Cassazione Penale, Sez. 4, 02 novembre 2020, n. 30276 -  Amputazione di un dito del neoassunto durante l'utilizzo di un tornio manuale totalmente inidoneo alle operazioni di lucidatura/smerigliatura


Presidente: CIAMPI FRANCESCO MARIA Relatore: TANGA ANTONIO LEONARDO

Data Udienza: 06/10/2020
 

Fatto

 

1. Con sentenza del 30/04/2014, il Tribunale di Bergamo riteneva M.M. responsabile del delitto di cui agli artt. 590, commi 1, 2 e 3, e 583 commi 1, n. 1) e 2), c.p., e lo condannava alla pena di mesi due di reclusione, condizionai mente sospesa.
1.1. L'imputato era stato tratto a giudizio per rispondere dei detti reati poiché, in qualità di legale rappresentante della società SCAMM s.r.l., cagionava al dipendente M.G.M. lesioni personali ("Amputazione 5° dito mano destra") da cui derivavano una malattia di durata superiore ai quaranta giorni, con un'incapacità di attendere alle ordinarie occupazioni per un periodo di pari durata, nonché l'indebolimento permanente dell'organo prensorio.
Si contestava all'imputato di aver commesso il fatto per colpa consistita in negligenza, imprudenza, imperizia, nonché per la inosservanza di norme in materia di igiene e sicurezza sul lavoro, non adottando le misure che, secondo la particolarità del lavoro, l'esperienza e la tecnica, erano necessarie a tutelare l'integrità fisica dei lavoratori (art. 2087 cod. civ.) e segnatamente in violazione dell'art. 28, comma 2, lett. a), b), c), d), del D.L.gs. n. 81/2008, perché nel documento di valutazione dei rischi ometteva di individuare i rischi connessi all'utilizzo delle attrezzature di lavoro ed alle singole fasi operative, nonché, con particolare riferimento all'utilizzo del tornio, i rischi specifici, le misure di prevenzione e protezione atte ad eliminarli, e gli eventuali rischi residui; in violazione altresì degli artt. 71, 36 e 37 del D.L.gs. n. 81/2008, perché, per la lucidatura/smerigliatura di piccoli pezzi in lavorazione, metteva a disposizione dei lavoratori il tornio - che è un'attrezzatura inidonea e vietata in quanto comporta il rischio di contatto accidentale degli arti superiori dell'operatore con le parti in movimento della macchina - e destinava alla detta operazione il M.G.M., senza previamente fornirgli informazione e formazione, né generale in tema di sicurezza né specifica sull'utilizzo del tornio; cosicché, mentre il lavoratore eseguiva l'operazione di smerigliare utilizzando il tornio sopra indicato e una tela smeriglio, il guanto di gomma indossato dallo stesso si impigliava tra la tela ed il pezzo in lavorazione, con le conseguenze sopra indicate.
1.2. Con la sentenza n. 2886/2019 del giorno 29/10/2019, la Corte di Appello di Brescia, adita dall'imputato, in parziale riforma della sentenza di primo grado, concedeva all'appellante il beneficio della non menzione della sentenza di condanna e confermava nel resto.

