Categoria: Cassazione penale
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Cassazione Penale, Sez. 4, 23 ottobre 2020, n. 29457 - Sfruttamento dei lavoratori addetti all'agricoltura


 

Presidente: CIAMPI FRANCESCO MARIA
Relatore: NARDIN MAURA Data Udienza: 24/09/2020
 

Fatto


1. Con ordinanza del 6 febbraio 2020 il Tribunale per il riesame di Reggio Calabria ha rigettato l'istanza di riesame proposta da L.C. avverso l'ordinanza del G.I.P. del Tribunale di Palmi, con la quale è stata applicata al medesimo la custodia cautelare in carcere, in quanto gravemente indiziato dei delitti di cui all'art. 603 bis comma 1A, nn. 1) e comma 4A, nn. 1) e 3) cod. pen., contestatigli per avere reclutato manodopera allo scopo di destinarla al lavoro presso l'azienda agricola Le Cerasare di Melicucco, approfittando dello stato di bisogno di lavoratori extracomunitari, in condizioni di indigenza, riconoscendo loro una retribuzione palesemente difforme da quella prevista dai contratti collettivi nazionali e provinciali e comunque sproporzionata al lavoro prestato; violando ripetutamente la normativa sull'orario di lavoro, sui riposi settimanali, sull'aspettativa obbligatoria e sulle ferie.
2. Il provvedimento dà atto che il procedimento è scaturito da un'articolata attività di indagine riguardante lo sfruttamento dei lavoratori addetti all'agricoltura, nella Piana di Gioia Tauro, a mezzo dell'attività di 'caporali', ovverosia di soggetti che, avendo acquisito una posizione di preminenza rispetto agli altri lavoratori, in ragione del loro prolungato soggiorno in Italia, effettuano il reclutamento dei braccianti, contrattando per loro la retribuzione con il datore di lavoro, talvolta seguendo lo schema del contratto collettivo, talaltra sulla base della commisurazione del compenso 'a cassetta', così realizzando il massimo sfruttamento delle energie fisiche dei lavoratori, peraltro condotti a pagamento sui fondi agricoli, dai caporali stessi. In particolare, l'ordinanza dà atto che il compendio indiziario nei confronti di L.C. emerge da una serie di filmati, relativi a riprese sui luoghi di reclutamento e da servizi di osservazione, da cui si ricava che l'indagato si recava quotidianamente, con un furgone di proprietà di S.M., presso la tendopoli di San Ferdinando per ivi prelevare, fra le ore 6.30 e le ore 7.30, lavoratori di origine africana, vestiti con tute da lavoro agricolo, per condurli nei campi. A seguito dell'osservazione da parte delle forze dell'ordine, secondo il provvedimento del Tribunale del riesame, sono stati disposti i controlli del 18, 24 e 27 novembre 2018. Nel corso del primo, era emerso che il furgone, condotto da L.C. su cui erano stati fatti salire i lavoratori prelevati presso la tendopoli, si era diretto all'azienda Le Cerasare. Qui venivano identificati V.G. amministratore della società, l'indagato e gli occupanti del veicolo, i quali dichiaravano di lavorare per l'azienda, con regolare contratto di lavoro. In occasione del secondo controllo, invece, dopo essersi diretto verso l'azienda Le Cerasare, l'indagato -nuovamente alla guida del veicolo che trasportava i lavoratori, reclutati presso la tendopoli, alle ore 6,20- non si arrestava avanti all'azienda, ma giunto nei pressi, proseguiva, per essere successivamente fermato dalle forze dell'ordine, nella zona industriale di San Ferdinando, intorno alle 7.15. Nella circostanza venivano identificati diversi lavoratori già identificati il 18 novembre, che successivamente, il 27 novembre, nuovamente ritrovati a bordo del furgone condotto da L.C. ed identificati, venivano interrogati dalla p.g. In sede S.I.T. i lavoratori rendevano dichiarazioni convergenti riferendo di essere impiegati nella raccolta degli agrumi presso l'azienda agricola Le Cerasare di Melicucco, con il titolare della quale, secondo i dichiaranti, teneva rapporti L.C., che li prelevava la mattina presso la tendopoli, e con il furgone li conduceva nei luoghi di lavoro. I lavoratori riferivano di percepire una retribuzione giornaliera di 30€ in contanti, da cui era detratta, in favore dell'indagato, la somma di 3€ per il trasporto. L'orario di lavoro era di 8 ore giornaliere, senza riposi settimanali, con un'ora di pausa per il pranzo al quale i medesimi dovevano provvedere personalmente, mentre nessun corso di formazione per la sicurezza sul lavoro era mai stato loro impartito, nè erano stati loro forniti presidi antinfortunistici. I lavoratori descrivevano le condizioni della tendopoli di San Ferdinando, ovvero dei containers di Testa Dell'acqua, ove affermavano di vivere in situazioni igieniche degradanti. A siffatto quadro, secondo il provvedimento, va aggiunta l'analisi effettuata, con il loro consenso, sui telefoni cellulari dei braccianti da cui emerge l'assenza di contatti con il datore di lavoro, mentre dall'analisi del traffico telefonico del telefono dell'indagato si rilevavano costanti contatti con un numero di telefono cellulare, in uso alla ditta Le Cerasare. Dal compendio ricavabile dalle indagini il Tribunale, confermando il provvedimento del GIP, trae la sussistenza di gravi indizi di colpevolezza a carico di L.C., in relazione ai reati di cui all'art. 603 bis comma 1, n. 1) e comma 4, nn. 1) e 3), descritti nell'imputazione provvisoria, respingendo le doglianze difensive relative alla mancanza di veridicità delle dichiarazioni dei braccianti escussi, in sede di sommarie informazioni ritenendole avvalorate dai riscontri contenuti nei filmati e dalle descrizioni dei servizi di osservazione della PG.
