Cassazione Penale, Sez. 4, 28 ottobre 2020, n. 29835 - Decesso del dipendente dell'impresa affidataria dei lavori di manutenzione dello stabilimento. Appalto e obblighi di cooperazione e coordinamento


 

"... Nell'ipotesi di affidamento dei lavori all'interno dell'azienda, ovvero dell'unità produttiva, ad imprese appaltatrici, i datori di lavoro: a) cooperano all'attuazione delle misure di prevenzione e protezione dai rischi sul lavoro incidenti sull'attività lavorativa oggetto dell'appalto; b) coordinano gli interventi di protezione e prevenzione dai rischi cui sono esposti i lavoratori, informandosi reciprocamente anche al fine di eliminare rischi dovuti alle interferenze tra i lavori delle diverse imprese coinvolte nell'esecuzione dell'opera complessiva". Va ribadito che, in tema di prevenzione degli infortuni sul lavoro, il datore di lavoro e gli altri responsabili della sicurezza dell'impresa hanno l'obbligo di cooperare all'attuazione delle misure di prevenzione e protezione che l'appaltatore di lavori da eseguirsi all'interno dell'azienda adotta in favore dei lavoratori alle sue dipendenze e, pertanto, assumono nei confronti di questi ultimi una posizione di garanzia in relazione ai rischi specifici connessi all'ambiente di lavoro nel quale essi sono chiamati ad operare"


 

Presidente: DOVERE SALVATORE
Relatore: PICARDI FRANCESCA
Data Udienza: 22/09/2020
 

Fatto


1. La Corte di Appello di Venezia, in parziale riforma della sentenza di primo grado, ha confermato la condanna di F.P. e G.M. per il reato di cui all'art. 589, primo e secondo comma, cod.pen., riducendo la pena (sospesa e con il beneficio della non menzione) ad un anno di reclusione per avere cagionato, in data 28 febbraio 2007, il primo in qualità di responsabile del reparto forni e il secondo in qualità di responsabile del reparto manutenzione della Saint Gobain Vetri s.p.a., con colpa consistita nella violazione degli artt. 7, comma 2, e 35, comma 2, d.lgs. n. 626 del 1994, il decesso di M.C.T. (dipendente della impresa Engineering & Service s.r.l., incaricata della manutenzione dello stabilimento), il quale, nel corso di un'operazione di riparazione, avvicinatosi ad una canala, protetta da griglie non fissate, ma solo appoggiate, tra cui vi erano spazi vuoti di circa 17 cm, vi rimaneva impigliato ed intrappolato, sprofondando nel sottostante impianto in funzione, con esito letale.
2. Avverso tale sentenza hanno tempestivamente proposto ricorso per cassazione, a mezzo del proprio difensore, gli imputati F.P. e G.M. che hanno dedotto la erronea applicazione degli artt. 40, 43 cod.pen. e 7 d.lgs. n. 626 del 1994, la contraddittorietà della motivazione ed il travisamento del fatto, sostenendo che l'evento verificatosi costituisce la concretizzazione di un rischio collegato all'attività di manutenzione, oggetto di appalto ad una impresa esterna e, cioè, di un rischio che non rientra nella sfera di signoria del committente in considerazione dell'art. 7, ultimo comma, del d.lgs. n. 626 del 1994, oggi riprodotto nell'art. 26, comma 3, del d.lgs. n. 81 del 2008, del quale, dunque, gli stessi, quali dipendenti della Saint Gobain, non possono ritenersi responsabili. Più precisamente nel ricorso si legge che "1) per la rimozione delle coclea usurata la ditta appaltatrice aveva certamente rimosso la grata di protezione; 2) la rimozione della grata di protezione sarebbe avvenuta anche se la stessa fosse stata adeguatamente fissata con viti e/o bulloni" e che "la condotta negligente causa dell'evento non è la preesistente, mancanza di fissaggio della protezione, ma l'omesso corretto riposizionamento della grata ad esito della sostituzione delle coclea usurata, già effettuata dalla ditta appaltatrice".
 