2. Avverso tale sentenza, propone ricorso per cassazione M.M., a mezzo del proprio difensore, lamentando (in sintesi giusta il disposto di cui all'art.173, comma 1, disp. att. cod. proc. pen.):
I) violazione di legge e vizi motivazionali in relaziorie agli artt. 40, 43 c.p. e 646 c.p.p.
Deduce che, la Corte di Appello ha affrontato il tema della valutazione del rischio senza restare aderente alle risultanze documentali, non considerando il quadro probatorio nel suo complesso, facendo non corretta applicazione del giudizio "controfattuale" e non corretta applicazione degli artt. 40 e 43 c.p. in tema di nesso causale e di causalità della colpa.
Afferma che il profilo della inidoneità del macchinario in relazione alla lavorazione eseguita dall'infortunato è affrontato dalla Corte d'Appello con motivazione che, innanzitutto, sugli aspetti tecnici, non è coerente con le risultanze dell'istruttoria e, inoltre, è carente laddove si discosta dai pareri tecnici dei testi esperti e/o del CTP, non assolvendo agli oneri di motivazione di cui all'art. 546 c.p.p .
Sostiene che, quanto alla asserita mancata formazione/informazione del lavoratore, la Corte d'Appello omette di motivare, tanto che l'aspetto non è trattato e certamente non sono trattati gli argomenti che, sul tema, erano stati posti alla sua attenzione nell'atto di appello.
Espone che, quanto, alla imputabilità soggettiva dei suddetti profili di colpa, la motivazione è carente non svolgendo alcun percorso argomentativo che valuti la posizione del datore di lavoro nel caso concreto, al di là della mera considerazione del ruolo apicale; non svolge alcuna considerazione in tema di prevedibilità ed evitabilità (anche in relazione alle condotte colpose di altri dipendenti), né in tema di affidamento.
II) violazione di legge e vizi motivazionali in relazione all'art. 131-bis c.p.
Deduce che la motivazione resa dalla Corte di Appello è carente soprattutto con riferimento al "grado della colpa" rispetto al quale non viene svolta alcuna considerazione. Quanto al "danno consistente", anche questo è un richiamo apodittico e insufficiente; si fa riferimento a una ostatività alla tenuità del fatto che non è nella disposizione di legge in quanto solo lesioni gravissime sono, di per stesse, ostative.
III) violazione di legge e vizi motivazionali in relazione alla mancata diminuzione della pena e alla mancata applicazione della sola pena pecuniaria.
Deduce che si tratta, all'evidenza, di motivazione che si risolve in mere formule di stile e, dunque, certamente carente ed incompleta, se non addirittura apparente.
 

Diritto
 



3. I motivi esposti non sono consentiti in sede di legittimità e sono comunque manifestamente infondati, sicché il ricorso va dichiarato inammissibile.

4. Va premesso che, nel caso di doppia conforme, le motivazioni della sentenza di primo grado e di appello, fondendosi, si integrano a vicenda, confluendo in un risultato organico ed inscindibile al quale occorre in ogni caso fare riferimento per giudicare della congruità della motivazione.
4.1. Occorre, inoltre, evidenziare che il ricorrente ignora le analitiche ragioni esplicitate dal giudice di appello per rigettare analoghi motivi di gravame, fornendo puntuale spiegazione del ragionamento posto a base della propria sentenza procedendo alla coerente e corretta disamina di ogni questione di fatto e di diritto.