Il Tribunale per il riesame sottolinea che la retribuzione contrattuale prevede il pagamento di una somma giornaliera di €45,00 per 6 ore e mezza di lavoro, mentre ai braccianti veniva corrisposta la somma di €30,00 per 8 ore di lavoro, da cui erano detratti €3,00 per il trasporto mentre non era assicurata la fruzione dei riposi settimanali e festivi. Il Tribunale inoltre, sottolinea la precarietà delle condizioni abitative dei lavoratori presso la tendopoli ed i containers ove venivano alloggiati - riscontrata dalle videoriprese - caratterizzata da condizioni sanitarie degradanti - in assenza di impianti idrici ed elettrici - ed al sovraffollamento (essendo ivi ospitate tremila persone) , a causa del quale si erano verificati diversi incendi il ferimento e sinanco la morte di alcuni braccianti, come documentato dalla nota di PG in atti. Ciò premesso il collegio della cautela afferma la sussistenza della condotta di approfittamento da parte dell'indagato, avendo questi trattenuto rapporti costanti con i lavoratori, reclutandoli per conto del datore di lavoro nella consapevolezza della loro condizione di bisogno, chiaramente evincibile dalle condizioni abitative della tendopoli presso la quale si recava per prelevarli. L'ordinanza, infine, considerato grave il compendio indiziario, trae dalla ritenuta professionalità dimostrata dall'indagato e dalla trasgressività dei suoi comportamenti, inclini alla prevaricazione, nonché dalla sua vicinanza con ambienti criminali, l'esigenza di mantenere la misura della massima cautela, al fine di evitare la reiterazione del reato, anche tenuto conto del fatto che L.C. non gode di fissa dimora e che ciò non assicura, il rispetto delle eventuali prescrizioni correlate ad un provvedimento meno restrittivo.
3. Avverso l'ordinanza propone ricorso per cassazione L.C. a mezzo del suo difensore, affidandolo a due motivi.
4. Con il primo, il ricorrente lamenta la falsa applicazione dell'art. 191, cod. proc. pen. ed il vizio di motivazione, sotto il profilo del travisamento della prova. Assume che il Tribunale, nel rigettare l'istanza di riesame proposta dal ricorrente, ha travisato il contenuto delle sommarie informazioni testimoniali rese, in data 27 agosto 2018, da M.M., alle ore 7,50, da T.L. alle ore 8,10, da B.A., alle ore 8,40, da K.M. alle ore 8,55, da N.S., alle ore 8,55, da D.C. alle ore 9,05 ed alle ore 9,10, da D.L., alle ore 9,05 ed alle ore 9,20, da T.A.alle ore 9,20 ed alle ore 9,25, da A.S. alle ore 9,30 e alle ore 9,35, da D.L., alle ore 9,35 ed alle ore 9,40. Rileva che le S.I.T., raccolte a distanza di pochi minuti una dall'altra, o in concomitanza le une con le altre, da parte soggetti diversi, sono state formate con la tecnica del 'copia-incolla', tanto da riportare i medesimi errori di battitura (per esempio 'a credito', anziché 'accredito'), cosicché i lavoratori ghanesi, gambiani e malesi, sono divenuti, nella verbalizzazione, connazionali dei senegalesi. Assume che, ciononostante, il Tribunale si è limitato a ritenere genuine le sommarie informazioni raccolte, sostenendo l'assenza di ragioni di risentimento dei lavoratori verso l'indagato, posto che era il medesimo questi a procurar loro il lavoro. E ciò, senza giustificare -in alcun modo- le ragioni dell'affidabilità delle dichiarazioni dei braccianti, la cui modalità di verbalizzazione, finisce per stravolgerne il valore indiziario. Osserva che, nondimeno, il dubbio sulla genuinità delle dichiarazioni rese dai lavoratori in sede di sommarie informazioni, stante la tecnica di formazione, deve condurre, secondo la giurisprudenza di legittimità, alla dichiarazione di inutilizzabilità delle medesime.
5. Con il secondo motivo lamenta la violazione della legge processuale, avuto riguardo alla disposizione contenuta nell'art. 275, commi 2 bis e 3 bis cod. proc. pen.. Sottolinea che il Collegio, nel rigettare il motivo formulato con l'istanza di riesame, in ordine alla prognosi circa la futura applicazione di una pena inferiore a tre anni ed alla conseguente inapplicabilità della misura cautelare della custodia in carcere, si è limitato ad affermare che la valutazione sulla misura della pena spetta al giudice di merito, senza svolgere il doveroso vaglio sulle ragioni per le quali la pena in concreto applicata dovrebbe superare detta soglia, anche avuto riguardo all'incensuratezza dell'indagato ed alla concedibilità delle attenuanti generiche, che potrebbe condurre la sanzione addirittura al di sotto dei due anni di reclusione, con conseguente concessione della sospensione condizionale della pena. Censura, altresì, la carenza di motivazione in relazione all'asserita inidoneità degli arresti domiciliari con braccialetto elettronico, specificamente eccepita dal ricorrente con la memoria depositata, nel giudizio del riesame avverso l'ordinanza genetica. Conclude per l'annullamento dell'ordinanza impugnata.