Diritto


1.Il ricorso non può essere accolto, atteso che la censura formulata si fonda su una ricostruzione dei fatti del tutto diversa da quella effettuata dai giudici di merito - ricostruzione alternativa, peraltro, proposta in modo meramente ipotetico, asserendo, senza alcun riferimento specifico agli atti processuali, che "per la rimozione delle coclea usurata la ditta appaltatrice aveva certamente rimosso la grata di protezione" e che "la rimozione della grata di protezione sarebbe avvenuta anche se la stessa fosse stata adeguatamente fissata con viti e/o bulloni". Al contrario nella sentenza impugnata, della cui motivazione non è stata denunciata alcuna lacuna, illogicità o contraddittorietà, si legge che dalla deposizione del teste C. emerge che "la decisione di rimuovere la protezione fissa e inamovibile venne presa dalla proprietaria dei macchinari per rendere più agevole le operazioni di rimozione della sabbia umida che si ammassava nella coclea e non solo e non tanto perché era in atto la manutenzione della macchina".
A ciò si aggiunga che i ricorrenti asseriscono che la condotta a cui è riconducibile l'evento letale è costituita dall'omesso corretto riposizionamento della grata ad esito della sostituzione delle coclea usurata, condotta riconducibile alla società appaltatrice della manutenzione, datrice di lavoro della vittima, e non invece dalla preesistente, mancanza di fissaggio della protezione, riconducibile alla Saint Gobain (ed ai suoi preposti), senza neppure soffermarsi sulla plausibilità del riposizionamento della grata nella originaria posizione, prescelta dall'ente proprietario, una volta espletata la riparazione in atto, e sulla incidenza causale della contestata mancanza di cooperazione, coordinamento ed informazione reciproca tra datore di lavoro ed appaltatore.
In proposito va ricordato che è inammissibile il ricorso per cassazione i cui motivi si limitino genericamente a lamentare l'omessa valutazione di una tesi alternativa a quella accolta dalla sentenza di condanna impugnata, senza indicare precise carenze od omissioni argomentative ovvero illogicità della motivazione di questa, idonee ad incidere negativamente sulla capacità dimostrativa del compendio indiziario posto a fondamento della decisione di merito (Sez. 2, n. 30918 del 07/05/2015 ud., dep. 16/07/2015, rv. 264441). Del resto, in tema di giudizio di cassazione, sono precluse al giudice di legittimità la rilettura degli elementi di fatto posti a fondamento della decisione impugnata e l'autonoma adozione di nuovi e diversi parametri di ricostruzione e valutazione dei fatti, indicati dal ricorrente come maggiormente plausibili o dotati di una migliore capacità esplicativa rispetto a quelli adottati dal giudice del merito (Sez. 6, n. 47204 del 07/10/2015 ud., dep. 27/11/2015, rv. 265482).
2. Né è stata evidenziata alcuna inosservanza o erronea applicazione dell'art. 7, comma 2, del d.lgs. n. 626 del 1994, la cui violazione è stata contestata agli imputati, disposizione applicabile ratione temporis, che prevede che nell'ipotesi di affidamento dei lavori all'interno dell'azienda, ovvero dell'unità produttiva, ad imprese appaltatrici, i datori di lavoro: a) cooperano all'attuazione delle misure di prevenzione e protezione dai rischi sul lavoro incidenti sull'attività lavorativa oggetto dell'appalto; b) coordinano gli interventi di protezione e prevenzione dai rischi cui sono esposti i lavoratori, informandosi reciprocamente anche al fine di eliminare rischi dovuti alle interferenze tra i lavori delle diverse imprese coinvolte nell'esecuzione dell'opera complessiva". In proposito va ribadito che, in tema di prevenzione degli infortuni sul lavoro, il datore di lavoro e gli altri responsabili della sicurezza dell'impresa hanno l'obbligo di cooperare all'attuazione delle misure di prevenzione e protezione che l'appaltatore di lavori da eseguirsi all'interno dell'azienda adotta in favore dei lavoratori alle sue dipendenze e, pertanto, assumono nei confronti di questi ultimi una posizione di garanzia in relazione ai rischi specifici connessi all'ambiente di lavoro nel quale essi sono chiamati ad operare (Sez. 4, n. 19752 del 19/03/2009 ud. - dep. 08/05/2009, Rv. 243642 - 01).
3. In conclusione, il ricorso va dichiarato inammissibile ed i ricorrenti condannati al pagamento delle spese processuali e, non sussistendo ragioni di esonero, della sanzione pecuniaria in favore della Cassa delle Ammende, che si reputa equo liquidare in euro duemila.
 

P.Q.M.
 

Dichiara inammissibili i ricorsi e condanna i ricorrenti al pagamento delle spese processuali e della somma di euro duemila ciascuno in favore della Cassa delle ammende.
Così deciso 22 settembre 2020.