4.2. Sul punto va ricordato che il controllo del giudice di legittimità sui vizi della motivazione attiene alla coerenza strutturale della decisione di cui si saggia la oggettiva tenuta sotto il profilo logico argomentativo: restando preclusa la rilettura degli elementi di fatto posti a fondamento della decisione e l'autonoma adozione di nuovi e diversi parametri di ricostruzione e valutazione dei fatti (tra le varie, cfr. Sez. 4, n. 31224 del 16/06/2016).
4.3. Ancora, la giurisprudenza ha affermato che l'illogicità della motivazione per essere apprezzabile come vizio denunciabile, deve essere evidente, cioè di spessore tale da risultare percepibile ìctu oculi, dovendo il sindacato di legittimità al riguardo essere limitato a rilievi di macroscopica evidenza, restando ininfluenti le minime incongruenze e considerandosi disattese le deduzioni difensive che, anche se non espressamente confutate, siano logicamente incompatibili con la decisione adottata, purché -come nel caso in esame- siano spiegate in modo logico e adeguato le ragioni del convincimento (cfr. Sez. 3, n. 35397 del 20/6/2007; Sez. Unite n. 24 del 24/11/1999, Spina, I rv Rv. 214794).
4.4. Più di recente è stato ribadito come ai sensi di quanto disposto dall'art. 606 cod. proc. pen., comma 1, lett. e), il controllo di legittimità sulla motivazione non attiene né alla ricostruzione dei fatti né all'apprezzamento del giudice di merito, ma è circoscritto alla verifica che il testo dell'atto impugnato risponda a due requisiti che lo rendono insindacabile: a) l'esposizione delle ragioni giuridicamente significative che lo hanno determinato; b) l'assenza di difetto o contraddittorietà della motivazione o di illogicità evidenti, ossia la congruenza delle argomentazioni rispetto al fine giustificativo del provvedimento. (cfr. Sez. 2, n. 21644 del 13/2/2013, Badagliacca e altri, Rv. 255542).
4.5. Il sindacato demandato a questa Corte sulle ragioni giustificative della decisione ha dunque, per esplicita scelta legislativa, un orizzonte circoscritto. Non c'è, in altri termini, come richiesto nel ricorso in scrutinio, la possibilità di andare a verificare se la motivazione corrisponda alle acquisizioni processuali. Il giudice di legittimità non può procedere ad una rinnovata valutazione dei fatti ovvero ad una rivalutazione del contenuto delle prove acquisite, trattandosi di apprezzamenti riservati in via esclusiva al giudice del merito.
4.6. In realtà il ricorrente, sotto il profilo del vizio di motivazione e dell'asseritamente connessa violazione nella valutazione del materiale probatorio, tenta di sottoporre a questa Corte di legittimità un nuovo giudizio di merito. In sostanza, in tema di motivi di ricorso per cassazione, non sono deducibili censure attinenti a vizi della motivazione diversi dalla sua mancanza, dalla sua manifesta illogicità, dalla sua contraddittorietà (intrinseca o con atto probatorio ignorato quando esistente, o affermato quando mancante), su aspetti essenziali ad imporre diversa conclusione del processo; per cui sono inammissibili tutte le doglianze che "attaccano" la persuasività, l'inadeguatezza, la mancanza di rigore o di puntualità, così come quelle che sollecitano una differente comparazione dei significati probatori da attribuire alle diverse prove o evidenziano ragioni in fatto per giungere a conclusioni differenti sui punti dell'attendibilità, della credibilità, dello spessore della valenza probatoria del singolo elemento (cfr. Sez. 2, n. 38393 del 20/07/2016; sez. 6, n. 13809 del 17/03/2015, Rv. 262965).