 

Diritto


1. Il ricorso è infondato.
2. E' opportuno, preliminarmente, ricordare quanto ripetutamente affermato da questa Corte sui limiti del giudizio di legittimità in tema di misure cautelari personali, ovverosia che quando è denunciato, con ricorso per cassazione il vizio di motivazione "in ordine alla consistenza dei gravi indizi di colpevolezza" è consentito "al giudice di legittimità, in relazione alla peculiare natura del giudizio ed ai limiti che ad esso ineriscono, la sola verifica delle censure inerenti la adeguatezza delle ragioni addotte dal giudice di merito ai canoni della logica e ai principi di diritto che governano l'apprezzamento delle risultanze probatorie e non il controllo di quelle censure che, pur investendo formalmente la motivazione, si risolvono nella prospettazione di una diversa valutazione di circostanze già esaminate dal giudice di merito" (Sez. 2, n. 27866 del 17/06/2019 - dep. 24/06/2019, Mazzelli Franco, Rv. 276976; in precedenza Sez. 4, n. 26992 del 29/05/2013 - dep. 20/06/2013, P.M. in proc. Tiana, Rv. 255460; Sez. 4, n. 22500 del 03/05/2007 - dep. 08/06/2007, Terranova, Rv. 23701201; Sez. U, n. 11 del 22/03/2000 - dep. 02/05/2000, Audino, Rv. 21582801).
3. Con il primo motivo si articolano due profili di doglianza. Per un verso, infatti, si afferma l'inutilizzabilità delle S.I.T., in quanto la tecnica di redazione 'a ciclostile' induce il dubbio sulla genuinità della loro formazione e di quanto attestato con la verbalizzazione, con conseguente nullità della prova. Per altro verso, invece, si sostiene l'assenza di contenuto probatorio delle dichiarazioni dei lavoratori, rese in sede di 5.1.T., per essere le medesime state verbalizzate in modo tale da renderne inverosimile il contenuto, posto che esse sono state raccolte a pochi minuti di distanza le une dalle altre - talvolta escutendo per due volte il medesimo soggetto- e che hanno tutte il medesimo contenuto, compresi gli errori di dattiloscrittura
4. Invero, proprio muovendo dalle osservazioni sottoposte dall'indagato sulla recente elaborazione della giurisprudenza di legittimità (Sez. 6, n. 1361 del 04/12/2018 - dep. 11/01/2019, Zanzurino Antonio, Rv. 274839) e sulla mancanza della fede privilegiata degli atti redatti da pubblici ufficiali nel procedimento penale, la cui mera presunzione di credibilità circa l'oggetto dell'attestazione comporta il dovere di porre il loro contenuto a confronto con le obiezioni sollevate da chi ne contesta la corrispondenza al vero, il provvedimento impugnato osserva che l'attendibilità delle dichiarazioni dei lavoratori viene avvalorata da elementi esterni. La corrispondenza fra quanto verbalizzato in sede di S.I.T. e la realtà, infatti, emerge, secondo l'ordinanza, dal confronto con gli altri elementi probatori raccolti, tutti indicativi della situazione di sfruttamento descritta con l'imputazione provvisoria. Fra questi sono richiamate le immagini riprese dalle telecamere installate presso la tendopoli, i servizi di osservazione e la circostanza relativa al tentativo di L.C. di sottrarsi ad uno dei controlli, dirigendosi, con il furgone carico di braccianti, in luogo diverso dall'azienda agricola, superandola in altra direzione. Ed infine, a riprova dell'attività di caporalato svolta la L.C. viene evidenziato il mantenimento dei contatti, in via esclusiva, con il datore di lavoro, in assenza di qualsiasi rapporto diretto fra i lavoratori e quest'ultimo.
