Cassazione Penale, Sez. 4, 16 ottobre 2020, n. 28726 - Infortunio mortale durante la movimentazione di travi. Responsabilità del direttore di stabilimento colpevole di aver tollerato, avallato e non corretto prassi lavorative pericolose


 

Presidente: DOVERE SALVATORE
Relatore: FERRANTI DONATELLA
Data Udienza: 22/09/2020
 

Fatto

 

1. Con la sentenza in epigrafe, la Corte di Appello di Trieste in parziale riforma della sentenza del Tribunale di Pordenone del 20.06.2017, ha ridotto la pena della reclusione applicata a S.G. ad anni uno e quella applicata ai coimputati C.M. e B.A. a mesi otto, ritenendo comunque la responsabilità penale dei prevenuti in ordine al reato di cui agli artt. 113, 40 comma 2, 590 comma 1 e 2 cod. pen. per avere, in cooperazione colposa tra loro, S.G. quale direttore dello stabilimento della ditta Cimolai S.p.a., con delega in materia di sicurezza del lavoro dal 19.05.2009, B.A. quale preposto, capo officina, C.M. quale preposto capo reparto carpenteria-saldatura, cagionato la morte del dipendente P.R..
1.1. In particolare si contesta agli imputati di aver omesso di sovraintendere e vigilare, nelle rispettive qualità, sull'osservanza da parte dei lavoratori delle norme di condotta individuate dal documento di valutazione dei rischi, Rev. 3 adottato dall'azienda a partire dal 22.12.08 (in particolare dei punti "15" di pagina 3.60 e "6" di pagina 3.62 della scheda allegato 3b del predetto documento), secondo cui le manovre di movimentazione di travi, superiori a 10 metri di lunghezza, dovevano essere eseguite con la partecipazione di due persone una delle quali in funzione di coordinatore; di aver quindi consentito che sistematicamente tale manovra venisse eseguita da un solo operatore e che nell'area destinata allo stoccaggio di materiale da lavorare o lavorato vi fosse la presenza di un armadietto metallico e ciò in contrasto con le prescrizioni secondo le quali che le aree dovevano essere sgombre da attrezzature ed intralci ( punti 4. e 5 di pagina 3.59 del medesimo allegato 3b).
1.2 L'infortunio, in cui ha trovato la morte il dipendete P.R., all'interno del reparto carpenteria saldatura dello stabilimento, secondo la ricostruzione della Corte territoriale, che riporta puntualmente le risultanze dibattimentali del giudizio di primo grado, avveniva con le seguenti modalità: 1'8 marzo 2011 E.A., gruista, ha operato da solo senza avvalersi dell'ausilio del collega P.R., lo spostamento con carroponte della terza (n. 3126) di cinque travi metalliche a T della lunghezza di 13 metri e del peso di circa tre tonnellate ciascuna, posizionate in verticale l'una vicina all'altra; ha, quindi, urtato nella manovra la trave immediatamente adiacente che si ribaltava e provocava a sua volta, per il cd. effetto domino, il ribaltamento anche della prima trave, quella vicina al muro perimetrale dello stabilimento che travolgeva il P.R. che in quel momento si trovava nell'area situata tra le travi ed un armadietto metallico addossato al muro perimetrale e rimaneva schiacciato decedendo all'istante per sfondamento della gabbia toracica.
E' risultato accertato che il piano di valutazione dei rischi prevedeva che nell'esecuzione delle operazioni di movimentazioni delle travi gli operai dovevano essere in due proprio per accompagnare i movimenti di beccheggio sul piano verticale e di rotazione nei due sensi sul piano orizzontale e che invece era invalsa una scorretta prassi lavorativa secondo la quale le travi di lunghezza superiore a dieci metri di solito venivano movimentate da un solo operatore, senza l'ausilio di un altro dipendente che lo aiutasse nella manovra da terra.
Sul punto si contesta allo S.G., nella qualità di direttore dello stabilimento con delega alle funzioni di sicurezza del lavoro dal 19 maggio 2009 e quindi titolare della posizione di garanzia, di non aver vigilato sull'usuale svolgimento delle lavorazioni in azienda con precipuo riferimento al radicarsi di prassi non conformi alle regole di sicurezza e di non aver adottato le misure organizzative necessarie affinchè le lavorazioni venissero eseguite con le modalità corrette.
2. Avverso tale sentenza ha proposto ricorso per cassazione l'imputato S.G., a mezzo del difensore, deducendo i motivi di seguito riportati.
I) Violazione di legge e contraddittorietà della motivazione nella ricostruzione della fattispecie concreta. Deduce che i Giudici del merito hanno fatto discendere la responsabilità dello S. dal fatto che l'adozione di modalità esecutive nella movimentazione delle travi di lunghezza superiore a 10 metri non era episodica ma strettamente dipendente dalle modalità di organizzazione del lavoro e che lo S.G. aveva tollerato una prassi lavorativa scorretta e pericolosa. Deduce che allo S.G. non competeva il dettaglio dell'organizzazione dell'attività lavorativa poichè vi era il capo officina e il capo reparto preposto. Il fatto che lo S. passasse spesso in cantiere non vuol dire che conoscesse la prassi difforme dalle regole codificate né che ne fosse stato messo al corrente.
II) Contraddittorietà e manifesta illogicità della motivazione in quanto il giorno dell'infortunio le persone di turno erano due ( P.R. e E.); furono loro che anziché lavorare in coppia avevano ritenuto erratamente che l'operatore potesse movimentare da solo in violazione delle procedure codificate. Tra l'altro era stato proprio P.R. a volere l'affiancamento del collega; il P.R. aveva il ruolo di capomacchina e avrebbe dovuto lui effettuare lo spostamento della trave; il P.R. doveva sovraintendere all'operazione e non lo fece lasciando il collega solo.