5. Ciò posto, in replica alle doglianze formulate -da trattarsi tutte congiuntamente poiché logicamente avvinte-, deve ribadirsi che, nell'ambito della sicurezza sul lavoro emerge la centralità del concetto di rischio, in un contesto preposto a governare ed evitare i pericoli connessi al fatto che l'uomo si inserisce in un apparato disseminato di insidie.
Rispetto ad ogni area di rischio esistono distinte sfere di responsabilità che quel rischio sono chiamate a governare; il "garante è il soggetto che gestisce il rischio" e, quindi, colui al quale deve essere imputato, sul piano oggettivo, l'illecito, qualora l'evento si sia prodotto nell'ambito della sua sfera gestoria.
Proprio nell'ambito in parola (quello della sicurezza sul lavoro) il d.lgs n. 81 del 2008 (così come la precedente normativa in esso trasfusa) consente di individuare la genesi e la conformazione della posizione di garanzia, e, conseguentemente, la responsabilità gestoria che, in ipotesi di condotte colpose, può fondare la responsabilità penale.
Nel caso che occupa l'imputato (quale soggetto onerato della "posizione di garanzia" nella materia prevenzionale, come spiegato dai Giudici del merito) era il gestore del rischio e l'evento si è verificato nell'alveo della sua sfera gestoria (cfr. Sez. Un., n. 38343 del 24/04/2014, Rv. 261108).
5.1. Quanto alla inidoneità del macchinario, mette conto rammentare che, in materia di prevenzione degli infortuni sul lavoro, grava sul gestore, nell'alveo del suo compito fondamentale di vigilare sull'attuazione delle misure di sicurezza, l'obbligo di verificare la conformità dei macchinari alle prescrizioni di legge e di impedire l'utilizzazione di quelli che, per qualsiasi causa -inidoneità originaria o sopravvenuta-, siano pericolosi per la incolumità del lavoratore che li manovra (v. ex multis Sez. 3, n. 1142 del 10/12/1998 Ud. -dep. 27/01/1999- Rv. 212822). In questa prospettiva, correttamente l'addebito è stato ritenuto a carico dell'imputato, il quale, nella propria attività imprenditoriale, aveva consentito all'infortunato di utilizzare un macchinario pur in condizione di pacifica irregolarità (v. anche Sez. 4, n. 32749, ud. 03/07/2012 dep. 14/08/2012).
Il giudizio di sussistenza dell'addebito appare, incensurabilmente, argomentato dai giudici di merito proprio su di una superficialità comportamentale del titolare della posizione di garanzia che avrebbe dovuto o mettere fuori servizio la macchina o procedere al suo adeguamento, munendola di tutti i dispositivi di sicurezza richiesti dalla normativa antinfortunistica.
Data questa premessa, logicamente sostenibile, e quindi qui non sindacabile, si appalesa corretto il conseguente giudizio di sussistenza della colpa e del nesso causale posto alla base della decisione di condanna, avendo il giudicante fornito una motivazione immune da censure, siccome del resto basata su una considerazione fattuale incontrovertibile. Trattasi di un giudizio positivo sulla sussistenza della condotta colposa del prevenuto che non si rivela affatto illogico.
Le manchevolezze, addebitabili all'imputato quale titolare della posizione di garanzia, appaiono causalmente collegate alla verificazione dell'evento infortunistico in oggetto, che ha rappresentato la concretizzazione proprio di quel rischio, prevedibile ed evitabile, che le norme di prevenzione inosservate erano volte ad evitare, di guisa che l'attuazione delle menzionate e doverose cautele sarebbe stata sufficiente ad impedirlo. Sul datore di lavoro grava infatti l'obbligo di eliminare le fonti di pericolo per i lavoratori dipendenti che debbano utilizzare una macchina e di adottare nell'impresa tutti i più moderni strumenti che la tecnologia offre per garantire la sicurezza. Le argomentazioni, ben sviluppate in sentenza, fanno corretta applicazione dei principi più volte ribaditi da questa Corte Suprema in tema di responsabilità colposa del datore di lavoro, per la cui affermazione è necessaria non solo la violazione di una norma cautelare, ma anche la constatazione che il rischio che la cautela intende presidiare si sia concretizzato nell'evento (c.d. causalità della colpa), poiché alla colpa dell'agente va ricondotto solo quell'evento che sia causalmente collegabile alla condotta omessa ovvero a quella posta in essere in violazione della regola cautelare (v. e pluribus Sez.4, 11 ottobre 2011 n.43645, rv.251913; Sez.4, 3 ottobre 2014 n.1819, Rv. 261768).
