Cassazione Penale, Sez. 4, 26 ottobre 2020, n. 29610 - Caduta dalla scala a forbice durante la pulizia del lampadario


 

Presidente: PICCIALLI PATRIZIA
Relatore: CENCI DANIELE Data Udienza: 14/10/2020
 

Fatto
 


1. La Corte di appello di Milano il 28 gennaio 2029, in parziale riforma della sentenza con cui il Tribunale di Milano il 13 settembre 2017, all'esito del dibattimento, ha riconosciuto P.N. responsabile del reato di lesioni colpose, con violazione della disciplina antinfortunistica, nei confronti di A.M., in conseguenza condannandolo, senza circostanze attenuanti, alla pena stimata di giustizia, ha concesso all'imputato i benefici della sospensione condizionale della pena e della non menzione; con conferma nel resto.

2. I giudici di merito hanno così - concordemente - ricostruito l'accaduto.
Il 24 aprile 2013 la signora A.M., dipendente con mansioni di operaia (addetta alle pulizie dei lampadari ed a piccole manutenzioni non elettriche) della s.r.l. "New Ghibli", il cui amministratore unico era P.N., essendo salita su una scala portatile del tipo "a forbice" per pulire un grosso lampadario del Teatro alla Scala di Milano, a causa del cedimento della gamba sinistra, è caduta a terra, ha battuto la schiena sulla scala e si è fratturata una vertebra, con conseguente impossibilità di attendere alle ordinarie occupazioni per novantacinque giorni.
La donna era reduce da un precedente infortunio sul lavoro, avvenuto sette mesi prima, il 25 settembre 2012, in occasione del quale si era fatturata in più punti la gamba sinistra (tibia, perone e malleolo), con impossibilità di attendere alle ordinarie occupazioni per centotrentanove giorni e con postumi permanenti (placche e numerose viti), sicché il medico del lavoro (dr. Luca Rosario T.) in data 8 marzo 2013 aveva espresso un giudizio di idoneità al lavoro condizionato però allo svolgimento di lavori non in altezza e non comportanti l'utilizzo di scale portatili.
Secondo quanto ricostruito dai giudici di merito, la conformazione dei luoghi e la ristrettezza degli spazi non consentiva, per l'attività da svolgersi la mattina dell'infortunio, l'uso, in alternativa alla scala, di un trabatello cioè di una piccola impalcatura fatta di tubi e di tavole.
L'incarico di svolgere il lavoro nel corso del quale A.M. era caduta dalla scala era stato dato alla donna da un geometra dell'ufficio tecnico del Teatro alla Scala.

3. Ricorre per la cassazione della sentenza l'imputato, tramite difensore di fiducia, affidandosi a tre motivi, con i quali denunzia carenza di motivazione (tutti i motivi) ed illogicità della stessa (il terzo motivo), oltre a travisamento della prova (il primo).

3.1. Con il primo motivo, in particolare, censura le ritenute carenza e contraddittorietà della motivazione per travisamento della prova, in quanto - ad avviso del ricorrente - la sentenza impugnata fonderebbe la conferma della condanna su circostanze che non avrebbero riscontro nell'istruttoria, che, anzi, smentirebbe le stesse.
Si richiamano passaggi tratti da atti istruttori (deposizione della sig.ra A.M., di altri lavoratori dipendenti e del medico aziendale) che dimostrerebbero, diversamente da quanto si legge nella sentenza di merito, non essere conforme al vero:
che la persona offesa non poteva rifiutarsi di svolgere il lavoro che le era richiesto, trovandosi in posizione subordinata, essendo, invece, in grado di gestire autonomamente il proprio lavoro e di chiedere aiuto, se necessario;
che la persona offesa non doveva essere destinata a lavori in altezza comportanti l'uso di scale, come da certificato del medico aziendale;
che l'imputato sarebbe stato assente dal luogo di lavoro e si sarebbe disinteressato delle modalità di svolgimento dello stesso, adibendo la donna ad attività che comportavano in via ordinaria l'uso di scale, mentre, in realtà, era stata assegnata alla mansione svolta al momento dell'infortunio in via eccezionale e da parte dell'ufficio tecnico della Scala, senza che il datore di lavoro ne fosse informato.
3.2. Mediante il secondo motivo lamenta carenza di motivazione circa il concorso di colpa della persona offesa nella causazione dell'evento, poiché la donna sarebbe stata imprudente: «Ella, infatti, esperta e consapevole dei suoi problemi fisici nonché delle prescrizioni del medico aziendale, potendo chiedere l'invio di altro personale a fronte della richiesta emergenziale da parte dell'ingegnere della Scala di intervenire in altezza, aveva deciso in autonomia di svolgere da sola il lavoro che richiedeva l'utilizzo della scala» ( così alla p. 4 del ricorso).
Tale tema sarebbe stato del tutto ignorato dalla sentenza impugnata.
3.3. Infine, il ricorrente si duole delle ritenute carenza, mera apparenza ed illogicità della motivazione in punto di diniego delle circostanze attenuanti generiche.
Gli argomenti spesi per negare le circostanze sarebbero i medesimi già impiegati per affermare la penale responsabilità dell'imputato, con sovrapposizione e duplicazione - si ritiene - delle valutazioni.
Illogico sarebbe il riferimento all'assenza dell'imputato dal luogo di lavoro dovendo lo stesso seguire duecento dipendenti della ditta "New Ghibli" in più cantieri e, comunque, essendo personalmente presente alla Scala, come riferito da un teste, quattro volte all'anno, essendo in ogni caso presente un suo delegato (Ivan Tu.) con cadenza quindicinale, essendo la persona offesa in contatto con l'azienda e risultando essere stata la donna regolarmente visitata dal medico aziendale.
Si chiede, dunque, l'annullamento della sentenza impugnata.




