione della malattia sarebbero inconferenti rispetto al tenore della domanda presentata all'Inail e alla malattia denunciata;
15. peraltro, la conoscibilità dell'eziologia professionale costituisce accertamento di fatto insindacabile in sede di legittimità, ma se come la parte ricorrente assume, alla domanda amministrativa erano estranee le patologie valorizzate dalla Corte, quantomeno sarebbe stata necessaria la trascrizione del contenuto della domanda;
16. segue, coerente, la condanna alle spese di lite, liquidate come in dispositivo, respinta l'eccezione del ricorrente intesa alla declaratoria di inammissibilità del controricorso (per non avere la parte controricorrente provato, in giudizio, il momento perfezionativo della notificazione con l'allegazione della prova della spedizione della raccomandata di comunicazione di avvenuta notifica), in applicazione del principio generale sancito dall'art. 156 cod.proc.civ., per cui la nullità non può mai essere pronunciata se l'atto ha raggiunto lo scopo cui era destinato e, nella specie, è la stessa parte ricorrente a riconoscere, nella sostanza, di aver ricevuto la notificazione;
17. ai sensi dell'art.13,comma 1-quater, d.P.R.n.115 del 2002, sussistono i presupposti processuali per il versamento, a carico della parte ricorrente, dell'ulteriore importo, a titolo di contributo unificato, pari a quello per il ricorso ex art.13,comma 1-bis, se dovuto.
 

P.Q.M.
 

La Corte rigetta il ricorso; condanna il ricorrente al pagamento delle spese processuali liquidate in euro 200,00 per esborsi, euro 7.000,00 per compensi professionali, oltre quindici per cento spese generali e altri accessori di legge. Ai sensi dell'art.13,comma 1-quater, d.P.R.n.115 del 2002, sussistono i presupposti processuali per il versamento, a carico della parte ricorrente, dell'ulteriore importo, a titolo di contributo unificato, pari a quello per il ricorso ex art.13,comma 1-bis, se dovuto. Così deciso nella Adunanza camerale del 7 luglio 2020