Sul punto, già il primo giudice aveva rilevato che, dalla documentazione in atti e dalla deposizione del funzionario dell'ASL Federica G. (intervenuta sul luogo del sinistro circa quaranta minuti dopo) era emerso che il tornio manuale usato dalla vittima era inidoneo per le operazioni di lucidatura/smerigliatura (operazioni, peraltro, nemmeno previste dal costruttore del macchinario); già nell'anno 2011 la ASL aveva rappresentato all'azienda che, poiché sul tornio manuale non era prevista alcuna operazione di smerigliatura, era necessaria una maggiore puntualizzazione e specificazione dei rischi inerenti a tale tipologia di lavorazione, specificazione che -al momento dell'infortunio per cui è processo- non era ancora stata fatta. Di qui la ritenuta prova che il ricorrente, nella sua qualità di legale rappresentante della SCAMM s.r.l. (e dunque di datore di lavoro) aveva messo a disposizione del lavoratore il tornio manuale di cui all'imputazione, del tutto inidoneo, sotto il profilo della sicurezza, per la smerigliatura di piccoli pezzi (operazione non prevista, come detto, nemmeno dal costruttore e non contemplata nel manuale d'uso); l'imputato, in vero, aveva ammesso di essere perfettamente a conoscenza dell'inidoneità del macchinario posto a disposizione dell'operaio per quell'operazione di smerigliatura evidenziando che, purtroppo, sul mercato non esistono macchinari in grado di svolgere quel lavoro, ragione per cui o si interrompeva quella produzione, o si utilizzava in modo improprio quella macchina, violando così l'obbligo del datore di lavoro di porre a disposizione dei propri dipendenti macchinari in grado di operare in sicurezza e di garantire ai lavoratori un uso che non comporti rischi.
Aggiungeva il primo giudice che il M.M. nemmeno aveva seguito le prescrizioni, limitandosi a disporre di non utilizzare indumenti che potessero impigliarsi; inoltre, come sottolineato dalla ASL nel precedente accesso, il documento datato 10/01/2011 (Utilizzo in sicurezza dei Torni) alla voce "Misure di sicurezza aggiuntive" era assolutamente inidoneo, per la sua vaghezza, a indicare al lavoratore i rischi connessi all'operazione di smerigliatura e quindi il ricorrente aveva messo a disposizione del proprio dipendente (per giunta assunto da meno di un mese) un macchinario del tutto inadeguato; da questa condotta erano derivate le lesioni ai danni del lavoratore addetto al macchinario.
D'altra parte, sempre secondo il Tribunale, la formazione del M.G.M. non era stata sufficientemente curata sia perché non furono presi in adeguata considerazione e esplicitati con la dovuta chiarezza e dovizia di particolari al lavoratore i rischi connessi a quella fase di lavorazione (o sotto lavorazione) sia perché l'affiancamento non fu, alla prova dei fatti, sufficiente ad impedire l'evento.
Acutamente, la corte del merito osservava, tra l'altro, che «Uno dei principali elementi di pericolo del tornio a comando manuale è costituito dall'impigliamento e trascinamento con i morsetti, con il mandrino o con il pezzo in rotazione. Per questa ragione è previsto dalla normativa di prevenzione che il mandrino deve essere protetto da un riparo mobile interbloccato che impedisca l'accesso diretto alla zona di lavoro. Nel caso di specie la protezione del mandrino esisteva ma il pezzo in lavorazione ( e dunque in rotazione) non solo era accessibile ma, per quanto emerso dall'istruttoria, risulta che tra i compiti del lavoratore (ancora in fase di addestramento, essendo presente in azienda da solo un mese) vi fosse anche quello di operare direttamente sul pezzo in movimento al fine della sua smerigliatura manuale. Si tratta di un'operazione che all'evidenza espone il lavoratore a un rischio di impigliamento e di trascinamento perciò la normativa di sicurezza fa divieto assoluto di eseguire con utensili manuali qualunque operazione (quali la levigatura con tela abrasiva, la sbavatura con lima o raschietti) direttamente sul pezzo in rotazione. Questa tipologia di macchina non è sufficientemente sicura per questo tipo di utilizzo».
