Categoria: Cassazione civile
Visite: 6882

Cassazione Civile, Sez. Lav., 30 novembre 2020, n. 27341 - Revoca della rendita vitalizia


 

Presidente: BERRINO UMBERTO Relatore: BUFFA FRANCESCO
Data pubblicazione: 30/11/2020
 

Rilevato che


1. Con sentenza del 20.2.15, la Corte d'Appello di Messina -così riformando la sentenza del tribunale di Barcellona P.G.- ha rigettato la domanda del lavoratore B.S. di impugnazione della revoca della rendita vitalizia, già goduta per inabilità permanente conseguente a malattia professionale.
2. In particolare, la corte territoriale, sulla base di CTU espletata in primo grado, ha rilevato che l'INAIL aveva correttamente revocato la prestazione in quanto la percentuale di invalidità dell'assistito -già riconosciuta nella misura dell'11%- si era ridotta al 9% nell'aprile 2004; ha quindi ritenuto, in diverso avviso rispetto alla sentenza di primo grado, che la revoca era intervenuta entro il termine quindicinale ex art. 137 t.u.i.l.m.p. dalla decorrenza della prestazione (riconosciuta giudizialmente in favore dell'assistito con decorrenza dal marzo 1996), restando invece irrilevante la sussistenza della patologia (in misura inferiore alla soglia di rilevanza di legge) sin dalla domanda amministrativa del 1978.
3. Avverso tale sentenza ricorre l'assistito per due motivi; l'INAIL resiste con controricorso.


Considerato che


4. Con il primo motivo di ricorso il ricorrente, lamentando violazione degli articoli 101 e 437 c.p.c., deduce -ai sensi dell'articolo 360 co. 1 n. 3 c.p.c.- che la sentenza impugnata è viziata per avere trascurato che la decorrenza della prestazione dal 1978 era non contestata tra le parti, e per aver ammesso l'eccezione dell'INAIL - formulata solo in appello­ circa la decorrenza della rendita solo dal 1996.
5. Il motivo è inammissibile e comunque infondato.
6. Occorre infatti rilevare che il ricorrente allega una asserita non contestazione della decorrenza della rendita dal 1978 senza richiamare e trascrivere - in ossequio al principio di autosufficienza del ricorso- gli elementi della domanda e della comparsa di costituzione rilevanti ai fini della configurazione della non contestazione.
7. Per converso, è pacifico tra le parti che al 1978 va ancorata la domanda amministrativa della rendita e non anche la costituzione della rendita, per non essere stata raggiunta all'epoca una soglia superiore al minimo indennizzabile (essendo insufficiente la percentuale di invalidità del 7% - riconosciuta sin dalla domanda- ai fini della costituzione della rendita). Dagli atti risulta anzi che dalla descritta situazione era derivato contenzioso tra le parti, definito poi da sentenza (trib. Messina 26.7.00, poi confermata in appello nel 2002 e passata in giudicato) che aveva riconosciuto la rendita solo con decorrenza dal 1996. Nel descritto contesto, non è configurabile alcuna "non contestazione" dell'INAIL in ordine alla decorrenza della rendita in epoca antecedente al 1996, essendovi solo l'affermazione del ricorrente -in diritto, e come tale non suscettibile di non contestazione, la quale invece riguarda fatti- circa la necessità di considerazione del 1978 quale momento di decorrenza del termine quindicinale per la revoca.
8. L'affermazione del ricorrente è peraltro erronea, posto che il termine di revocabilità della prestazione decorre dalla data di costituzione della rendita, restando irrilevante il raggiungimento in epoca precedente di percentuali invalidanti inferiori alla soglia di legge per la costituzione della rendita.
Dunque, correttamente la Corte d'appello ha ritenuto legittima la revoca della prestazione in quanto effettuate entro il termine quindicinale previsto dalla legge, computato a decorrere dalla costituzione della rendita del 1996.
9. Con il secondo motivo di ricorso - articolato in due distinte censure- il ricorrente, lamentando -ai sensi dell'articolo 360 co. 1 n. 3 c.p.c.- violazione degli articoli 3 e 211 d.p.r. 1124/65, 115 e 324 c.p.c. e 2909 C.c., deduce -per quanto è dato di comprendere- che la sentenza -nel richiamare gli esiti di consulenza del giudizio di primo grado e ritenere conseguentemente sussistenti le condizioni della revoca della prestazione- ha ignorato il peggioramento del grado di invalidità dell'assistito (desumibile peraltro anche dalla CTU resa nel giudizio definitivo del 2000) e, dall'altro lato, ha trascurato che la patologia sofferta - per come accertata nel 2000 (broncopneumopatia cronica ostruttiva)- era divenuta oggetto di autonoma tabellazione nel 2014, sicché la sentenza impugnata non avrebbe potuto, se non violando il giudicato inter partes, inquadrare diversamente il quadro clinico (nella specie, quale liparosi, come fatto in passato, prima della detta autonoma tabellazione).
10. Con ulteriore censura, il ricorrente lamenta inoltre -ai sensi dell'art. 360 co. 1 n. 5 c.p.c.- violazione dell'art. 149 att. c.p.c., per avere la sentenza impugnata omesso di valutare l'aggravamento delle patologie dell'assistito in corso di causa, nelle more del giudizio di appello.
11. Quanto alla prima censura, il motivo è, per un verso, inammissibile per violazione del principio di autosufficienza, in quanto il ricorrente non trascrive in ricorso le parti della CTU di primo grado che specificamente si contestano, anche in relazione al preteso contrasto con la CTU del precedente giudizio definito nel 2000.