Diritto
 



1. Premesso che il reato non è prescritto (infatti: 23 aprile 2013 + sette anni e sei mesi = 23 ottobre 2020), il ricorso è infondato e deve essere rigettato.

2. Quanto al primo motivo (travisamento circa l'an della responsabilità), esso è, in realtà, la mera reiterazione del primo motivo di appello (p. 4 della sentenza impugnata), al quale ha fornito adeguata risposta la sentenza impugnata (p. 6), che deve essere letta insieme a quella di primo grado (pp. 6- 7). Infatti, secondo tradizionale insegnamento della S.C., da cui non vi è ragione alcuna di discostarsi, «Il giudice di legittimità, ai fini della valutazione della congruità della motivazione del provvedimento impugnato, deve fare riferimento alle sentenze di primo e secondo grado, le quali si integrano a vicenda confluendo in un risultato organico ed inscindibile» (Sez. 2, n. 11220 del 13/11/1997, Ambrosina, Rv. 209145-01; in conformità, tra le numerose altre successive, Sez. 6, n. 23248 del 07/02/2003, Zanotti ed altri, Rv. 225671-01; Sez. 6, n. 11878 del 20/01/2003, Vigevano ed altri, Rv. 224079-01; Sez. 3, n. 4700 del 14/02/1994, Scauri, Rv. 197497-01; più di recente, v. Sez. 5, n. 14022 del 12/01/2016, Genitore e altro, Rv. 266617-01).
Ebbene, i giudici di merito hanno sottolineato la estrema superficialità consistita nell'adibire la persona offesa, la unica dipendente della s.r.l. "New Ghibli" che era impegnata presso il Teatro alla Scala di Milano, nonostante il pregresso grave infortunio recentemente patito e nonostante la prescrizione del sanitario, proprio a mansioni comportanti ordinariamente l'impiego di scale e lo svolgimento di lavori in altezza, essendo l'appalto vinto dalla "New Ghibli" relativo proprio alla pulizia dei lampadari ed esistendo situazioni che, per la concreta conformazione dei luoghi, secondo le informazioni che si traggono dalle sentenze, non consentivano l'uso del trabatello.
Il richiamo a stralci dell'istruttoria, riassunti dal ricorrente nell'atto di impugnazione, non soltanto è generico ma non tiene conto che si è in presenza di una doppia conforme e che non si apprezza alcun travisamento della prova o dei fatti.
Al riguardo, si rammenta che, nell'esaminare le doglianze attinenti alla tenuta argomentativa della sentenza, particolarmente rigorosi sono i limiti del controllo di legittimità sulla sentenza di merito (cfr., a mero titolo di esempio, tra le numerose, le considerazioni svolte nella parte motiva della sentenze di Sez. 4 n. 19710 del 03/02/2009, Buraschi, Rv. 243636-01, specc. ai punti nn. 4.1. e 4.2.).
Ai sensi dell'art. 606, comma 1, lett. e), cod. proc. pen., infatti, il controllo di legittimità sulla motivazione non concerne né la ricostruzione dei fatti né l'apprezzamento operato dal giudice di merito, ma è circoscritto alla verifica che il testo dell'atto impugnato risponda a due requisiti che lo rendono insindacabile:
a) l'esposizione delle ragioni giuridicamente significative che lo hanno determinato;
b) l'assenza di difetto o contraddittorietà della motivazione o di illogicità evidenti, ossia la congruenza delle argomentazioni rispetto al fine giustificativo del provvedimento.
Con la precisazione, quanto all'illogicità della motivazione, come vizio denunciabile, che deve essere evidente ("manifesta illogicità") cioè di spessore tale da risultare percepibile ictu oculi, dovendo il sindacato di legittimità essere limitato a rilievi di macroscopica evidenza, restando ininfluenti le incongruenze minime e considerandosi disattese le deduzioni difensive che, anche se non espressamente confutate, siano logicamente incompatibili con la decisione, purché le ragioni del convincimento siano spiegate in modo logico ed adeguato.
In altri termini, l'illogicità della motivazione, deve risultare percepibile ictu oculi, in quanto l'indagine di legittimità sul discorso giustificativo della decisione ha un orizzonte circoscritto, dovendo il sindacato demandato alla Corte di cassazione limitarsi, per espressa volontà del legislatore (non modificata dalla novella sul testo dell'art. 606, comma 1, lett. e, cod. proc. pen. ad opera della legge 20 febbraio 2006, n. 46, art. 8, comma 1, lett. a e b), a riscontrare l'esistenza di un logico apparato argomentativo, senza possibilità di verifica della rispondenza della motivazione alle acquisizioni processuali.
Inoltre, il vizio della "manifesta illogicità" della motivazione deve risultare dal testo del provvedimento impugnato, nel senso che il relativo apprezzamento va effettuato considerando che la sentenza deve essere logica, come si è detto con espressione particolarmente efficace, "rispetto a sé stessa" cioè rispetto agli atti processuali citati nella stessa (ovvero ad altri che devono essere specificamente indicati nel ricorso) ed alla conseguente valutazione effettuata dal giudice di merito, che si presta a censura soltanto se, appunto, manifestamente contrastante ed incompatibile con i principi della logica.