Quanto alla "vaghezza" e insufficienza del documento datato 10/01/2011 (Utilizzo in sicurezza dei Torni), alla voce "Misure di sicurezza aggiuntive", rileva la Corte territoriale che «l'operazione è stata posta in essere da un lavoratore inesperto che indossava i guanti (mezzi di protezione individuale prescritti per le lavorazioni al tornio manuale, macchina che produce trucioli metallici taglienti ed espone perciò al pericolo di tagli), che, invece, a detta dello stesso infortunato e del suo formatore Intra, egli avrebbe dovuto togliersi nel momento dell'esecuzione della smerigliatura manuale. Una siffatta cautela, come detto, non avrebbe impedito l'infortunio non eliminando il rischio che le dita dell'operatore, inevitabilmente a contatto con il pezzo in rotazione, potessero venire trascinate nel movimento unitamente alla tela abrasiva impugnata ».
Dalle sentenze di merito, inoltre, emerge che la lavorazione cui fu addetto l'infortunato non era "sporadica" (per il funzionario della ASL già la lucidatura effettuata una volta al mese non poteva considerarsi sporadica):
correttamente si è, perciò, ritenuto che «L'eventuale tolleranza di una simile prassi da parte dell'Asl non esime certamente il datore di lavoro dalla responsabilità per un infortunio che si verifica a causa di una prassi operativa, sostanzialmente imposta al lavoratore, connotata dal rischio di impigliamento, rischio, come detto, non eliso ma solo (minimamente) attenuato dal fatto che l'operatore svolga la attività senza indossare i guanti».
Vale evidenziare che l'eventuale ed ipotetica condotta abnorme dell'infortunato non può considerarsi interruttiva del nesso di condizionamento poiché essa non si è collocata al di fuori dell'area di rischio definita dalla lavorazione in corso . In altri termini la complessiva condotta della vittima non fu eccentrica rispetto al rischio lavorativo che il garante (il ricorrente) era chiamato a governare (cfr. Sez. Un., n. 38343 del 24/04/2014, cit.); nella condotta del M.G.M. non si possono, in vero, riscontrare i requisiti di eccezionalità ed imprevedibilità poiché trattasi di manovra realizzata nel contesto della lavorazione cui lo stesso era addetto. Più esattamente, in tema di prevenzione antinfortunistica, perché la condotta colposa del lavoratore possa ritenersi abnorme e idonea ad escludere il nesso di causalità tra la condotta del datore di lavoro e l'evento lesivo, è necessario non tanto che essa sia imprevedibile, quanto, piuttosto, che sia tale da attivare un rischio eccentrico o esorbitante dalla sfera di rischio governata dal soggetto titolare della posizione di garanzia, e ciò -nella specie- non è (cfr. Sez. 4, n. 15124 del 13/12/2016 Ud. -dep. 27/03/2017- Rv. 269603). Anche recentemente, questa stessa Sezione ha avuto modo di affermare che, in tema di prevenzione antinfortunistica, perché la condotta colposa del lavoratore faccia venir meno la responsabilità del datore di lavoro, occorre un vero e proprio contegno abnorme del lavoratore medesimo, configurabile come un fatto assolutamente eccezionale e del tutto al di fuori della normale prevedibilità, quale non può considerarsi la condotta che si discosti fisiologicamente dal virtuale ideale (cfr. Sez. 4, n. 7188 del 10/01/2018 Ud. - dep. 14/02/2018- Rv. 272222 Sez. 4, n. 22249 del 14/03/2014 Ud. -dep. 29/05/2014- Rv. 259227).
In vero, poi, rammentano i giudicanti del merito, «Il principio di affidamento non è invocabile sempre e comunque, dovendo contemperarsi con il concorrente principio della salvaguardia degli interessi del soggetto nei cui confronti opera la posizione di garanzia (nella specie, il lavoratore, garantito dal rispetto della normativa antinfortunistica): il principio, infatti, non è invocabile allorché l'altrui condotta imprudente, ossia il non rispetto da parte di altri delle regole precauzionali imposte, si innesti sull'inosservanza di una regola precauzionale proprio da parte di chi invoca il principio».