 


Diritto


1. Va premesso che è pacifica acquisizione della giurisprudenza di questa Suprema Corte che deve essere ritenuto inammissibile il ricorso per cassazione fondato su motivi che riproducono le medesime ragioni già discusse e ritenute infondate dal giudice del gravame, dovendosi gli stessi considerare non specifici.

La mancanza di specificità del motivo, infatti, va valutata e ritenuta non solo per la sua genericità, intesa come indeterminatezza, ma anche per la mancanza di correlazione tra le ragioni argomentate dalla decisione impugnata e quelle poste a fondamento dell'impugnazione, dal momento che quest'ultima non può ignorare le esplicitazioni del giudice censurato senza cadere nel vizio di aspecificità che conduce, a norma dell'art. 591 comma I, lett. c) cod. proc. pen., alla inammissibilità della impugnazione (in tal senso Sez. 2, n. 29108 del 15.7.2011, Cannavacciuolo non mass.; conf. Sez. 5, n. 28011 del 15.2.2013, Sammarco, rv. 255568; Sez.4, n. 18826 del 9.2.2012, Pezzo, rv. 253849; Sez. 2, n. 19951 del 15.5.2008, Lo Piccolo, rv. 240109; Sez. 4, n. 34270 del 3.7.2007, Scicchitano, rv. 236945; Sez. 1, n. 39598 del 30.9.2004, Burzotta, rv. 230634; Sez.4, n. 15497 del 22.2.2002, Palma, rv. 221693). Ancora questa Corte di legittimità ha ribadito come sia inammissibile il ricorso per cassazione fondato sugli stessi motivi proposti con l'appello e motivatamente respinti in secondo grado, sia per l'insindacabilità delle valutazioni di merito adeguatamente e logicamente motivate, sia per la genericità delle doglianze che, così prospettate, solo apparentemente denunciano un errore logico o giuridico determinato (Sez. 3, n.44882 del 18.7.2014, Carialo e altri, rv. 260608).

2. Il ricorso dello S. G. inammissibile.

2.1 Il primo e in secondo motivo possono essere trattati congiuntamente, in quanto in maniera generica e inconferente si contesta, infatti, il valore probatorio degli elementi utilizzati dalla Corte di appello per pervenire al convincimento di responsabilità e non si tiene conto degli argomenti e delle indicazioni probatorie puntuali acquisite e risultanti dai due gradi di merito,
Nel caso di specie, la Corte d'appello, dopo aver valutato la sentenza impugnata immune da vizi logici e saldamente ancorata ai risultati probatori acquisiti durante l'esaustiva istruttoria dibattimentale, ha riportato i punti considerati essenziali, ai fini del proprio convincimento, sottolineandone la significazione dimostrativa, in particolare che la prassi non conforme alle regole di sicurezza era ben nota allo S. non solo perché lui stesso era abitualmente presente nel capannone ma perché faceva parte di scelte organizzative che da lui dipendevano; tra l'altro, ha evidenziato che in quel periodo l'azienda era impegnata ad evadere una commessa per la realizzazione di un ponte di cui le travi di notevoli dimensioni, come quella che ha dato causa all'incidente, costituivano una componente essenziale ( fol 9 e 10): solo nei tre giorni lavorativi precedenti l'infortunio le cinque travi in lavorazione furono spostate almeno tre volte dagli operai; risultava inoltre che in quel reparto si avvicendavano solo tre persone, PE. che lavorava da solo, P.R., che era malato di cuore e per tale motivo, a sua richiesta, era stato inserito nello stesso turno con E.A. e che i rappresentanti sindacali dei lavoratori avevano rappresentato la criticità delle movimentazioni delle travi di lunghezza superiore a 10 metri. In definitiva, la Corte territoriale ha sostenuto che proprio l'organizzazione del lavoro che dipendeva dallo S. rendeva prevedibile il verificarsi di situazioni di rischio per il mancato rispetto della procedura corretta relativa alla movimentazioni delle travi e aveva reso praticabile l'avvio di una prassi non conforme al documento di valutazione dei rischi non solo avallata ma incentivata dai preposti, in particolare dal B.A., che utilizzava un solo lavoratore per l'operazione di movimentazione e mostrava fastidio di fronte alle richieste di affiancamento che i dipendenti gli rivolgevano. La Corte di appello ha evidenziato la piena consapevolezza da parte dello S. circa i rischi del cantiere connessi alla "pianificazione della commessa Bordeaux" relativa alla realizzazione del ponte, tanto che nella lettera dell'11.01.2010 e anche nella riunione dell'8.10.2010 aveva rimarcato ai preposti la necessità di tenere sgombre le aree dedicate ai manufatti tenendo conto dell'effetto domino, intralci, inciampi, sporco e disordine" e aveva ricordato le principali misure di sicurezza da adottare in fase di movimentazione delle travi. Ciò che è mancato sottolinea la Corte è proprio l'attività di vigilanza e direttive specifiche nella concreta organizzazione a fronte di una prassi foriera di rischi specifici che comportava vantaggi per l'azienda, con risparmio di risorse umane per ciascun turno e che avrebbe necessitato da parte del direttore, con funzioni in materia di sicurezza sul lavoro, una concreta attività finalizzata ad evitare il protrarsi della modalità pericolosa di lavorazione mettendo in atto tutte le misure organizzative necessarie di sensibilizzazione dei preposti e dei lavoratori dipendenti ( art. 18 comma 1 lett. f e comma 3 bis d.lvo 81/2008). Argomenta la Corte che proprio la condotta colposa e negligente di aver tollerato, avallato e non corretto prassi lavorative pericolose ha costituito il presupposto dell'infortunio mortale in quanto sia la movimentazione della trave lunga oltre 10 metri da parte di un solo operatore che la presenza dell'armadietto metallico nell'area di stoccaggio e movimento terra non erano percepite dai preposti e dagli operai addetti come rischiose per la incolumità fisica essendo mancata quella attività di formazione, sensibilizzazione, vigilanza e organizzazione specifica che competeva allo S. nella sua qualità di Direttore.