5. La critica secondo la quale le argomentazioni del Tribunale non affrontano il contenuto effettivo della doglianza contenuta nel gravame cautelare e riproposta in questa sede, circa la provenienza delle dichiarazione verbalizzate dai soggetti escussi in sede di S.I.T., di cui si mette in discussione la corretta attestazione, pur apparentemente giustificata dalla sintesi del percorso motivazionale sul punto, non coglie nel segno.
Seppure, infatti, la motivazione del giudice del riesame si soffermi sulla corrispondenza fra il contenuto delle dichiarazioni e i riscontri rappresentati dagli altri elementi indiziarii acquisiti con le indagini, omettendo di rendere esplicite le ragioni per le quali le anomalie riscontrate nella verbalizzazione e sottoposte al giudizio di riesame possono essere superate, senza far venir meno la riconducibilità ai singoli dichiaranti delle dichiarazioni verbalizzate, tuttavia, ciò non implica l'inutilizzabilità delle dichiarazioni medesime, come preteso dal ricorrente. Non solo perché l'ipotesi non rientra fra quelle di cui all'art. 191 cod. proc. civ., non trattandosi di prova assunta in violazione di divieti di legge, ma perché il Tribunale per il riesame, pur non articolando in modo completo il ragionamento, giunge sostanzialmente alla conclusione che le obiezioni svolte non sono idonee ad intaccare la presunzione di credibilità degli atti, posto che quanto risultante dalla verbalizzazione trova riscontri esterni.
La sintetica esposizione motivazionale, che manca di dare risalto al primo quesito, sull'attribuibilità ai dichiaranti delle narrazioni verbalizzate, realizza, nondimeno, la valutazione delle contestazioni formulate, constatando che le dichiarazioni raccolte riproducono lo stesso quadro emergente dagli altri elementi di indagine, sicché le affermazioni contenute nei verbali di sommarie informazioni testimoniali-ancorché riproducenti le affermazioni dei dichiaranti in modo seriale, con la tecnica del 'copia-incolla'- vanno ricondotte ai lavoratori escussi.
Si tratta, dunque, di un ragionamento che, in assenza di una diversa prospettazione sulla sussistenza di una vera e propria falsificazione degli atti relativi alle dichiarazioni dei lavoratori, supera i rilievi di incoerenza delle verbalizzazioni compendiando nel giudizio sulla valutazione della credibilità del contenuto delle dichiarazioni, il giudizio sulla loro provenienza.
Ciò, tuttavia, soddisfa proprio il criterio individuato dall'orientamento testé richiamato, che nega la natura fidefacente, nel processo penale, dell'atto redatto dal pubblico ufficiale (contra, da ultimo Sez. 2, n. 9544 del 19/02/2020, Bianchi Danilo, non massimata), richiedendo al giudice di confrontarsi con le contestazioni formulate.
6. D'altro canto, il ricorrente non propone una diversa lettura del complesso degli elementi considerati dai giudici della cautela, volta a di svuotare di consistenza la lettura fornita dall'ordinanza impugnata, limitandosi a considerazioni atomistiche, prive di contenuto destrutturante. Il Collegio del riesame, al contrario, pur sempre rimanendo nell'ambito di un giudizio di natura indiziaria proprio della sede cautelare, ricostruisce i fatti attraverso un ragionamento privo di vizi logici motivando congruamente l'univocità degli elementi a disposizione in relazione all'accertamento della vicenda, che viene esaminata in modo specifico, ancorché le conclusioni tratte siano difformi da quelle sottoposte dal ricorrente.
7. Il secondo motivo è parimenti infondato.