5.2. In ordine al diniego di applicazione dell'art. 131-bis c.p., deve osservarsi che, ai fini della configurabilità della causa di esclusione della punibilità per particolare tenuità del fatto, il giudizio sulla tenuità richiede una valutazione complessa e congiunta di tutte le peculiarità della fattispecie concreta, che tenga conto dei parametri di cui all'art. 133 cod. pen. (cfr. Sez. Un., n. 13681 del 25/02/2016, Rv. 266590) i quali, nella specie, hanno natura e struttura oggettive (pena edittale, modalità della condotta, esiguità del danno) (v. anche Sez. 5, n. 17246 del 19/02/2020 Ud. -dep. 05/06/2020- Rv. 279112).
La questione, comunque, è già stata sottoposta al giudice del merito che ha, incensurabilmente, escluso l'applicabilità dell'istituto in parola. In particolare, la Corte territoriale ha, tra l'altro e ineccepibilmente, affermato che «Non può trovare accoglimento la richiesta di ravvisare nell'ipotesi in considerazione l'invocata esimente del fatto di particolare tenuità dovendosi comunque tener conto e del grado della colpa e del danno cagionato al giovane lavoratore infortunato, danno consistente essendone derivato anche l'indebolimento permanente dell'organo della prensione». Nell'occasione la Corte del merito ha fatto buon uso dei principi affermati da questa Corte, in virtù dei quali deve escludersi la sussistenza delle condizioni di applicabilità dell'istituto di cui all'art. 131-bis c.p. in ragione della pericolosità insita nella condotta (cfr. Sez. 4, n. 1035 del 10/12/2015). Trattandosi, inoltre, di questione attinente al merito, la valutazione del giudice, qualora non sia arbitraria o illogica (e ciò qui non è), sfugge allo scrutinio di legittimità.
5.3. Quanto alla questione relativa alla motivazione circa la quantificazione della pena, preme ribadire che deve ritenersi adempiuto l'obbligo di motivazione del giudice di merito sulla determinazione in concreto della misura della pena allorché, come nel caso che occupa, siano indicati nella sentenza gli elementi ritenuti rilevanti o determinanti nell'ambito della complessiva dichiarata applicazione di tutti i criteri di cui all'art. 133 c.p. (cfr. Sez. 1, n. 3155 del 25/09/2013 Ud. -dep. 23/01/2014- Rv. 258410; Sez. 6, n. 9120 del 02/07/1998 Ud. -dep. 04/08/1998- Rv. 211!:i82). A ciò deve aggiungersi che il giudice, ai fini della determinazione della pena, può valutare la gravità della lesione e le sue caratteristiche come elemento qualificatore della "gravità del danno" cagionato ai sensi dell'art. 133, n. 2, cod. pen., in quanto, tale gravità implica una valutazione globale delle ripercussioni che l'atto lesivo ha avuto nella sfera soggettiva della persona offesa (v. anche Sez. 4, n. 13313 del 12/01/2018 Ud. -dep. 22/03/2018- Rv. 272344).
Nella specie, il giudice territoriale ha incensurabilmente ritenuto che <<La pena individuata dal primo giudice è adeguata al grado della colpa e all'evento conseguitone. La pena pecuniaria infine sarebbe del tutto priva di efficacia specialpreventiva e inadeguata a sanzionare il fatto ».
Giova, infine e comunque, riaffermare che la valutazione dei vari elementi rilevanti ai fini della dosimetria della pena rientra nei poteri discrezionali del giudice il cui esercizio (se effettuato nel rispetto dei parametri valutativi di cui all'art. 133 c.p., come nel caso di specie) è censurabile in cassazione solo quando sia frutto di mero arbitrio o di ragionamento illogico. Ciò che qui deve senz'altro escludersi (cfr. Sez. 2, n.45312 del 03/11/2015; Set. 4 n. 44815 del 23/ 10/ 2015) .

6. Conclusivamente, una volta accertata la legittimità e la coerenza logica della sentenza impugnata, deve ritenersi che il ricorso, nel rappresentare l'inaffidabilità degli elementi posti a base della decisione di merito, pone solo questioni che esorbitano dai limiti della critica al governo dei canoni di valutazione della prova, per tradursi nella prospettazione del · fatto storico alternativa a quella fatta argomentatamente propria dai giudicanti e nell'offerta di una diversa (e per il ricorrente più favorevole) valutazione delle emergenze processuali e del materiale probatorio. Questioni, queste, che sfuggono al sindacato di legittimità (cfr. Sez. 6, n. 13170 del 06/03/2012) .

7. Segue, a norma dell'art . 616 c.p.p., la condann•a del ricorrente al pagamento delle spese del procedimento ed al pagamento a favore della Cassa delle ammende, non emergendo ragioni di esonero, della somma di € 2.000,00 a titolo di sanzione pecuniaria.

 

P.Q.M.




Dichiara inammissibile il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle spese processuali e della somma di euro duemila in favore della Cassa delle ammende.

Così deciso il 06/10/2020