12. Il motivo è inoltre inammissibile perché il ricorrente non indica neppure le eventuali conseguenze della sopravvenuta specifica tabellazione della patologia del ricorrente, non risultando elemento alcuno per contrastare la valutazione - operata dal CTU e recepita dalla sentenza impugnata- della modestia sul piano funzionale dei postumi invalidanti della patologia - correttamente identificata- sofferta dall'assistito.
13. Il motivo è per altro verso infondato, dovendosi escludere la violazione del giudicato formatosi inter partes nella diversa qualificazione medica -da parte della corte d'appello- della patologia in discorso, posto che il giudicato non riguarda la specifica malattia riscontrata ma solo la sussistenza - all'epoca dei presupposti del diritto azionato in giudizio.
14. La seconda censura contenuta nel (secondo) motivo di ricorso è inammissibile. La parte lamenta che la corte territoriale non avrebbe dato corso al richiesto rinnovo della consulenza per la valutazione di sopravvenienze. Anche a tacere che il vizio dedotto non riguarda in sé la motivazione della sentenza (l'art. 360 co. 1 n. 5 c.p.c., richiamato in via esclusiva dalla parte), ma l'attività processuale (e come tale rientrerebbe al più nell'art. 360 co. 1 n. 3 c.p.c., nella specie non richiamato dal ricorrente in relazione a tale censura), va osservato che il ricorrente non indica in ricorso dove la richiesta di rinnovo della consulenza sia stata formulata e non riporta nemmeno i documenti prodotti e gli argomenti specifici sollevati a sostegno avanti alla corte territoriale, non consentendo in tal modo a questa Corte di verificare la sussistenza del vizio lamentato.
15. In considerazione delle condizioni reddituali del ricorrente, le spese vanno dichiarate irripetibili ex art. 152 att. c.p.c..
 

P.Q.M.


La Corte rigetta il ricorso.
Ai sensi dell'art. 13, co. 1 quater, d.P.R. n. 115 del 2002, dà atto della sussistenza dei presupposti processuali per il versamento, da parte del ricorrente, dell'ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello previsto per il ricorso a norma del comma 1 bis dello stesso art. 13, se dovuto.
Così deciso in Roma nella adunanza camerale del 26 giugno 2020.