8. Contrariamente a quanto assunto con il ricorso, infatti, il Collegio della cautela formula una prognosi negativa sull'applicazione di una pena inferiore a quella prevista dall'art. 163 cod. pen., o comunque inferiore ai tre anni, ai sensi dell'art. 275, comma 2 bis cod. proc. pen., facendo riferimento al limite della pena edittale ed alla gravità dei fatti contestati e non, come lamentato, alla valutazione del giudice di merito, alla quale fa riferimento esclusivamente per sottolineare che allo stadio cautelare non è possibile formulare previsioni sugli sviluppi del processo.
La decisione, invero, pone in relazione la gravità del fatto, come descritta dall'ordinanza, con la fattispecie astratta che, va ricordato, è contestata ai sensi dell'art. 603 bis, commi 1 e 4 cod. pen., nella forma aggravata, evidentemente ritenendo che la condotta, per come emergente in fase cautelare, meriti una sanzione superiore al medio edittale.
D'altro canto, deve ribadirsi in questa sede che "In tema di applicazione o di revoca delle misure cautelari personali, la valutazione prognostica del giudice circa la concedibilità della sospensione condizionale della pena, richiesta dall'art. 275, comma 2-bis, cod. proc. pen., non può tenere conto dell'eventuale applicazione delle diminuenti previste per riti speciali per i quali l'imputato ha preannunciato di optare, in assenza di elementi concreti (quali, ad esempio, la presenza di una istanza già formalizzata di giudizio abbreviato non condizionato o di applicazione di pena già munita dal consenso del PM) che consentono di ritenere concretamente prevedibile l'accesso a tali forme alternative di definizione del procedimento. (Sez. 3, n. 36918 del 13/05/2015, Agostinone, Rv. 265176).
Né può ritenersi che il giudice della cautela operando il giudizio prognostico di cui all'art. 275, comma 2 bis cod. proc. pen., debba formulare una valutazione sull'eventuale favorevole bilanciamento delle circostanze attenuanti ed attenuanti generiche con le aggravanti contestate, non solo perché si tratta di un giudizio rimesso esclusivamente al giudice di merito, dipendente anche dal comportamento processuale ed extraprocessuale dell'interessato (si pensi astrattamente all'ipotesi dell'integrazione dell'attenuante di cui all'art. 62, n. 4 cod. pen.), che resta al di fuori della 'conoscibilità' del giudice della cautela, ma proprio perché la prognosi di quest'ultimo non può che scaturire dagli elementi a disposizione nella fase procedimentale delle indagini, che riguardano, da un lato, la pena edittale, dall'altro la gravità della condotta e la personalità dell'interessato.
Con la conseguenza che il riferimento a detti parametri soddisfa i requisiti del giudizio di cui all'art: 275, comma 2 bis cod. proc. pen..
9. Da ultimo, va rigettato anche l'ultimo profilo di doglianza relativo alla carenza di motivazione in ordine all'inidoneità degli arresti domiciliari con procedure di controllo (c.d. braccialetto elettronico) ad assicurare le esigenze cautelari.
La censura non può trovare accoglimento. Invero, nel corpo dell'ordinanza si colgono le ragioni del diniego, relative all'assenza di un domicilio di riferimento che renda possibile i controlli. Il Collegio, infatti, dà atto che il ricorrente è stato controllato, negli ultimi anni, in diverse regioni italiane e che all'interno della tendopoli di San Ferdinando non appare possibile effettuare un valido contenimento, anche per la difficoltà di verifica della presenza dell'indagato.
10. Il ricorso va, dunque, rigettato con condanna del ricorrente al pagamento delle spese processuali.

 

P.Q.M.


Rigetta il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle spese processuali. Manda alla Cancelleria per gli adempimenti di cui all'art. 94, comma 1-ter, disp.-att. cod. proc. pen..

Così deciso il 24/9/2020