2.3 Va, infine, ricordato quanto al secondo motivo che la interruzione del nesso di condizionamento, a causa del comportamento imprudente del lavoratore, da solo sufficiente a determinare l'evento, secondo i principi giuridici enucleati dalla dottrina e dalla giurisprudenza (Sez. U, n. 38343 del 24/04/2014, Espenhahn e altri, Rv.261106, in motivazione; Sez. 4, n. 33329 del 05/05/2015, Rv.264365; Sez. 4, n. 49821 del 23/11/2012, Rv. 25409) richiede che la condotta si collochi in qualche guisa al di fuori dell'area di rischio definita dalla lavorazione in corso. Tale comportamento è «interruttivo» non perché «eccezionale» ma perché eccentrico rispetto al rischio lavorativo che il garante è chiamato a governare (Sez.4 n.15124 del 13.12.2016,Rv.269603).

La giurisprudenza di legittimità è ferma nel sostenere che non possa discutersi di responsabilità (o anche solo di corresponsabilità) del lavoratore per l'infortunio quando il sistema della sicurezza approntato dal datore di lavoro presenti delle criticità (Sez.4, n. 22044 del 2.05.2012,n.m; Sez.4, n. 16888, del 7/02/2012,Rv.252373). Le disposizioni antinfortunistiche perseguono, infatti, il fine di tutelare il lavoratore anche dagli infortuni derivanti da sua colpa, onde l'area di rischio da gestire include il rispetto della normativa prevenzionale che si impone ai lavoratori, dovendo il datore di lavoro dominare ed evitare l'instaurarsi, da parte degli stessi destinatari delle direttive di sicurezza, di prassi di lavoro non corrette e per tale ragione foriere di pericoli (Sez.4, n.4114 del 13/01/2011, n.m.; Sez.F, n. 32357 del 12/08/2010, Rv. 2479962).
La Corte territoriale ha fatto corretta e coerente applicazione dei principi giuridici sopra esposti; ha evidenziato che la condotta del P.R. non era stata pertanto né imprevedibile nè esorbitante e non poteva perciò fornire alcuna giustificazione all'indagato, titolare di un'autonoma posizione di garanzia, che aveva omesso di svolgere i compiti connessi all'adeguata osservanza delle misure di sicurezza, di vigilanza., di formazione e organizzazione del lavoro nel rispetto delle norme di prevenzioni degli infortuni e in particolare del DVR impedendo e avallando prassi che si discostavano dalle procedure di sicurezza ( fol.13 e 14).
3. Alla dichiarazione di inammissibilità del ricorso segue la condanna del ricorrente al pagamento delle spese processuali e della somma di euro 2000,00 a favore della Cassa delle ammende oltre alla rifusione in solido delle spese in favore della parte civile liquidate come indicato nel dispositivo.



P.Q.M.


Dichiara inammissibile il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle spese processuali e della somma di euro 2000,00 in favore della Cassa delle Ammende.
Così deciso il 22.09.2020