Sicché, in sintesi, il sindacato del giudice di legittimità sul discorso giustificativo del provvedimento impugnato deve mirare a verificare che la motivazione della pronuncia:
A) sia "effettiva", non già meramente apparente, cioè realmente idonea a rappresentare le ragioni che il giudicante ha posto a base della decisione;
B) non sia "manifestamente illogica", in quanto risulti sorretta, nei suoi punti essenziali, da argomentazioni non viziate da evidenti errori nell'applicazione delle regole della logica;
C) non sia internamente "contraddittoria", ovvero sia esente da incongruenze insormontabili tra le sue diverse parti o da inconciliabilità logiche tra le affermazioni in essa contenute;
D) non risulti logicamente "incompatibile" con "altri atti del processo" (indicati in termini specifici ed esaustivi dal ricorrente nei motivi del suo ricorso per cassazione: c.d. autosufficienza dell'impugnazione) in termini tali da risultarne vanificata o radicalmente inficiata sotto il profilo logico.
Nel vigente ordinamento alla Corte di cassazione non è consentito procedere ad una rinnovata valutazione dei fatti, magari finalizzata, nella prospettiva del ricorrente, ad una ricostruzione dei medesimi in termini diversi da quelli operati dal giudice del merito; così come non è consentito che, attraverso il richiamo agli "atti del processo", possa esservi spazio per una rivalutazione dell'apprezzamento del contenuto delle prove acquisite, trattandosi di apprezzamento riservato in via esclusiva al giudice del merito: infatti al giudice di legittimità resta preclusa - in sede di controllo della motivazione - la rilettura degli elementi di fatto posti a fondamento della decisione o l'autonoma adozione di nuovi e diversi parametri di ricostruzione e valutazione dei fatti, ipoteticamente preferibili rispetto a quelli adottati dal giudice del merito perché ritenuti maggiormente plausibili o dotati di una migliore capacità esplicativa, in quanto un tale modo di procedere trasformerebbe la Corte di legittimità in un ulteriore giudice del fatto.
Dinanzi a doppia pronuncia di eguale segno, c.d. "doppia conforme", come nel caso di specie, dunque, il vizio di travisamento della prova (nell'accezione di vizio di tale gravità e centralità da scardinare il ragionamento probatorio, rendendo illogica la motivazione per la essenziale forza dimostrativa del dato processuale / probatorio non considerato ovvero alterato quanto alla sua portata informativa, secondo la nozione pacificamente accolta nella giurisprudenza di legittimità: v., tra le numerose, Sez. 6, n. 5146 del 16/01/2014, Del Gaudio e altri, Rv. 258774-01; Sez. 2, n. 47035 del 03/10/2013, Giugliano, Rv. 257499-
01; Sez. 4, n. 19710 del 03/02/2009, Buraschi, Rv. 243636-01; Sez. 1, n. 24667 del 15/06/2007, Musumeci, Rv. 237207-01) può essere rilevato in sede di legittimità soltanto nel caso in cui il ricorrente rappresenti, con specifica deduzione, che l'argomento probatorio asseritamente travisato è stato per la prima volta introdotto come oggetto di valutazione nella motivazione del provvedimento di secondo grado.
Invero, sebbene in tema di giudizio di cassazione, in forza della novella dell'art. 606, Comma 1, lett. e), cod. proc. pen. ad opera della richiamata legge n. 46 del 2006, risulta sindacabile il vizio di travisamento della prova (che sia desumibile dal testo del provvedimento impugnato o da altri atti specificamente indicati dal ricorrente), travisamento che si ha quando nella motivazione si fa uso di un'informazione rilevante che non esiste nel processo o si omette la valutazione di una prova de.cisiva, esso può essere fatto valere nell'ipotesi in cui l'impugnata decisione abbia riformato quella di primo grado, non potendo, nel caso di c.d. doppia conforme, superarsi il limite del devolutum con recuperi in sede di legittimità, salvo il caso in cui il giudice d'appello, per rispondere alla critiche dei motivi di gravame, abbia richiamato atti a contenuto probatorio non esaminati dal primo giudice (cfr., tra le tante, Sez. 4, n. 4060 del Musumeci, Rv. 237207-01).
E' doveroso, dunque, prendere atto che nel caso di specie la Corte di appello ha riesaminato lo stesso identico materiale probatorio già sottoposto al Tribunale, senza operare richiami a dati probatori non esaminati dal primo giudice n•é introdurne di nuovi, e che, dopo aver preso atto · delle censure dell'appellante, è giunta alla medesima conclusione circa la sussistenza della penale responsabilità dell'imputato.
Sviluppando i principi suesposti, deve ritenersi che la sentenza impugnata non contenga alcun travisamento della prova o dei fatti e che, sotto il profilo del denunziato, con il primo motivo di ricorso, difetto motivazionale, regga al vaglio di legittimità, non palesandosi assenza, contraddittorietà od illogicità della motivazione.

3. Quanto al secondo motivo (concorso di colpa della persona offesa nella causazione dell'evento), si tratta, in realtà, della reiterazione del secondo motivo di appello, svolto dalla difesa in via subordinata rispetto al primo (p. 5 della sentenza impugnata) con argomentazioni generiche e meramente assertive.

Ebbene, esso è stato - in maniera indubbiamente stringata ma chiara - disatteso dai giudici di merito che, in sostanza (alle pp. 5-6 della sentenza impugnata e alle pp. 6-7 di quella del Tribunale), hanno inequivocabilmente posto in rilievo la grave ed esclusiva responsabilità dell'imputato, anche evidenziando che l'operaia, trovandosi in posizione di subordinazione, non poteva rifiutarsi di svolgere il lavoro.

4. In relazione, infine, all'ultimo motivo (mancata concessione delle circostanze attenuanti generiche), il ricorrente non si confronta effettivamente con la motivazione della sentenze di merito, che valorizzano sia la circostanza di avere la donna patito un duplice grave infortunio sul lavoro in un ristretto arco di tempo sia la illegittimità - tale riconosciuta dal giudice civile - del licenziamento intimato da P.N. alla dipendente (p. 7 della sentenza di primo grado e p. 6 di quella impugnata) subito dopo la caduta.
 

5.Consegue il rigetto del ricorso e la condanna del ricorrente, per legge (art. 616 cod. proc. pen.), al pagamento delle spese processuali.


 

P.Q.M.




Rigetta il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle spese processuali.
Così deciso il 14/10/2020.